sabato 31 dicembre 2011

IL RISPARMIATORE ITALIANO E LA SINDROME DI PETER PAN



Con l’avvicinarsi del capodanno è consuetudine  fare delle riflessioni su come è andato l’anno che stiamo per abbandonare e ci lasciamo andare a ipotesi e congetture su cosa vorremmo e dovremmo fare in quello successivo affinché si possano trarre miglioramenti e soddisfazioni.

sabato 20 agosto 2011

FLASH SULLA SITUAZIONE DEI MERCATI



In quest’ultimo mese i mercati finanziari sono entrati in una fase di grande fibrillazione ingenerando forti apprensioni nei risparmiatori che, sotto l’ombrellone o all’ombra di un abete per trovare un po’ di pace e serenità, si sono invece guastati il fegato.

Vediamo dunque di fare il punto della situazione al fine di comprendere cosa sta accadendo, in quale misura tocca gli investimenti e se è il caso di intervenire o meno.

Per prima cosa va sottolineato il fatto che sono state riviste al ribasso le previsioni sulla crescita del Pil globale; il rallentamento della crescita è più accentuato nei paesi occidentali rispetto ai paesi emergenti.

E’ un fatto sorprendente? Mi sono già espresso più volte su questo tema e la mia posizione resta immutata: recuperare la situazione ante Lehman sarà difficile e comunque molto lenta, probabilmente un percorso di durata pluridecennale.

A giugno mi sono recato negli Stati Uniti per dei corsi di aggiornamento professionale e la sensazione di perdurante rallentamento economico era già a mio avviso palese sin da allora e ciò ha contribuito a tenerne conto nella costruzione degli asset di portafoglio.

L’accelerazione del rallentamento è stata indotta da decisioni politiche. Stati Uniti ed Europa si sono avvitati in quest’ultimo periodo su temi di assoluta importanza per gli investitori (tetto di spesa, deficit di bilancio, rientro del debito su posizioni più ragionevoli, possibilità di default di alcuni stati europei) ed i mercati hanno tratto la seguente conclusione: le idee non sono chiare, le politiche sono dilatorie, si inaspriranno le politiche fiscali.

Dunque si vende in attesa di tempi migliori ma al contempo si mandano pesantissimi segnali ai responsabili delle politiche economiche di governo.

Siamo in bilico. Questo sì. La possibilità di entrare nuovamente in recessione ha le stesse probabilità di essere evitata e dal mio punto di vista sono più propenso a concepire un lungo rallentamento piuttosto che una vera e propria ricaduta recessiva. Perché dico questo? In primo luogo le aziende produttive sono sostanzialmente in salute. I redditi delle famiglie troveranno un sostegno da un calo dell’inflazione (stanno rientrando gli eccessi di prezzo delle materie prime). Le politiche economiche verranno riviste da parte delle banche centrali (il segnale di malcontento degli investitori è stato inequivocabile).

Non è un nuovo 2008. Le condizioni sono migliori ma nondimeno ricordiamoci che gli spazi di manovra sono piuttosto esigui. Il pericolo maggiore sta nella gestione dell’emotività. Dopo un decennio di cocenti delusioni e generalmente colpiti da consistenti perdite di valore i risparmiatori saranno in grado di mantenere i nervi saldi? La spirale di sfiducia potrebbe innescarsi se prevalesse l’irrazionalità e la paura potrebbe determinare la rottura dell’attuale “equilibrio” e innescare per davvero il tanto temuto processo recessivo.

In che misura tutto ciò che è avvenuto ha toccato gli investimenti?

Ad oggi portafogli gestiti con componenti azionarie fra il 30 ed il 50% hanno mediamente ottenuto risultanze negative tra il 4 ed il 10% da inizio anno. Strategie maggiormente conservative che avessero tenuto conto della situazione di mercato e pertanto fossero stati allestiti o con sensibili riduzioni della componente azionaria o mediante il ricorso a prodotti a gestione flessibile potrebbero ragionevolmente - nello medesimo arco temporale - aver dato risultanze reddituali a cavallo fra un modesto risultato positivo ed un meno brillante -4%.

Infine, molto accentuata sarebbe stata la differenza di volatilità fra tali asset.


INTERVENTO SI’,  INTERVENTO NO

Cosa fare ora?

La situazione di equilibrio raggiunta nei mercati induce a :

Ø  non prendere posizioni difensive se i portafogli sono in grado di reggere ulteriori pressioni al ribasso senza eccessive conseguenze;
Ø  non farsi tentare di procedere ad acquisti nel convincimento che i prezzi siano buoni in prospettiva. La possibilità di scivolare in recessione è comunque alta e un’esposizione al rischio azzardata potrebbe arrecare seri danni al valore dei patrimoni. Il gioco non vale la candela … (ancora).

