domenica 10 luglio 2011

3 TEMI CALDI

Il secondo trimestre del 2011 ha evidenziato alcuni aspetti piuttosto preoccupanti per gli investitori. In Europa il problema Grecia (peraltro non ancora risolto) si è manifestato in tutta la sua virulenza facendo emergere l’impossibilità - ad oggi - di arrivare a coprire l’enorme eccesso di debito attraverso le manovre restrittive previste dal governo, pur pesantissime ed invise ai cittadini di quel paese. La concreta possibilità di default si sta estendendo agli altri paesi in situazione di forte sbilancio tra cui l’Italia, tema che tratteremo più avanti.

Negli Stati Uniti non si riesce a riassorbire la disoccupazione che sta bloccando i consumi della classe media, il settore immobiliare è assolutamente bloccato e non c’è alcuna possibilità di miglioramento almeno per quest’anno. La produzione tiene, come pure gli utili aziendali, ma tutto questo non è sufficiente per far ripartire l’economia ed anche il governo federale dovrà iniziare a tagliare massicciamente le proprie spese per non restare intrappolato in una situazione “simil-greca” deprimendo ancor più i consumi.

In Nord-Africa la questione libica non ha ancora trovato sbocco e le tensioni in tutta l’area si fanno ancora sentire. L’auspicato processo di pacificazione ed ammodernamento dell’area darebbe una spinta allo sviluppo con ricadute benefiche sui paesi europei dell’area mediterranea ma tutto ciò non ha alcuna possibilità di realizzazione a breve.

L’economia dei paesi emergenti (o ex emergenti) continua a marciare ma sta perdendo smalto e speditezza. Se il mondo occidentale non è in grado di assorbire, come nel passato, i beni prodotti in questi paesi ed è impensabile che ciò non abbia conseguenze; continuare a produrre “a testa bassa” non farebbe che portare ad una fase di sovrapproduzione e da lì alla crisi. La consapevolezza di ciò ha reso prudenti, in queste aree, i responsabili delle politiche economiche ed assistiamo ad un maggiore controllo dello sviluppo (leggasi rallentamento).

In Giappone, infine, a fronte di una necessità vitale di ricostruire ciò che il terremoto e lo tsunami hanno distrutto nella zona di Fukushima, si sta procedendo ad incrementi sensibili della spesa per infrastrutture ma si registra, in contrapposizione a ciò, una contrazione dei consumi ordinari e dunque la situazione per il momento non lascia molti spazi per credibili miglioramenti (ricordiamo che il Giappone si dibatte in una crisi strutturale pluridecennale).

L’andamento dei principali mercati azionari in questo difficile contesto è stato univocamente negativo con l’eccezione di Francia e Germania. I principali mercati BRIC, con l’eccezione della Russia, hanno addirittura registrato le peggiori performance fra le principali piazze azionarie mondiali.

In questo contesto si è rivelata vincente la mossa di ricorrere a strategie gestionali flessibili che hanno potuto attenuare l’impatto negativo sulla redditività del portafoglio.


LA SPECULAZIONE ATTACCA I PAESI DEBOLI DELL’EUROPA

            Come il branco di lupi attacca il capriolo più debole e meno veloce così la speculazione individua il tema più scottante ed inizia l’assalto al titolo, valuta o mercato che sia e sferra l’attacco. Così come al primo lupo che azzanna il capriolo gli altri predatori del branco via via si accodano con l’obiettivo unico del pasto abbondante, analogamente sui mercati fnanziari ai primi speculatori se ne accodano immediatamente altri ed altri ancora con l’obiettivo di grandi e veloci guadagni.

Il caso Grecia ha lasciato ampio spazio alla speculazione; non appena si è capito che nei conti pubblici ellenici c’era a dir poco una voragine e una volta compreso che la gran parte dei titoli del debito pubblico era in mano a governi e banche europee a loro volta molto deboli ed al limite della loro stabilità economica, l’attacco è partito. In pochi giorni esso si è esteso a quei paesi (ed alle loro banche) caratterizzati da debiti e deficit pubblici molto elevati, bassa crescita e difficoltà di manovra sotto il profilo fiscale; tutti gli altri componenti l’ormai famigerata famiglia dei PIIGS (Portogallo, Irlanda, Italia, Spagna) sono stati posti sotto attacco.

In pochi giorni i credit default swaps hanno raggiunto punte molto elevate sul titolo guida della comunità europea, il bund tedesco, ed i prezzi dei titoli di stato hanno subito pesanti contraccolpi negativi. In coda ai titoli di stato tutti i titoli bancari hanno subito analoga sorte.

Si punta sull’incapacità di questi paesi di far fronte alle loro difficoltà e di non essere in grado di approntare velocemente manovre sul fronte interno tali da riuscire ad uscire dalle loro criticità. Con la canna del fucile puntata alla schiena, i governi di questi paesi (ricordo, fra essi l’Italia dei Bot e delle banche che non possono fallire …) dovranno definire velocemente manovre fiscali tali da drenare grandi quantità di risorse da destinare alla riduzione delle dissestate finanze pubbliche. In tal modo si ridurranno i consumi, si frenerà l’economia e ci si troverà nuovamente con le finanze dissestate. In altre parole si potrebbe arrivare ad un avvitamento della situazione tale da provocare il default.

La probabilità è ancora remota e nessuna autorità ne parla come di una reale possibilità ma la questione passa per la capacità (o meno) dei governi di attuare manovre tali da arginare la situazione ed al contempo di intercettare la crescita economica. Compito non facile e comunque subordinato all’altrettanto ampia capacità e disponibilità del mondo produttivo (imprese e lavoratori) di fare fronte comune e di avviare un processo virtuoso di saldatura sociale ed economica che porti il paese fuori dalle secche in cui si è arenato.

