Siamo entrati
nell’ultimo trimestre dell’anno e si intravvedono già alcuni temi caldi con i
quali ci si dovrà confortare più o meno a breve.
Avevamo più volte
sottolineato la scarsa efficacia delle
politiche monetarie perseguite dalle
banche centrali al fine di stimolare la crescita; è ormai un dato di fatto che,
se da una lato queste ci hanno preservato da una immediata profonda
depressione, dall’altro è ormai chiaro che la sola leva monetaria è
insufficiente a indurre la crescita dei consumi.
Non ci dilungheremo
qui sulle cause di questo fenomeno, già trattate nei mesi scorsi, ma ora il
cerino acceso non può che passare nelle mani dei governi affinché attuino le
auspicate riforme fiscali, pur nella consapevolezza di quanto siano difficili
da perseguire in un clima come quello attuale nel quale si prestano maniacali
attenzioni ai propri orticelli piuttosto che ricercare soluzioni condivise, in
special modo all’interno della comunità europea.
La settimana
uscente ci ha evidenziato una forte incertezza generale con la quasi totalità
dei mercati occidentali (Gran Bretagna esclusa) sostanzialmente al palo mentre
i mercati asiatici e sudamericani si permettono il lusso di tirar giù le
serrande con dei confortanti consuntivi: Brasile in testa con un apprezzamento
di periodo del 4,70%, a cui si accodano Giappone e Hong Kong con rialzi intorno
al 2,50%.
Allargando lo
sguardo all’ultimo mese l’incertezza è più evidente, con le borse europee in
apprensione - al netto della borsa
londinese che ormai si muove in modo autonomo – con gli Stati Uniti sugli scudi
con Nasdaq e S&P 500 in apprezzamento e Brasile in vetta alla classifica
grazie allo sprint dell’ultima settimana, come riportato nel grafico seguente.
Mentre l’attenzione
dei più è rivolta al mercato azionario altri segnali di cambiamento stanno
avvenendo da qualche tempo e più precisamente nel mercato valutario. Che la
sterlina, causa la scelta referendaria, si sia deprezzata è di dominio
pubblico, ma che la sua caduta, da inizio anno, sia stata del 22% forse non è
ancora stato percepito dai più. Non è un bel segnale dato che si comincia a
stimare che i benefici da svalutazione possano essere tendenzialmente inferiori
alle possibili maggiori esportazioni al difuori del Regno Unito. Ciò potrebbe significare
che nei prossimi mesi l’economia britannica inizierà a pagare uno scotto piuttosto
pesante per la scelta dello scorso giugno.
Anche a oriente si
muove qualcosa in questo campo, con lo Yuan cinese che negli ultimi 18 mesi ha
svalutato la propria moneta di oltre il 10% sull’Euro; si sa che sussistono delle
difficoltà sul fronte delle esportazioni ma è ormai palese la volontà del
governo cinese di farsi più aggressivi sui nostri mercati internazionali che da
parte loro arrancano per mantenere viva una modestissima crescita.
Infine, sempre relativamente ai mercati
estremo-orientali, potrebbe essere giunta ad esaurimento la fase di
apprezzamento dello Yen giapponese e che si potrebbe aprire una fase di
deprezzamento della valuta nipponica. Segnali, per il momento, non ancora
realmente decifrabili ma che potrebbero tradursi – se non in una guerra –
almeno in una battaglia valutaria, non certo auspicabile in questa delicata
fase. Staremo a vedere nei prossimi mesi se dovremo affiancare ai preesistenti problemi
anche questi, augurandoci di esserci sbagliati.
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