Per qualche settimana i livelli di volatilità dovrebbero restare accentuati e nondimeno ci potremmo aspettare alcune situazioni che ciclicamente si concretizzano in situazioni analoghe; potremmo avere una finta ripartenza delle quotazioni tale da indurre i risparmiatori ad entrare nel mercato convinti di poter speculare anche a breve, potremmo entrare in una situazione di ulteriore ribasso dei corsi se prevalesse il pessimismo fra gli addetti ai lavori o infine potrebbe verificarsi un consolidamento delle quotazioni dentro uno stretto range per alcuni mesi.

Nell’attesa di avere idee più chiare sull’evoluzione del trend prepariamoci a subire un periodo di alta volatilità consapevoli che se i nostri asset sono stati ben progettati e la qualità intrinseca del portafoglio è buona non abbiamo gettato fiches su un tavolo verde ma che abbiamo fatto un buon lavoro al fine di salvaguardare i nostri sudati risparmi.

I risultati arriveranno. L’importante è che il nostro orizzonte temporale sia adeguato ad un’attesa che andrà al di là dei pochi mesi che ci separano alla fine dell’anno.

Walter Cappello

domenica 10 luglio 2011

3 TEMI CALDI

Il secondo trimestre del 2011 ha evidenziato alcuni aspetti piuttosto preoccupanti per gli investitori. In Europa il problema Grecia (peraltro non ancora risolto) si è manifestato in tutta la sua virulenza facendo emergere l’impossibilità - ad oggi - di arrivare a coprire l’enorme eccesso di debito attraverso le manovre restrittive previste dal governo, pur pesantissime ed invise ai cittadini di quel paese. La concreta possibilità di default si sta estendendo agli altri paesi in situazione di forte sbilancio tra cui l’Italia, tema che tratteremo più avanti.

Negli Stati Uniti non si riesce a riassorbire la disoccupazione che sta bloccando i consumi della classe media, il settore immobiliare è assolutamente bloccato e non c’è alcuna possibilità di miglioramento almeno per quest’anno. La produzione tiene, come pure gli utili aziendali, ma tutto questo non è sufficiente per far ripartire l’economia ed anche il governo federale dovrà iniziare a tagliare massicciamente le proprie spese per non restare intrappolato in una situazione “simil-greca” deprimendo ancor più i consumi.

In Nord-Africa la questione libica non ha ancora trovato sbocco e le tensioni in tutta l’area si fanno ancora sentire. L’auspicato processo di pacificazione ed ammodernamento dell’area darebbe una spinta allo sviluppo con ricadute benefiche sui paesi europei dell’area mediterranea ma tutto ciò non ha alcuna possibilità di realizzazione a breve.

L’economia dei paesi emergenti (o ex emergenti) continua a marciare ma sta perdendo smalto e speditezza. Se il mondo occidentale non è in grado di assorbire, come nel passato, i beni prodotti in questi paesi ed è impensabile che ciò non abbia conseguenze; continuare a produrre “a testa bassa” non farebbe che portare ad una fase di sovrapproduzione e da lì alla crisi. La consapevolezza di ciò ha reso prudenti, in queste aree, i responsabili delle politiche economiche ed assistiamo ad un maggiore controllo dello sviluppo (leggasi rallentamento).

In Giappone, infine, a fronte di una necessità vitale di ricostruire ciò che il terremoto e lo tsunami hanno distrutto nella zona di Fukushima, si sta procedendo ad incrementi sensibili della spesa per infrastrutture ma si registra, in contrapposizione a ciò, una contrazione dei consumi ordinari e dunque la situazione per il momento non lascia molti spazi per credibili miglioramenti (ricordiamo che il Giappone si dibatte in una crisi strutturale pluridecennale).

L’andamento dei principali mercati azionari in questo difficile contesto è stato univocamente negativo con l’eccezione di Francia e Germania. I principali mercati BRIC, con l’eccezione della Russia, hanno addirittura registrato le peggiori performance fra le principali piazze azionarie mondiali.

In questo contesto si è rivelata vincente la mossa di ricorrere a strategie gestionali flessibili che hanno potuto attenuare l’impatto negativo sulla redditività del portafoglio.


