sabato 22 ottobre 2016

Laboratorio Swiss & Global - Lezione N. 195 - “Non è più come prima”, nuovi paradigmi e punti di svolta


“Non è più come prima… “. Nessuna affermazione è più pericolosa nel mondo economico e finanziario.
Anche perché spesso tale dichiarazione si accompagna all’idea che
sia comparso sulla scena “un nuovo paradigma”. Alla fine del secolo scorso, fu proprio la cosiddetta teoria del “nuovo paradigma” a indurre all’acquisto entusiasta di azioni con un rapporto prezzo/utili che era più del doppio della media storica, spesso anche quattro o cinque volte. In realtà non c’era alcun nuovo paradigma, era la solita bolla, innescata dalla fiducia eccessiva nelle nuove tecnologie (ICT, tecnologie dell’informazione e della comunicazione, in occasione dell’ultima bolla, alla fine del secolo scorso). Ora è vero che le ICT, come prima l’auto, il treno, le reti elettriche e quelle telefoniche, ci hanno cambiato la vita, ma non tanto quanto supponevano coloro che alimentavano la bolla in occasione della comparsa della nuova tecnologia.

Malgrado la cautela necessaria nel dichiarare che “non è più come prima”, è altrettanto vero che, raramente, le cose cambiano sul serio. Siamo cioè in presenza anche di quelli che abbiamo chiamato “punti di svolta”. Il caso più vistoso e di grande impatto è quello del tasso di interesse. Se esaminiamo i dati storicamente più lunghi, rilevati da un’importante banca centrale, quella d’Inghilterra, possiamo vedere che il tasso resta fermo al 5% fino a metà del 1800. Poi, nel corso del secolo successivo, comincia a oscillare in una banda che va dal 2% al 7%. Alla fine del secolo scorso s’impenna fino a superare il 15%. Per poi ridiscendere, negli ultimi anni, a livelli bassissimi, livelli che non si erano mai visti da quando la Banca d’Inghilterra ha cominciato a raccogliere sistematicamente questo dato. Inoltre, data la globalizzazione dei mercati finanziari, la recente discesa è avvenuta in tutti i principali mercati del globo.

E’ di “interesse”, non solo storico, l’andamento dei tassi di interesse inglesi. Relativamente stabili per lunghissimo tempo, nel corso dell’ultima generazione si sono impennati oltre al 15%, per poi ridiscendere a livelli molto bassi, mai registrati in precedenza. Fonte: Economist modificata.



La figura mostra la media del reddito fisso a dieci anni. E’ facile rilevare la continua discesa dei tassi reali nell’ultimo quarto di secolo. La figura riporta la media dei tassi dei paesi del G7, esclusa l’Italia. Fonte: Economist modificata.
L’andamento dei tassi inglesi oggi non è isolato. Dato che il mondo è, in questa epoca, globalizzato, i tassi dei paesi principali tendono a essere correlati. La discesa dell’ultimo quarto di secolo è avvenuta in tutti i paesi del G7. Se misurata in valori medi e a prezzi reali, allora tale valore oggi è sotto zero, con effetti incredibili rispetto a un passato in cui sembrava ovvio che una banca ti remunerasse per depositare presso di lei i tuoi averi.
Semplificando le cose all’osso, dietro alla discesa dei tassi, il fattore principale è costituito le decisioni delle banche centrali, in primo luogo quella statunitense, oggi la più importante del mondo.
Abbiamo in sintesi la seguente serie di correlazioni (non necessariamente dei rapporti di causa-effetto): 
decisioni delle banche centrali -> livello dei tassi -> influenza sui mercati finanziari mondiali.

Questa sequenza, in tre tappe principali, emerge in modo molto chiaro se noi esaminiamo come cresce il valore di $1 sul mercato azionario statunitense a partire dal 1994, cioè negli ultimi vent’anni. La figura seguente mostra che tale valore è influenzato dalle decisioni del FOMC, l’organismo presieduto dal governatore centrale statunitense, che si riunisce periodicamente e prende le decisioni sui tassi. Ebbene, se esaminate il valore del $1 investito in borsa, potete osservare il cambiamento positivo di tale valore nelle due settimane in seguito alle riunioni in cui viene presa tale decisione. Se fate un’elaborazione statistica che isoli l’andamento della borsa durante queste due settimane rispetto all’andamento complessivo, potete constare che è durante questo breve intervallo che la borsa americana sale di più. Al punto che, se il dollaro iniziale lo aveste investito in borsa solo in questi brevi intervalli bisettimanali, avreste avuto una crescita quasi doppia, alla fine del ventennio, rispetto alla crescita di un $1 tenuto investito per tutto il tempo. Si passa infatti da un rendimento annuo del 7% a un rendimento del 13%. Questa è una chiara indicazione del ruolo crescente e dell’influenza sui mercati delle decisioni delle banche centrali.

Rendimenti di $1 investito all’inizio del 1994 nella borsa statunitense. La figura mostra l’influenza delle decisioni della banca centrale isolando il valore nelle due settimane successive alla decisione del FOMC. In queste due settimane la salita è maggiore di quella media, registrata dal 1994 al 2016. Fonte: Economist modificata.

Da quando poi le banche centrali hanno cominciato ad acquistare direttamente i titoli sui mercati, dati i volumi massici degli acquisti, le loro scelte hanno giocato un ruolo di grande rilievo. Per esempio, se guardiamo gli effetti delle diverse decisioni della banca centrale giapponese, ne emerge l’influenza sui mercati. All’inizio del 2016, la banca comprava quasi esclusivamente ETF relativi al Nikkei 225, per allargare in seguito i suoi interventi al mercato Topix (che copre non le principali 225 azioni, ma arriva fino a 1700 titoli). 

Effetto delle decisioni di acquisto in borsa della banca centrale giapponese. Vediamo come è cambiato il rapporto tra le quotazioni del NIkkei 225 e quelle del Topix quando la banca ha deciso di intervenire con acquisti anche su questo secondo mercato. Fonte: Economist modificata.

Questa influenza è chiara anche per i titoli governativi statunitensi. Il differenziale tra i rendimenti dei titoli a due anni e quelli dei titoli a 10 anni è continuamente sceso fino a questa estate raggiungendo i 140 basis points. Resta molto basso dato che a fine settembre vale 160 basis points.

La figura mostra la discesa del differenziale dei rendimenti tra i titoli a reddito fisso statunitensi di durata decennale e quelli di durata biennale. Fonte: Bloomberg modificata.


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