sabato 25 giugno 2011

BANCHE ITALIANE – TERREMOTO MOODY’S


Solamente due mesi fa puntai il dito contro la fragilità del sistema bancario italiano, tenuto ad una serie di aumenti di capitale e al rifinanziamento delle obbligazioni in scadenza; affermai che a mio giudizio era ancora enorme la sottocapitalizzazione del sistema e di conseguenza restava elevato il  pericolo di fallimenti e ciò rappresentava un fattore di grande pericolo per i depositanti, ossia i risparmiatori, indotti a sostenerne le carenze mediante corposi trasferimenti della loro liquidità e di altri strumenti finanziari verso le nuove emissioni obbligazionarie e/o aumenti di capitale.
Questo trasferimento di asset, indotto dai manager bancari (quegli stessi che hanno innescato la crisi nella quale tuttora versiamo e della cui fine al momento non si vede alcun segnale), andrebbe nella direzione di un ulteriore incremento della rischiosità degli asset di investimento (già ora oltre 1/3 della ricchezza finanziaria degli italiani è investita nel debito delle banche) che è esattamente il contrario di quello che investitori di buon senso vorrebbero per i loro sudati risparmi.

Cosa è accaduto in settimana per farmi tornare sull’argomento?

Moody's ha messo sotto osservazione il rating di 16 banche italiane in vista di un possibile downgrade. La misura segue la decisione comunicata ai mercati venerdì 17 giugno di porre il rating dell’Italia Aa2 sotto esame in vista di una possibile riduzione del giudizio a cui ha fatto seguito, tre giorni dopo, l'indicazione di un possibile taglio del giudizio sulla solvibilità anche per società come Enel, Eni, Finmeccanica, Poste e Terna.

In conseguenza di ciò il più sensibile indicatore di malessere, il BTP decennale, si è mosso all’ingiù portando lo spread con il Bund tedesco di pari durata a 208 punti base.

            Vediamo ora se le banche sotto osservazione sono minuscoli istituti di credito o banche di una certa rilevanza nazionale. Stiamo parlando di Intesa Sanpaolo (con le controllate Banca Imi e CariFirenze) , Montepaschi (Siena e la controllata Mps Capital Services), Cassa depositi e prestiti, Banco popolare, Bnl, Cassa di risparmio di Parma e Piacenza,  Friuladria, Carige, Banca Sella, e altri istituti di minori dimensioni Cassa di Risparmio di Bolzano, Cassa di Risparmio di Cesena, Banca Padovana Credito Cooperativo, Cassa Centrale Banca, Cassa Centrale Raiffeisen e l’Istituto Servizi Mercato Agroalimentare.

Per altre 13 banche le prospettive sul rating passano da "stabilì a negative" ma solo per i debiti a più lungo termine. Nel dettaglio si tratta di Ubi, Italease, Credito Emiliano, Credito Valtellinese, Banca popolare di Spoleto e altre. Unicredit, Banca popolare di Milano, Dexia, Efibanca e altri istituti avevano già il rating sui depositi con prospettive negative o sotto revisione per un possibile downgrade: «di conseguenza - dice una nota - il rating di lungo termine sul debito e i depositi potrebbe essere abbassato».

I rating (giudizi di merito) che Moody’s ed altre analoghe società rilasciano - relativamente agli istituti di credito - sono influenzati anche dall’affidabilità creditizia del governo e dalla sua capacità di sostenere le banche. Sul debito non garantito pesano anche i nuovi orientamenti internazionali in tema di fallimenti bancari. Da ciò si può desumere un abbassamento della volontà dei governi di sostenere il debito garantito delle banche più piccole (poco influenti dal punto di vista del sistema) anche se al momento in Italia l’orientamento politico non porta in questa direzione.

Tutto ciò arriva nel bel mezzo di una tempesta che coinvolge la stabilità europea e della sua moneta indotta dalla profonda crisi greca (vedi allarme di Trichet in settimana). La crisi greca, infatti, sta mettendo a nudo la connessione sempre più stretta fra tenuta dei bilanci pubblici e solidità delle banche, che spesso e volentieri hanno in pancia ingenti quantità di titoli di Stato.

Tutto ciò ci porta a concludere che la credibilità nella solidità del sistema bancario, come l’abbiamo conosciuta in passato, sia stata definitivamente scossa e la tendenza dei mercati è quella di avvalorare il punto di vista di quest’agenzia; le performance di borsa di questi titoli sono una concreta testimonianza di tale disagio.

Confrontiamo pertanto le performance di borsa dall’inizio dell’ anno ( ma il risultato sarebbe analogo anche per finestre temporali diverse) dei maggiori istituti di credito italiano rispetto all’indice  Ftse Mib. La Banca Popolare di Milano, che guida questa negativa classifica, cede del 42,97%, seguita da UBI Banca ( -38,53%) e dal Banco Popolare ( -37,74%). Più in là troviamo il Monte dei Paschi ( -25,78%); in coda a questa classifica Unicredit ed Intesa San Paolo, rispettivamente in negativo del 10,70% e del 8,69%. L’indice ha una performance del -4,28%.

Dunque le casseforti in cui i risparmiatori italiani conservano il loro denaro si stanno rivelando meno solide di quanto si potesse credere e, come non bastasse, questi stessi istituti sono spesso anche i naturali interlocutori per i progetti di investimento dei loro Clienti.