LA SPECULAZIONE ATTACCA I PAESI DEBOLI DELL’EUROPA

            Come il branco di lupi attacca il capriolo più debole e meno veloce così la speculazione individua il tema più scottante ed inizia l’assalto al titolo, valuta o mercato che sia e sferra l’attacco. Così come al primo lupo che azzanna il capriolo gli altri predatori del branco via via si accodano con l’obiettivo unico del pasto abbondante, analogamente sui mercati fnanziari ai primi speculatori se ne accodano immediatamente altri ed altri ancora con l’obiettivo di grandi e veloci guadagni.

Il caso Grecia ha lasciato ampio spazio alla speculazione; non appena si è capito che nei conti pubblici ellenici c’era a dir poco una voragine e una volta compreso che la gran parte dei titoli del debito pubblico era in mano a governi e banche europee a loro volta molto deboli ed al limite della loro stabilità economica, l’attacco è partito. In pochi giorni esso si è esteso a quei paesi (ed alle loro banche) caratterizzati da debiti e deficit pubblici molto elevati, bassa crescita e difficoltà di manovra sotto il profilo fiscale; tutti gli altri componenti l’ormai famigerata famiglia dei PIIGS (Portogallo, Irlanda, Italia, Spagna) sono stati posti sotto attacco.

In pochi giorni i credit default swaps hanno raggiunto punte molto elevate sul titolo guida della comunità europea, il bund tedesco, ed i prezzi dei titoli di stato hanno subito pesanti contraccolpi negativi. In coda ai titoli di stato tutti i titoli bancari hanno subito analoga sorte.

Si punta sull’incapacità di questi paesi di far fronte alle loro difficoltà e di non essere in grado di approntare velocemente manovre sul fronte interno tali da riuscire ad uscire dalle loro criticità. Con la canna del fucile puntata alla schiena, i governi di questi paesi (ricordo, fra essi l’Italia dei Bot e delle banche che non possono fallire …) dovranno definire velocemente manovre fiscali tali da drenare grandi quantità di risorse da destinare alla riduzione delle dissestate finanze pubbliche. In tal modo si ridurranno i consumi, si frenerà l’economia e ci si troverà nuovamente con le finanze dissestate. In altre parole si potrebbe arrivare ad un avvitamento della situazione tale da provocare il default.

La probabilità è ancora remota e nessuna autorità ne parla come di una reale possibilità ma la questione passa per la capacità (o meno) dei governi di attuare manovre tali da arginare la situazione ed al contempo di intercettare la crescita economica. Compito non facile e comunque subordinato all’altrettanto ampia capacità e disponibilità del mondo produttivo (imprese e lavoratori) di fare fronte comune e di avviare un processo virtuoso di saldatura sociale ed economica che porti il paese fuori dalle secche in cui si è arenato.

Previsioni? Nessuno può farne, ma aspettiamoci tempi duri. E’ antipatico mettersi i panni di Cassandra, ma che ciò potesse accadere con  ampi margini probabilistici stava nelle mie considerazioni già nella primavera del 2010. 

Adesso il fenomeno è sotto gli occhi di tutti e dunque prendiamone atto ed assumiamo comportamenti coerenti per la nostra salvaguardia personale e familiare.


LA MANOVRA FISCALE SI AGGRAPPA ALLA FINANZA PERSONALE

A meno di un mese di distanza da quando comunicai l’introduzione della nuova normativa fiscale mi trovo a dover tornare sull’argomento tasse per quanto è stato presentato al paese come manovra aggiuntiva di bilancio. Sappiamo tutti che intorno a ciò dovrebbe nascere un dibattito destinato ad apportare modifiche e miglioramenti alle proposte ministeriali ma l’aria che tira non fa pensare a modifiche sostanziali (la pressione della speculazione ed i numeri della maggioranza parlamentare lasciano poco spazio a simili fantasie).

La cosa più  importante che emerge, ma sulla quale non intendo soffermarmi più di tanto in questa fase in quanto il dibattito e le modifiche senz’altro ci saranno (eccome) è la questione previdenziale. In un paese dove privilegi di ogni sorta costituiscono l’iniqua anomalia italiana è certo, anzi, certissimo, che i privilegi previdenziali saranno intaccati solo con misure di facciata; nondimeno saranno incrementate (anche nell’immediato) quelle misure che si rendono necessarie per decelerare l’incremento della spesa pensionistica pubblica immediata e futura.

La conseguenza è che vedremo da subito diminuire la potenzialità di spesa (e non è certo grasso che cola …) degli attuali “normali” pensionati ma irrimediabilmente verranno intaccate le possibilità, non solo di una serena vecchiaia, ma addirittura di sopravvivenza dei pensionati futuri.

