martedì 4 ottobre 2016

Laboratorio Swiss & Global - Lezione N. 193 – Scegliere oppure affidarsi al destino



Come ben ha ricordato Carlo Benetti nella lezione L’Alpha e il Beta del 5 settembre, Paul Samuelson, in un famoso articolo del 1974, proprio nel primo numero del nuovo Journal of Portfolio Management, si sbilanciava nel profetizzare un’affermazione futura delle gestioni passive.
Così giustificava la sua previsione:
Forse gestori capaci di battere il mercato in modo regolare esistono davvero, la logica suggerisce che esistano; ma si nascondono eccezionalmente bene” (P. Samuelson, Challenge to judgment, The Journal of Portfolio Management). Paul Samuelson era stato il primo, nel 1970, di una lunga serie di studiosi statunitensi che hanno vinto il premio Nobel in economia.
Circa trent’anni dopo, via via che le gestioni passive si affermavano prima nello scenario statunitense, e poi a livello globale, Samuelson tornò sull’argomento e paragonò la scelta della gestione passiva a una rivoluzione come quella della stampa o della ruota. Forse non è stata un’innovazione come quelle della ruota o della stampa, ma certamente è stata una rivoluzione. Direi che potremmo avvicinarla a quella dei container, come mezzo di trasporto dei nostri risparmi nel tempo, a differenza dei container veri e propri che spostano le merci nello spazio. Infatti, ispirandomi a questa analogia, nel recente Economia nella mente (Cortina editore, settembre 2016), suggerisco la traduzione libera dell’acronimo ETF come “ente di trasporto formidabile”! 

Come tutte le innovazioni che cambiano un paradigma consolidato, la gestione passiva ci ha messo un po’ ad affermarsi, ma nel 2015 si sono riversati nei fondi passivi e negli ETF circa 370 miliardi dollari. La figura seguente offre meglio un’idea del trend perché ci mostra un confronto tra fondi attivi e passivi negli ultimi 9 anni, dal gennaio 2007 al dicembre 2015. E’ evidente che non si tratta tutto di nuovo risparmio convogliato nelle gestioni passive, ma anche di trasferimento da gestioni attive a passive. In effetti, la tabella mostra come parte delle prime si siano trasferite nelle gestioni passive. E’ questo un trend inarrestabile, come si domanda Carlo Benetti? 


La figura mostra un confronto tra fondi attivi e passivi negli ultimi 9 anni, dal gennaio 2007 al dicembre 2015 negli Stati Uniti. E’ evidente che non si tratta tutto di nuovo risparmio ma anche di trasferimento da gestioni attive a passive. Cfr. le prime sono scese (colore verde) e i secondi saliti (giallo e blu). Fonte: Bloomberg modificata.

Il problema sollevato da Samuelson nel 1974 direi che in trent’anni è stato risolto. La frase chiave è la seguente: “capaci di battere il mercato in modo regolare”, e in particolare sottolineo la specificazione “in modo regolare”. C’è infatti un 30% circa dei fondi hedge, quelli liberi di vendere o comprare in previsione degli andamenti futuri, che batte il mercato. Gli altri 70% fanno peggio degli indici e infatti, da giugno 2008, come ho già mostrato nelle lezioni precedenti, il complesso degli hedge non riesce a battere il complesso delle gestioni passive. Ma non è questo il punto. Il punto è la specificazione “in modo regolare”. La seguente elaborazione statistica mostra in modo chiaro che è difficile aggiornare la propria strategia e filosofia in modo rapido. In altre parole, più semplicemente, la figura mostra che le prestazioni del passato non sono un buon indicatore delle prestazioni future. I 93 fondi che durante la crisi erano posizionati nel primo decile, non sono riusciti a fare altrettanto nel dopo-crisi. Più in generale, una esigua minoranza ha fatto bene sia nel pre-crisi che nel dopo-crisi, e solo il “senno di poi” permette di identificarli. 


La seguente elaborazione statistica mostra in modo chiaro che è difficile aggiornare la propria strategia e filosofia in modo rapido. In altre parole, più semplicemente, la figura mostra che le prestazioni del passato non sono un buon indicatore delle prestazioni future. I 93 fondi che durante la crisi erano posizionati nel primo decile, non sono riusciti a fare altrettanto nel dopo-crisi. Solo una esigua minoranza ha fatto bene sia nel pre-crisi che nel dopo-crisi, e solo il “senno di poi” permette di identificarli. Fonte: Economist modificata

Le gestioni passive sono dunque da preferirsi a quelle attive? Il problema è complesso e vi tornerò nella prossima lezione.

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