Previsioni? Nessuno può farne, ma aspettiamoci tempi duri. E’ antipatico mettersi i panni di Cassandra, ma che ciò potesse accadere con  ampi margini probabilistici stava nelle mie considerazioni già nella primavera del 2010. 

Adesso il fenomeno è sotto gli occhi di tutti e dunque prendiamone atto ed assumiamo comportamenti coerenti per la nostra salvaguardia personale e familiare.


LA MANOVRA FISCALE SI AGGRAPPA ALLA FINANZA PERSONALE

A meno di un mese di distanza da quando comunicai l’introduzione della nuova normativa fiscale mi trovo a dover tornare sull’argomento tasse per quanto è stato presentato al paese come manovra aggiuntiva di bilancio. Sappiamo tutti che intorno a ciò dovrebbe nascere un dibattito destinato ad apportare modifiche e miglioramenti alle proposte ministeriali ma l’aria che tira non fa pensare a modifiche sostanziali (la pressione della speculazione ed i numeri della maggioranza parlamentare lasciano poco spazio a simili fantasie).

La cosa più  importante che emerge, ma sulla quale non intendo soffermarmi più di tanto in questa fase in quanto il dibattito e le modifiche senz’altro ci saranno (eccome) è la questione previdenziale. In un paese dove privilegi di ogni sorta costituiscono l’iniqua anomalia italiana è certo, anzi, certissimo, che i privilegi previdenziali saranno intaccati solo con misure di facciata; nondimeno saranno incrementate (anche nell’immediato) quelle misure che si rendono necessarie per decelerare l’incremento della spesa pensionistica pubblica immediata e futura.

La conseguenza è che vedremo da subito diminuire la potenzialità di spesa (e non è certo grasso che cola …) degli attuali “normali” pensionati ma irrimediabilmente verranno intaccate le possibilità, non solo di una serena vecchiaia, ma addirittura di sopravvivenza dei pensionati futuri.

Si parla innanzitutto dell’allungamento del periodo lavorativo ma soprattutto della continua erosione del montante previdenziale da cui discendono le rendite previdenziali che si agganceranno alle speranze di vita. In altre parole lavoreremo più a lungo e percepiremo rendite sensibilmente più basse per via di due fattori, 1) lo scollamento sempre maggiore rispetto all’inflazione, 2) la maggiore durata del periodo di percezione delle rendite pensionistiche provocata dall’allungamento del ciclo vitale.

Già oggi (notizia di pochi giorni fa) è stato dichiarato che oltre il 40% dei futuri pensionati da lavoro dipendente  (quelli fortunati ...) avrà una pensione che non raggiungerà i 1.000 Euro mensili e che sarà comunque inferiore al primo stipendio percepito in carriera (quello di 40 anni prima …).

Cominceranno pertanto a fare qualche serio ragionamento sull’argomento non solo coloro che in pensione devono ancora andare ma anche coloro che, seppur pensionati, hanno figli che subiranno tutto ciò ?

E veniamo alle immediate note dolenti. Il famigerato conto titoli e l’aliquota fiscale.

Salvo ripensamenti, la manovra governativa innalza il costo del dossier titoli dai 34,20 Euro/anno attuali a 120. Dal 2013 il costo sale a 150 Euro per coloro che hanno titoli per un controvalore fino a 50.000 Euro e a 380 Euro per controvalori superiori a detta cifra. E’ in arrivo anche un’aliquota unica al 20% che dovrebbe essere applicata alle rendite finanziarie originate da qualsivoglia strumento finanziario (fatto salvo il mantenimento dell’attuale aliquota del 12,50% per i titoli dello stato).

Sul primo punto, il maggior costo del dossier titoli, facciamo due semplici calcoli. Se per recuperare il vecchio balzello occorreva il rendimento di un Bot da 2.200 Euro, con la nuova tassazione a 120 Euro di Bot ne serviranno 7.650 e, dal 2013, per il bollo da 150 e quello da 380 servirà rispettivamente il rendimento di Bot per  nominali 9.560 e 24.219. Improvvisamente ci troviamo tutti un po’ più poveri.

Le scappatoie ci sarebbero anche, ma hanno delle controindicazioni. Possiamo distogliere parte degli investimenti su strumenti che non necessitano del dossier, come fondi e polizze per evitare il balzello (ma dobbiamo sottostare ad una struttura di costi diversa e talvolta per nulla trasparente) oppure in depositi (e dire addio alla programmazione finanziaria ed ai più remunerativi rendimenti di lungo periodo) ma dobbiamo anche tenere conto della nuova normativa sui fondi e sulle sicav che crea barriere ed ostacoli in tema di compensazione fra plus e minus. La coperta è corta e da qualsiasi angolatura si analizzi il problema emerge sempre qualche controindicazione.

Si rendono necessari pertanto studi di fattibilità e convenienza personalizzati per individuare la soluzione più idonea che consideri contemporaneamente la rischiosità del portafoglio, la sua redditività, la sua aderenza agli obiettivi di investimento e la normativa fiscale (adesso sì molto complessa).

Forse non è un caso che Consob abbia introdotto il servizio di consulenza ed inviti esplicitamente i risparmiatori a farne uso. Nel frattempo aumenta il numero dei risparmiatori che l’hanno capito e che ne stanno traendo benefici. A buon intenditor…..

Walter Cappello