Si parla innanzitutto dell’allungamento del periodo lavorativo ma soprattutto della continua erosione del montante previdenziale da cui discendono le rendite previdenziali che si agganceranno alle speranze di vita. In altre parole lavoreremo più a lungo e percepiremo rendite sensibilmente più basse per via di due fattori, 1) lo scollamento sempre maggiore rispetto all’inflazione, 2) la maggiore durata del periodo di percezione delle rendite pensionistiche provocata dall’allungamento del ciclo vitale.

Già oggi (notizia di pochi giorni fa) è stato dichiarato che oltre il 40% dei futuri pensionati da lavoro dipendente  (quelli fortunati ...) avrà una pensione che non raggiungerà i 1.000 Euro mensili e che sarà comunque inferiore al primo stipendio percepito in carriera (quello di 40 anni prima …).

Cominceranno pertanto a fare qualche serio ragionamento sull’argomento non solo coloro che in pensione devono ancora andare ma anche coloro che, seppur pensionati, hanno figli che subiranno tutto ciò ?

E veniamo alle immediate note dolenti. Il famigerato conto titoli e l’aliquota fiscale.

Salvo ripensamenti, la manovra governativa innalza il costo del dossier titoli dai 34,20 Euro/anno attuali a 120. Dal 2013 il costo sale a 150 Euro per coloro che hanno titoli per un controvalore fino a 50.000 Euro e a 380 Euro per controvalori superiori a detta cifra. E’ in arrivo anche un’aliquota unica al 20% che dovrebbe essere applicata alle rendite finanziarie originate da qualsivoglia strumento finanziario (fatto salvo il mantenimento dell’attuale aliquota del 12,50% per i titoli dello stato).

Sul primo punto, il maggior costo del dossier titoli, facciamo due semplici calcoli. Se per recuperare il vecchio balzello occorreva il rendimento di un Bot da 2.200 Euro, con la nuova tassazione a 120 Euro di Bot ne serviranno 7.650 e, dal 2013, per il bollo da 150 e quello da 380 servirà rispettivamente il rendimento di Bot per  nominali 9.560 e 24.219. Improvvisamente ci troviamo tutti un po’ più poveri.

Le scappatoie ci sarebbero anche, ma hanno delle controindicazioni. Possiamo distogliere parte degli investimenti su strumenti che non necessitano del dossier, come fondi e polizze per evitare il balzello (ma dobbiamo sottostare ad una struttura di costi diversa e talvolta per nulla trasparente) oppure in depositi (e dire addio alla programmazione finanziaria ed ai più remunerativi rendimenti di lungo periodo) ma dobbiamo anche tenere conto della nuova normativa sui fondi e sulle sicav che crea barriere ed ostacoli in tema di compensazione fra plus e minus. La coperta è corta e da qualsiasi angolatura si analizzi il problema emerge sempre qualche controindicazione.

Si rendono necessari pertanto studi di fattibilità e convenienza personalizzati per individuare la soluzione più idonea che consideri contemporaneamente la rischiosità del portafoglio, la sua redditività, la sua aderenza agli obiettivi di investimento e la normativa fiscale (adesso sì molto complessa).

Forse non è un caso che Consob abbia introdotto il servizio di consulenza ed inviti esplicitamente i risparmiatori a farne uso. Nel frattempo aumenta il numero dei risparmiatori che l’hanno capito e che ne stanno traendo benefici. A buon intenditor…..

Walter Cappello

sabato 25 giugno 2011

BANCHE ITALIANE – TERREMOTO MOODY’S


Solamente due mesi fa puntai il dito contro la fragilità del sistema bancario italiano, tenuto ad una serie di aumenti di capitale e al rifinanziamento delle obbligazioni in scadenza; affermai che a mio giudizio era ancora enorme la sottocapitalizzazione del sistema e di conseguenza restava elevato il  pericolo di fallimenti e ciò rappresentava un fattore di grande pericolo per i depositanti, ossia i risparmiatori, indotti a sostenerne le carenze mediante corposi trasferimenti della loro liquidità e di altri strumenti finanziari verso le nuove emissioni obbligazionarie e/o aumenti di capitale.
Questo trasferimento di asset, indotto dai manager bancari (quegli stessi che hanno innescato la crisi nella quale tuttora versiamo e della cui fine al momento non si vede alcun segnale), andrebbe nella direzione di un ulteriore incremento della rischiosità degli asset di investimento (già ora oltre 1/3 della ricchezza finanziaria degli italiani è investita nel debito delle banche) che è esattamente il contrario di quello che investitori di buon senso vorrebbero per i loro sudati risparmi.

