Consideriamo
l’elenco fornito dalla Consob degli errori e delle trappole comportamentali,
già presentate nelle lezioni passate (http://www.consob.it/web/investor-education/errori-e-trappole-comportamentali).
In sintesi:
1.
la percezione del rischio
basata sulle proprie esperienze personali e non sulle
frequenze storiche,
ricordando il bene e dimenticando il male;
2.
il framing: rivolgere
l’attenzione a un dettaglio o comunque a una rappresentazione non obiettiva dei
fatti;
3.
l’avversione alle perdite:
la tendenza a trascurare le prospettive di lungo termine per concentrarsi su
quelle di breve periodo, rispetto alle quali può essere dominante la paura di
dover subire perdite;
4.
l’attenzione al
comportamento altrui: condividere con altri la responsabilità di una scelta
eventualmente sbagliata per ridurre il "rimpianto" (cosiddetto
attribution bias);
5.
effetto disposizione:
spesso gli individui non sanno decidersi a liquidare un investimento in perdita
e senza prospettive di miglioramento, anche se non sarebbero disposti a
investire il valore corrente dell'investimento nel titolo stesso;
6.
bilanci mentali: gli
individui tendono a ragionare per conti mentali, definiti in base alla fonte
del reddito e alla tipologia e frequenza di consumo;
7.
incoerenza: scelte che
appaiono ottimali oggi diventano meno attraenti con il passare del tempo
(cosiddetta incoerenza dinamica), generando insoddisfazione e ripensamenti in
quanto ci si focalizza sul breve termine e sulle proprie esperienze personali.
Questi, secondo la Consob,
sono i sette peccati capitali. Essi possono anche venire considerati
nell’ottica della psicologia dell’attenzione, della nostra tendenza cioè a
farci risucchiare l’attenzione dai dettagli, da quello che succede o è successo
a noi personalmente, costretti a dover fare una cosa alla volta dati i nostri
limiti mentali. “Una cosa alla volta. Le regole dell’attenzione” è proprio il
titolo del libro che ho scritto recentemente con Carlo Umiltà (uscirà
alla fine di novembre).
Che cosa vuol dire
considerare le classiche distorsioni della finanza, quelle dell’elenco della
Consob, in questa prospettiva? Vuol dire ricondurle a una più generale tendenza
della nostra attenzione a essere risucchiata da qualcosa indipendentemente
dalla nostra volontà e, soprattutto, scisso da una riflessione consapevole. Leonardo
da Vinci diceva che la nostra attenzione viene “incarcerata” da alcune immagini
visive e che noi, ammaliati, non possiamo farci nulla.
Consideriamo un esempio
classico:
Venere di Urbino di Tiziano Vecellio (1538).
Questa è la famosa Venere
di Urbino di Tiziano Vecellio (1538) che, in questi giorni, è proprio tornata a
Urbino grazie a un eccezionale prestito degli Uffizi alla Galleria delle
Marche. A quel che sappiamo dai documenti – come ci racconta Marco Carminati
sul Domenicale del Sole24Ore del 4 settembre (p. 38) – la storia del quadro
comincia nel 1538 quando Guidobaldo II della Rovere, giovane erede del ducato
di Urbino, scrive agitatissimo all’ambasciatore Leonardi perché impedisca a
Tiziano di vendere la conturbante “donna nuda” ad altri (scrive proprio così).
Quando Vasari, dieci anni dopo, vide il dipinto nel Guardaroba Ducale di
Urbino, lo descrisse in modo a dir poco imbarazzante. E il quadro malizioso e
sensuale continuò ad attirare gli sguardi e a catturarli al punto che il duca
di Urbino nel 1600 aveva pensato di distruggerlo.
Solo dal 1874 fu possibile
vederlo liberamente nella Tribuna degli Uffizi, pur evitando che i “veneratori”
toccassero le beltà della “donna nuda”, protetta da un sottile fil di ferro.
Insomma un esempio di quelli che chiamo “super-stimoli”, informazioni cioè che
attivano la nostra attenzione e le nostre emozioni, sia nel bene che nel male.
Così come questo dipinto per secoli ha risucchiato l’attenzione della
maggioranza degli osservatori (bastava un’occhiata!), oggi, quando, per i più
(da noi), ormai il sesso non è più tabù, sono rimasti i soldi ad attrarci e a
“confonderci le idee”. E la confusione viene generata da intuizioni e emozioni
che sono attive e fuorvianti sui tempi brevi, che “risucchiano” la nostra
attenzione.
Per non cadere in queste
trappole, dobbiamo acquisire una visione di più lungo termine, un’attenzione di
vasto respiro capace di distinguere i punti di svolta epocali, quelli che, se
trascurati, danneggiano permanentemente i nostri portafogli. Ne abbiamo già
visti alcuni. Il più rilevante punto di svolta per gli italiani è stato il calo
del valore degli immobili che non sono più tornati ai prezzi reali di dieci
anni fa, ormai irraggiungibili per un periodo futuro che si prevede molto lungo
in forza di diversi fattori (un’analisi dettagliata di questo punto di svolta è
nel libro “L’economia nella mente” da poche settimane in libreria,
pubblicato da Raffaello Cortina Editore).
Un punto di svolta
rilevante perché 2/3 circa degli ottomila miliardi di risparmi degli italiani è
stato “immobilizzato” nelle case, e non solo nella “prima casa”, che può venire
considerata un servizio oltre che un “risparmio”. Nello stesso periodo, grosso
modo, abbiamo avuto la forte crescita dei mercati azionari e il ritorno della
loro volatilità a valori corrispondenti alla media storica, dopo le turbolenze
della crisi.
La volatilità dei mercati USA è tornata sotto la media
storica. Fonte: Bloomberg modificata.
Anche questo punto di svolta
è sfuggito all’attenzione degli italiani perché meno del 3% dei loro risparmi è
destinato ai mercati azionari mondiali, con una prevalenza del mercato
domestico che è meno del 2% di quello globale. Nel frattempo gli indici delle
borse statunitensi, prevalenti a livello globale, hanno raggiunto
simultaneamente tre record storici, incremento notevole di cui ben poco del
risparmio italico si è purtroppo avvalso.
Le tre borse USA hanno simultaneamente raggiunto
tre record storici. Non succedeva dal 1999. Fonte: Bloomberg modificata.
Viceversa, al di là del
rilevante fardello immobiliare (poco appetito dato che più di 7 milioni di case
sono vuote), il risparmio italico ha continuato a insistere nel reddito fisso
in un periodo storico in cui i dividendi azionari hanno sempre più
baldanzosamente superato le cedole dei titoli di stato.
La grande svolta: the big switch. La superiorità
tradizionale delle cedole dei titoli di stato è decisamente “sotto zero” se
confrontata con i dividendi azionari in USA, GB e Giappone. Fonte: Economist
modificata.
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