Come
ben ha ricordato Carlo Benetti nella lezione L’Alpha e il Beta del 5 settembre,
Paul Samuelson, in un famoso articolo del 1974, proprio nel primo numero del
nuovo Journal of Portfolio Management, si sbilanciava nel profetizzare
un’affermazione futura delle gestioni passive.
Così giustificava la sua
previsione:
“Forse
gestori capaci di battere il mercato in modo regolare esistono davvero, la
logica suggerisce che esistano; ma si nascondono eccezionalmente bene”
(P. Samuelson, Challenge to judgment, The Journal of Portfolio Management).
Paul Samuelson era stato il primo, nel 1970, di una lunga serie di studiosi
statunitensi che hanno vinto il premio Nobel in economia.
Circa trent’anni dopo, via via che le gestioni passive si affermavano prima
nello scenario statunitense, e poi a livello globale, Samuelson tornò
sull’argomento e paragonò la scelta della gestione passiva a una rivoluzione
come quella della stampa o della ruota. Forse non è stata un’innovazione come
quelle della ruota o della stampa, ma certamente è stata una rivoluzione. Direi
che potremmo avvicinarla a quella dei container, come mezzo di trasporto dei
nostri risparmi nel tempo, a differenza dei container veri e propri che
spostano le merci nello spazio. Infatti, ispirandomi a questa analogia, nel
recente Economia nella mente (Cortina editore, settembre 2016),
suggerisco la traduzione libera dell’acronimo ETF come “ente di trasporto
formidabile”!
Come tutte le innovazioni
che cambiano un paradigma consolidato, la gestione passiva ci ha messo un po’
ad affermarsi, ma nel 2015 si sono riversati nei fondi passivi e negli ETF
circa 370 miliardi dollari. La figura seguente offre meglio un’idea del trend
perché ci mostra un confronto tra fondi attivi e passivi negli ultimi 9 anni,
dal gennaio 2007 al dicembre 2015. E’ evidente che non si tratta tutto di nuovo
risparmio convogliato nelle gestioni passive, ma anche di trasferimento da
gestioni attive a passive. In effetti, la tabella mostra come parte delle prime
si siano trasferite nelle gestioni passive. E’ questo un trend inarrestabile,
come si domanda Carlo Benetti?
La figura mostra un confronto tra fondi attivi e
passivi negli ultimi 9 anni, dal gennaio 2007 al dicembre 2015 negli Stati
Uniti. E’ evidente che non si tratta tutto di nuovo risparmio ma anche di
trasferimento da gestioni attive a passive. Cfr. le prime sono scese (colore
verde) e i secondi saliti (giallo e blu). Fonte: Bloomberg modificata.
Il problema sollevato da
Samuelson nel 1974 direi che in trent’anni è stato risolto. La frase chiave è
la seguente: “capaci di battere il mercato in modo regolare”, e in particolare
sottolineo la specificazione “in modo regolare”. C’è infatti un 30% circa dei
fondi hedge, quelli liberi di vendere o comprare in previsione degli andamenti
futuri, che batte il mercato. Gli altri 70% fanno peggio degli indici e
infatti, da giugno 2008, come ho già mostrato nelle lezioni precedenti, il
complesso degli hedge non riesce a battere il complesso delle gestioni passive.
Ma non è questo il punto. Il punto è la specificazione “in modo regolare”. La
seguente elaborazione statistica mostra in modo chiaro che è difficile
aggiornare la propria strategia e filosofia in modo rapido. In altre parole,
più semplicemente, la figura mostra che le prestazioni del passato non sono un
buon indicatore delle prestazioni future. I 93 fondi che durante la crisi erano
posizionati nel primo decile, non sono riusciti a fare altrettanto nel dopo-crisi.
Più in generale, una esigua minoranza ha fatto bene sia nel pre-crisi che nel
dopo-crisi, e solo il “senno di poi” permette di identificarli.
La seguente elaborazione statistica mostra in modo
chiaro che è difficile aggiornare la propria strategia e filosofia in modo
rapido. In altre parole, più semplicemente, la figura mostra che le prestazioni
del passato non sono un buon indicatore delle prestazioni future. I 93 fondi
che durante la crisi erano posizionati nel primo decile, non sono riusciti a
fare altrettanto nel dopo-crisi. Solo una esigua minoranza ha fatto bene sia
nel pre-crisi che nel dopo-crisi, e solo il “senno di poi” permette di
identificarli. Fonte: Economist modificata
Le gestioni passive sono
dunque da preferirsi a quelle attive? Il problema è complesso e vi tornerò
nella prossima lezione.
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