Cosa è accaduto in settimana per farmi tornare sull’argomento?

Moody's ha messo sotto osservazione il rating di 16 banche italiane in vista di un possibile downgrade. La misura segue la decisione comunicata ai mercati venerdì 17 giugno di porre il rating dell’Italia Aa2 sotto esame in vista di una possibile riduzione del giudizio a cui ha fatto seguito, tre giorni dopo, l'indicazione di un possibile taglio del giudizio sulla solvibilità anche per società come Enel, Eni, Finmeccanica, Poste e Terna.

In conseguenza di ciò il più sensibile indicatore di malessere, il BTP decennale, si è mosso all’ingiù portando lo spread con il Bund tedesco di pari durata a 208 punti base.

            Vediamo ora se le banche sotto osservazione sono minuscoli istituti di credito o banche di una certa rilevanza nazionale. Stiamo parlando di Intesa Sanpaolo (con le controllate Banca Imi e CariFirenze) , Montepaschi (Siena e la controllata Mps Capital Services), Cassa depositi e prestiti, Banco popolare, Bnl, Cassa di risparmio di Parma e Piacenza,  Friuladria, Carige, Banca Sella, e altri istituti di minori dimensioni Cassa di Risparmio di Bolzano, Cassa di Risparmio di Cesena, Banca Padovana Credito Cooperativo, Cassa Centrale Banca, Cassa Centrale Raiffeisen e l’Istituto Servizi Mercato Agroalimentare.

Per altre 13 banche le prospettive sul rating passano da "stabilì a negative" ma solo per i debiti a più lungo termine. Nel dettaglio si tratta di Ubi, Italease, Credito Emiliano, Credito Valtellinese, Banca popolare di Spoleto e altre. Unicredit, Banca popolare di Milano, Dexia, Efibanca e altri istituti avevano già il rating sui depositi con prospettive negative o sotto revisione per un possibile downgrade: «di conseguenza - dice una nota - il rating di lungo termine sul debito e i depositi potrebbe essere abbassato».

I rating (giudizi di merito) che Moody’s ed altre analoghe società rilasciano - relativamente agli istituti di credito - sono influenzati anche dall’affidabilità creditizia del governo e dalla sua capacità di sostenere le banche. Sul debito non garantito pesano anche i nuovi orientamenti internazionali in tema di fallimenti bancari. Da ciò si può desumere un abbassamento della volontà dei governi di sostenere il debito garantito delle banche più piccole (poco influenti dal punto di vista del sistema) anche se al momento in Italia l’orientamento politico non porta in questa direzione.

Tutto ciò arriva nel bel mezzo di una tempesta che coinvolge la stabilità europea e della sua moneta indotta dalla profonda crisi greca (vedi allarme di Trichet in settimana). La crisi greca, infatti, sta mettendo a nudo la connessione sempre più stretta fra tenuta dei bilanci pubblici e solidità delle banche, che spesso e volentieri hanno in pancia ingenti quantità di titoli di Stato.

Tutto ciò ci porta a concludere che la credibilità nella solidità del sistema bancario, come l’abbiamo conosciuta in passato, sia stata definitivamente scossa e la tendenza dei mercati è quella di avvalorare il punto di vista di quest’agenzia; le performance di borsa di questi titoli sono una concreta testimonianza di tale disagio.

Confrontiamo pertanto le performance di borsa dall’inizio dell’ anno ( ma il risultato sarebbe analogo anche per finestre temporali diverse) dei maggiori istituti di credito italiano rispetto all’indice  Ftse Mib. La Banca Popolare di Milano, che guida questa negativa classifica, cede del 42,97%, seguita da UBI Banca ( -38,53%) e dal Banco Popolare ( -37,74%). Più in là troviamo il Monte dei Paschi ( -25,78%); in coda a questa classifica Unicredit ed Intesa San Paolo, rispettivamente in negativo del 10,70% e del 8,69%. L’indice ha una performance del -4,28%.

Dunque le casseforti in cui i risparmiatori italiani conservano il loro denaro si stanno rivelando meno solide di quanto si potesse credere e, come non bastasse, questi stessi istituti sono spesso anche i naturali interlocutori per i progetti di investimento dei loro Clienti.

L’allarme che lanciai due mesi fa si rinvigorisce proprio attraverso i fatti di questi giorni; come potranno le banche rinunciare a premere la propria clientela affinché i loro investimenti prendano strade diverse (e magari più sicure e redditizie) dalle obbligazioni da loro emesse, così vitali per la loro sopravvivenza?