L’allarme che lanciai due mesi fa si rinvigorisce proprio attraverso i fatti di questi giorni; come potranno le banche rinunciare a premere la propria clientela affinché i loro investimenti prendano strade diverse (e magari più sicure e redditizie) dalle obbligazioni da loro emesse, così vitali per la loro sopravvivenza?

Saranno, queste stesse banche, in grado di dissuadere la propria clientela dagli aumenti di capitale dei loro istituti ed indurla verso aree e settori a maggiore valore aggiunto immediato (basti vedere dove sono precipitati i prezzi delle banche quotate) e prospettico (basti guardare dove si sta formando la vera crescita economica, Cina India, ecc.).

Saranno infine in grado di esplicitare ai loro clienti il reale grado di rischio che si assumono nel detenere in portafoglio tali prodotti finanziari?

La Mifid dice di sì; la mia esperienza mi suggerisce il contrario, ma solo i loro clienti ne indicheranno la strada. Mi auguro per loro sia quella giusta.

Walter Cappello

sabato 18 giugno 2011

NUOVE NORME FISCALI PER I FONDI COMUNI ITALIANI, LE SICAV E I FONDILUSSEMBURGHESI “STORICI”

Dal 1 Luglio entreranno in vigore alcune modifiche relativamente alla normativa che regola la fiscalità dei Fondi Comuni Italiani, dei Fondi Lussemburghesi “storici” e delle Sicav .

A mio avviso queste novità si tradurranno in un appesantimento della pressione fiscale in capo agli investitori privati e, con l’intento forse di salvaguardare l’industria nazionale del risparmio gestito, certamente andranno a penalizzare lo strumento di investimento più gradito negli ultimi agli investitori italiani, le Sicav, che avevano garantito sino ad ora, oltre ad una maggiore flessibilità e caratura tecnica, anche un alleggerimento fiscale rispetto agli analoghi strumenti di investimento italiani, i Fondi Comuni.

I dati dei flussi di investimento in questi anni sono stati infatti inequivocabili: a fronte di un progressivo ed inarrestabile emorragia dai Fondi Italiani le Sicav hanno progressivamente assunto un ruolo di leadership nella gestione del risparmio nazionale dal 2000 in avanti.

Vediamo però di cosa si tratta per verificare se la questione tocca i nostri interessi più immediati e, se così fosse, se ci siano gli spazi per l’attenuazione del loro impatto agendo nei giorni che ci separano dall’entrata in vigore delle nuove norme.

La modifica più importante riguarda i Fondi Comuni per i quali si attua il passaggio della tassazione dal maturato (regolata all’interno dei medesimi) al realizzato (regolata in sede di liquidazione degli investimenti, siano essi parziali o totali) che viene regolata in capo al sottoscrittore. Le plusvalenze saranno pertanto considerate redditi di capitale e, per le persone fisiche, regolate a titolo d’imposta.

Diversamente, se le liquidazioni producessero delle minusvalenze queste sarebbero considerate alla stregua di redditi diversi. Assimilati alle minusvalenze e pertanto considerati redditi diversi saranno considerati i diritti fissi e le commissioni di ingresso e/o di uscita.

La compensazione fiscale potrà dunque avvenire esclusivamente con altri redditi diversi (capital gain su obbligazioni, titoli di stato ed azioni “non qualificate”).

Analogamente è stato abolito il principio di compensazione fra plusvalenze e minusvalenze all’interno delle sicav mediante le operazioni di switch. Dal 1^ luglio infatti le operazioni di switch fra comparti di sicav comporteranno l’immediato regolamento fiscale con il pagamento delle imposte dovute sulle plusvalenze maturate sul comparto d’uscita.

E’ evidente che, soprattutto in questi casi, mentre sino ad oggi le compensazioni fra comparti producevano una sorta di neutralità nei confronti dell’investimento complessivo nelle sicav, d’ora in avanti si pagheranno di volta in volta le imposte sui comparti liquidati in guadagno mentre finiranno nel calderone delle “ipotetiche” compensazioni tutte le  minusvalenze accertate che, trascorsi quattro anni, saranno definitivamente perdute.

Per quanto attiene infine i Fondi Comuni è stato previsto un “calcolo fiscale” difforme dal computo reale del valore di base al fine di consentire un parziale recupero delle minusvalenze ancora gravanti sugli investimenti alla data del 30 giugno corrente. Ciò nonostante potrà avvenire, in moltissimi casi, l’inconveniente di dover pagare delle imposte anche sulle minusvalenze all’atto della liquidazione delle proprie posizioni.

E’ comunque previsto che si possa rinunciare all’applicazione del regime del risparmio amministrato con apposita comunicazione da effettuare entro il 30 settembre 2011, con effetto dal 1° luglio 2011, il che ovviamente comporta il trasferimento in toto delle incombenze amministrative e fiscali dalla banca al cliente stesso.

Sarebbe dunque opportuno che i risparmiatori dotati di buona patrimonialità, probabilmente quelli maggiormente toccati dalle nuove norme, effettuassero con grande rapidità l’analisi della loro attuale situazione e verificassero l’incidenza della nuova imposizione fiscale.

Scoprirebbero che in alcuni casi sarebbe per loro conveniente effettuare dei riaggiustamenti di portafoglio mirati a comprimere l’incidenza della nuova fiscalità sulle loro posizioni gestite e magari, con l’occasione, verificare la coerenza dei loro asset con le loro esigenze e gli andamenti dei mercati che si prospettano in linea con la stagione estiva. Piuttosto caldi con temperature in progressivo aumento.

Walter Cappello