L’articolo di fondo
di oggi, sabato 29 Ottobre, de “Il Sole 24 Ore” (Perché l’America non è ancora
locomotiva) a firma di Fabrizio Gallimberti pone l’accento sul fatto che l’economia
americana non è ancora trainante per una diffusa crescita economica globale e
individua la causa nella
maldistribuzione dei frutti della crescita. Sono le sue esatte parole.
maldistribuzione dei frutti della crescita. Sono le sue esatte parole.
Non possiamo che
condividerle, dato che più volte abbiamo preso la medesima posizione di
Gallimberti, con la differenza che ovviamente contraddistingue la riconosciuta
autorevolezza del giornale su cui è stato
pubblicato l’articolo rispetto al nostro blog; questa ipotesi circola da
tempo, non è certamente un’affermazione originale, e come tutte le ipotesi non
scaturisce dal leggero tocco di una bacchetta magica ma si forma con gradualità
attraverso l’osservazione dei fatti e l’analisi del maggior numero di dati
disponibili.
L’editorialista non
si limita alla dichiarazione di cui a margine ma approfondisce il concetto
affermando che: 1) la domanda interna statunitense è cresciuta meno del Pil e
dunque non può fungere da locomotiva, 2) che in un mondo multipolare, per
esserci una valida crescita, è necessario che essa sia supportata anche dalle
altre grandi economie del pianeta, Cina ed Unione Europea.
L’articolo si
chiude con la speranza che, alla luce di alcuni segnali, la crescita possa
finalmente arrivare grazie al supporto delle restanti due aree produttive
fondamentali.
In effetti qualcosa
si sta muovendo. Il tasso di disoccupazione americano è vicino ai minimi
storici, pur con tutte le riserve del caso e l’inflazione di fondo si è un po’
più avvicinata al 2%, la soglia fatidica programmata dalla Fed; nel vecchio
continente in Germania si intravede un aumento (modesto) dei prezzi, i tassi
d’interesse si sono mossi all’insù in queste settimane e gli indici di fiducia
sono lievemente migliorati.
Nulla di
particolarmente esaltante ma è legittimo sperare in una ripresa, ancorché
modesta. Per l’economia reale si tratterebbe di salutari boccate d’ossigeno ma
non è detto che debba esserlo necessariamente anche per i mercati finanziari.
Ripresa economica
significa maggiore domanda a incrociare l’offerta, pertanto prezzi in aumento,
inflazione maggiore e tassi crescenti. La finanza ha più che abbondantemente
anticipato tutto ciò grazie alle facilitazioni monetarie degli ultimi anni ma
proprio per questo potrebbe prendersi una bella pausa, se non addirittura - in
chiave prospettica - “pulire” qualche eccesso di troppo.
L’andamento di
quest’ultimo mese sembra andare proprio in questa direzione.
Come si può ben
vedere, nel mese di ottobre i due principali mercati statunitensi registrano un
calo delle quotazioni, così come l’importante piazza di Hong Kong e lo stesso
indice mondiale. Tutto ciò si è verificato in un clima di assoluta convinzione
di non-interventismo sui tassi da parte della Fed e di un forte convincimento
sull'esito delle elezioni politiche mentre Draghi ha confermato le
facilitazioni monetarie per molti mesi ancora. Purtroppo nelle ultime ore
l’indagine federale sta rimescolando le carte e se c’è una cosa che gli
investitori detestano è proprio l’incertezza.
Novembre e dicembre
potrebbero dunque riservare qualche spiacevole sorpresa confermando le
perplessità da noi espresse più volte. Il nostro outlook è confermato: prudenza
e controllo della rischiosità dei portafogli. Sarebbe un vero peccato lasciare
per strada l’importante recupero avvenuto da metà febbraio ad ora.
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