Saranno, queste stesse banche, in grado di dissuadere la propria clientela dagli aumenti di capitale dei loro istituti ed indurla verso aree e settori a maggiore valore aggiunto immediato (basti vedere dove sono precipitati i prezzi delle banche quotate) e prospettico (basti guardare dove si sta formando la vera crescita economica, Cina India, ecc.).

Saranno infine in grado di esplicitare ai loro clienti il reale grado di rischio che si assumono nel detenere in portafoglio tali prodotti finanziari?

La Mifid dice di sì; la mia esperienza mi suggerisce il contrario, ma solo i loro clienti ne indicheranno la strada. Mi auguro per loro sia quella giusta.

Walter Cappello

sabato 18 giugno 2011

NUOVE NORME FISCALI PER I FONDI COMUNI ITALIANI, LE SICAV E I FONDILUSSEMBURGHESI “STORICI”

Dal 1 Luglio entreranno in vigore alcune modifiche relativamente alla normativa che regola la fiscalità dei Fondi Comuni Italiani, dei Fondi Lussemburghesi “storici” e delle Sicav .

A mio avviso queste novità si tradurranno in un appesantimento della pressione fiscale in capo agli investitori privati e, con l’intento forse di salvaguardare l’industria nazionale del risparmio gestito, certamente andranno a penalizzare lo strumento di investimento più gradito negli ultimi agli investitori italiani, le Sicav, che avevano garantito sino ad ora, oltre ad una maggiore flessibilità e caratura tecnica, anche un alleggerimento fiscale rispetto agli analoghi strumenti di investimento italiani, i Fondi Comuni.

I dati dei flussi di investimento in questi anni sono stati infatti inequivocabili: a fronte di un progressivo ed inarrestabile emorragia dai Fondi Italiani le Sicav hanno progressivamente assunto un ruolo di leadership nella gestione del risparmio nazionale dal 2000 in avanti.

Vediamo però di cosa si tratta per verificare se la questione tocca i nostri interessi più immediati e, se così fosse, se ci siano gli spazi per l’attenuazione del loro impatto agendo nei giorni che ci separano dall’entrata in vigore delle nuove norme.

La modifica più importante riguarda i Fondi Comuni per i quali si attua il passaggio della tassazione dal maturato (regolata all’interno dei medesimi) al realizzato (regolata in sede di liquidazione degli investimenti, siano essi parziali o totali) che viene regolata in capo al sottoscrittore. Le plusvalenze saranno pertanto considerate redditi di capitale e, per le persone fisiche, regolate a titolo d’imposta.

Diversamente, se le liquidazioni producessero delle minusvalenze queste sarebbero considerate alla stregua di redditi diversi. Assimilati alle minusvalenze e pertanto considerati redditi diversi saranno considerati i diritti fissi e le commissioni di ingresso e/o di uscita.

La compensazione fiscale potrà dunque avvenire esclusivamente con altri redditi diversi (capital gain su obbligazioni, titoli di stato ed azioni “non qualificate”).

Analogamente è stato abolito il principio di compensazione fra plusvalenze e minusvalenze all’interno delle sicav mediante le operazioni di switch. Dal 1^ luglio infatti le operazioni di switch fra comparti di sicav comporteranno l’immediato regolamento fiscale con il pagamento delle imposte dovute sulle plusvalenze maturate sul comparto d’uscita.

E’ evidente che, soprattutto in questi casi, mentre sino ad oggi le compensazioni fra comparti producevano una sorta di neutralità nei confronti dell’investimento complessivo nelle sicav, d’ora in avanti si pagheranno di volta in volta le imposte sui comparti liquidati in guadagno mentre finiranno nel calderone delle “ipotetiche” compensazioni tutte le  minusvalenze accertate che, trascorsi quattro anni, saranno definitivamente perdute.

Per quanto attiene infine i Fondi Comuni è stato previsto un “calcolo fiscale” difforme dal computo reale del valore di base al fine di consentire un parziale recupero delle minusvalenze ancora gravanti sugli investimenti alla data del 30 giugno corrente. Ciò nonostante potrà avvenire, in moltissimi casi, l’inconveniente di dover pagare delle imposte anche sulle minusvalenze all’atto della liquidazione delle proprie posizioni.

E’ comunque previsto che si possa rinunciare all’applicazione del regime del risparmio amministrato con apposita comunicazione da effettuare entro il 30 settembre 2011, con effetto dal 1° luglio 2011, il che ovviamente comporta il trasferimento in toto delle incombenze amministrative e fiscali dalla banca al cliente stesso.

Sarebbe dunque opportuno che i risparmiatori dotati di buona patrimonialità, probabilmente quelli maggiormente toccati dalle nuove norme, effettuassero con grande rapidità l’analisi della loro attuale situazione e verificassero l’incidenza della nuova imposizione fiscale.

Scoprirebbero che in alcuni casi sarebbe per loro conveniente effettuare dei riaggiustamenti di portafoglio mirati a comprimere l’incidenza della nuova fiscalità sulle loro posizioni gestite e magari, con l’occasione, verificare la coerenza dei loro asset con le loro esigenze e gli andamenti dei mercati che si prospettano in linea con la stagione estiva. Piuttosto caldi con temperature in progressivo aumento.

Walter Cappello

mercoledì 6 aprile 2011

IN ARRIVO UN’ONDATA DI EMISSIONI BANCARIE. UN AFFARE? PER CHI?

Ho avuto modo di dire, a più riprese, che l’uscita dalla crisi del 2008 sarebbe potuta avvenire solo a distanza di alcuni anni e con l’attuazione di un riassetto globale sia della finanza che dell’economia reale e che questa lunga fase (un vero e proprio cambiamento epocale) avrebbe comportato seri problemi alle famiglie.

In questi giorni sta riaffiorando quello che fu il tema dominante del cosiddetto “Lehman crash”, ossia la fragilità della situazione patrimoniale del sistema bancario occidentale e vediamone i motivi.

Le dimensioni degli aumenti di capitale delle banche (circa 40 Miliardi di Euro) e di rifinanziamento delle obbligazioni in scadenza da loro emesse (grosso modo altri 200 Miliardi) al fine di rafforzarne le strutture, sono a dir poco imponenti; basti pensare che il valore di borsa dell’intero sistema bancario italiano si aggira intorno ai 100 Miliardi.

Questo non è che un “assaggio” in quanto le nuove regole di Basilea 3 sul patrimonio e sulla liquidità imporranno, conti alla mano, una raccolta globale di ca. 2.300 miliardi di Euro (*) a lungo termine a livello europeo (a ciò si aggiungano altri 2.200 miliardi negli Stati Uniti) e ciò entro il 2019 in quanto – per quell’epoca – il livello di liquidità e contanti in grado di fronteggiare necessità di cassa per almeno un anno dovrà essere consolidato.
(*) Tanto per capirci questa cifra corrisponde a 4.453.421.000.000.000 di vecchie lire oppure, in termini di beni reali, al controvalore di 115.000.000 di vetture Volkswagen Golf nuove (2 per ogni italiano).

Il che ci porta a 2 immediate considerazioni:

Ø  la prima, estremamente ovvia, è che la sottocapitalizzazione del sistema bancario occidentale è ancora enorme e ciò conferma il perdurante latente pericolo di fallimenti CHE rappresenta un fattore di grande pericolo per i depositanti, ossia i risparmiatori;
Ø  che da qualche parte si dovrà trovare il denaro necessario al rafforzamento del sistema bancario.

Il punto nodale della questione sta nel come e dove trovare questi soldi.

Chi possono essere i sottoscrittori di questa valanga di titoli di debito? Tradizionalmente sono tre i soggetti a cui potersi rivolgere:

Ø  Governi
Ø  Compagnie di Assicurazione
Ø  Risparmiatori

Il primo soggetto (Governi) ha già le sue brutte gatte da pelare, alle prese con deficit ben oltre il ragionevole e gravato di debiti immensi (in parte dovuti al salvataggio delle stesse banche). Nei mesi scorsi in Europa si è provveduto a costituire un fondo mirato a evitare la bancarotta degli stessi paesi membri utilizzando parte dii tali risorse per tamponare le situazioni di Grecia (che già arranca di nuovo), Irlanda (alla quale potrebbero essere necessari a breve altri 24 Miliardi di Euro per non affondare) e a breve batterà cassa il Portogallo, declassato da tutte le principali  società di rating nei giorni scorsi a causa di debito e deficit fuori controllo.

Negli Usa, gravati dalla peggiore situazione di bilancio pubblico della loro storia, il partito d’opposizione (quello repubblicano) ha presentato in queste ore una richiesta di tagli che non consente spazio a nessun ulteriore intervento.

I Governi, dunque, difficilmente potranno assorbire la richiesta di denaro in arrivo dal sistema bancario.

Le Compagnie di Assicurazione, storicamente grandi acquirenti di obbligazioni bancarie, hanno gli stessi problemi delle banche. Anche per loro, infatti, è stato costruito un modello operativo analogo a Basilea 3, denominato Solvency II, che le costringerà a massicci rafforzamenti patrimoniali e pertanto il loro tradizionale appoggio o verrà meno o sarà decisamente inferiore al passato.

Semaforo rosso anche in questa direzione dunque.

Restano i privati, ossia i comuni risparmiatori. Legati per tradizione agli sportelli bancari, i risparmiatori italiani, evidentemente principale, se non unico, soggetto destinatario di questa enorme offerta di debiti e/o partecipazioni, saranno ben presto “assediati” dai loro interlocutori (sportellisti e/o bankers) affinchè facciano confluire su tali strumenti la loro liquidità disponibile e i restanti asset patrimoniali.

Viene spontaneo chiedersi, dato che si tratta dei propri risparmi: “A che prezzi? Con che vincoli? Con quali rischi? …”.

Non si vogliono certo dare giudizi di merito sulla qualità delle obbligazioni e delle azioni da emettere ma una considerazione dobbiamo pur farla.

Il portafoglio degli italiani è già ora costituito per circa 1/3 dal debito delle banche (fra conti correnti, pronti contro termine, obbligazioni, ecc.) e questa percentuale, la più alta al mondo, salirà ulteriormente; non è di sicuro una grande scelta di investimento per i risparmiatori italiani.

Walter Cappello

domenica 9 gennaio 2011

I MERCATI E GLI INVESTIMENT NEL 2010 E PROSPETTIVE PER IL 2011

Il 2010, da pochi giorni conclusosi, si è sostanzialmente caratterizzato per:

ü  mantenimento di tassi bassi da parte di tutte le banche centrali occidentali a conferma del permanere di gravi difficoltà sul fronte della ripresa economica;
ü  sostanziale trend positivo dei mercati azionari i cui driver principali sono stati i bassi rendimenti dei titoli obbligazionari e la conferma del ritorno all’utile di gran parte delle aziende quotate;
ü  forti pressioni sui mercati obbligazionari europei che hanno dapprima sofferto per la difficile situazione greca (in primavera) e successivamente, in autunno, per quella irlandese;
ü  sostanziale impasse del mercato immobiliare in tutti i paesi europei e negli Stati Uniti.

L’anno entrante si presenta come anno difficile. Si può ragionevolmente prevedere che continueranno le tensioni sui paesi deboli dell’Europa (non è certo un mistero affermare che sotto i riflettori ci siano, nell’ordine, Portogallo, Spagna, Italia ma si può pensare a difficoltà anche in qualche paese dell’area orientale) e conseguentemente sull’Euro.

I tassi di interesse prima o dopo dovranno iniziare ad allinearsi ad una maggiore aderenza alla realtà e questo processo potrebbe avere inizio forse già dal primo semestre. Tassi dunque in crescita e, di conseguenza, cadute di prezzo relativamente alle emissioni attualmente detenute in portafoglio.

Il verificarsi di questi due fattori (o anche solo uno di essi) porterà a significative turbolenze sul comparto obbligazionario e si renderanno dunque necessari interventi di riallocazione di questa fondamentale porzione degli asset mirati alla conservazione dei valori patrimoniali.

Più fluida si presenta la situazione dei mercati azionari che potranno presumibilmente beneficiare ancora per alcuni mesi di una situazione di relativo “privilegio”; i titoli obbligazionari resteranno poco attraenti per gli investitori e lo saranno ancor di più in presenza di ulteriori turbolenze e pertanto in assenza di elementi pregiudizievoli gli asset azionari sono ancora da preferire.

Il problema è capire fino a quando. Se la ripresa infatti resta debole, se il settore immobiliare non si dimostra in grado di rialzarsi dall’impasse in cui versa, se permarrà uno zoccolo duro di disoccupati intorno al 10% è ragionevole supporre che 1) prima o dopo arriverà una correzione, 2) a forza di investire nei mercati emergenti (ossia nell’area economica che sta attualmente sostenendo la produzione ed il commercio mondiale) non si vada prima o poi a formare una bolla speculativa anche in quegli asset.

L’invito è dunque quello di non coltivare soverchie illusioni (la situazione è ancora delicata e le dichiarazioni dei giorni scorsi di Tremonti ce lo confermano) di facili guadagni che difficilmente i mercati ci offriranno nel corso del 2010. Va affrontata al più presto la questione di riallocazione degli asset obbligazionari e l’individuazione e la valutazione dei rischi di portafoglio assunti e da assumere per evitare spiacevoli sorprese.

Walter Cappello