lunedì 24 ottobre 2016

MERCATI AZIONARI MONDIALI: OSSERVATORIO DEL 21/10/2016


La scorsa settimana ci eravamo lasciati con un’ipotesi fondata sulla ragionevolezza; avevamo infatti ipotizzato che
l’adesione dei soci di BPM e Banco Popolare alla fusione dei due istituti avrebbe determinato un clima di maggiore serenità fra gli operatori della borsa milanese e, grazie anche alle ipotesi di riassetto del Monte dei Paschi di Siena, ciò si è verificato. Una volta tanto Piazza Affari chiude la settimana sugli scudi, migliore piazza del nostro paniere con un rialzo del 3,47%.

Settimana, quella appena terminata, interamente in positivo, eccezion fatta per il mercato elvetico che arretra dello 0,68%. Tutte le altre piazze chiudono in territorio positivo, con il Brasile largamente positivo (+3,19%), il Nikkei appena sotto il 2% di rialzo, l’India che segue con un +1,46% e le due maggiori piazze europee, Francia e Germania, rispettivamente a +1,46% e +1,23%. I rimanenti indici del paniere chiudono la settimana con rialzi racchiusi fra il +0,10% della Gran Bretagna e il +0,89% della Cina.

Settimana positiva, investitori soddisfatti ma investitori istituzionali che invitano quasi unanimemente alla prudenza, nella piena consapevolezza che le problematiche sul tappeto sono ancora numerose e cariche  di pericoli latenti.


Il grafico seguente ci illustra il buon andamento della settimana uscente.

La mancanza di spunti nuovi unitamente alla poca voglia di evidenziare per l’ennesima volta quali nodi importanti ci siano da affrontare per riportare in equilibrio il sistema economico globale mi hanno indotto a girare la testa da un’altra parte e a riflettere su un aspetto che normalmente si trascura, ossia quello di considerare, allargando adeguatamente la finestra temporale delle nostre analisi, al di là dei dati che quotidianamente ci pervengono (rapporto p/e degli utili, ipotesi di interventi delle banche centrali e conseguenze sugli indici azionari, dati sul mercato del lavoro, piuttosto che sul sentiment degli investitori, ecc.) in che posizione si trovino i nostri indici rispetto ai massimi di mercato.

Dato che si tratta semplicemente di dare delle informazioni fondate su delle constatazioni di fatto senza alcuna pretesa di confermare ipotesi che non vengono nemmeno formulate, invito i lettori a non trarre dalle nostre osservazioni alcuno spunto operativo che sicuramente li potrebbe trarre in inganno.

Che cosa ne è venuto fuori da queste osservazioni? Innanzitutto che il mercato che per primo si è trovato ad affrontare una situazione caratterizzata da molti aspetti in comune con quella nella quale versiamo a livello globale è quello giapponese; pochi ricorderanno che il massimo storico dell’indice Nikkei è stato registrato nel lontano 1989 e la perdita subita da allora ammonta a un bel (si fa per dire) -56%. 

I massimi di Italia, Francia e dell’indice Eurostoxx 50 sono stati toccati nel lontano 2000, epoca della storica bolla internet (così la ricordano i più). E’ quantomeno istruttivo toccare con mano che la vecchia Europa è entrata in crisi – di fatto – da ben 16 anni; i problemi della nostra economia dunque sono riconducibili innanzitutto alla capacità produttiva e alla scarsa competitività. Mali profondi allora, aggravati da una struttura finanziaria piuttosto fragile, almeno in alcuni paesi della comunità europea.

Nel 2007 e nel 2008 i massimi borsistici sono stati toccati (e mai più rivisti) in cinque paesi: Cina, Hong Kong, Svizzera, Russia e Brasile, sostanzialmente i cosiddetti BRICS, ossia i paesi che a quell’epoca esportavano a più non posso verso le economie occidentali. Il rallentamento generale sta ancora pesando, impedendo loro di crescere ai ritmi di quel dorato periodo a causa della carenza di domanda aggiuntiva proveniente dall’estero.

Le manovre di facilitazione avviate dalle banche centrali hanno prodotto effetti significativi, almeno a livello borsistico, sugli altri mercati. Nel 2015 nuovi massimi vengono raggiunti sulle piazze finanziarie di Londra, Francoforte, Bombay; anche l’indice World MSCI nel 2015 raggiunse i suoi massimi. Nel 2016 ritoccano i precedenti record i due principali indici statunitensi, lo S&P 500 e l’indice Nasdaq.

La nostra, volutamente, vuole essere solo una passeggiata storico-statistica, nulla di più. Resta da capire se tutto ciò che è stato fatto in questi lunghi otto anni che ci separano dal fallimento di Lehman Brothers, il fatidico anno zero della finanza, sono serviti a rimediare agli errori di quegli anni oppure se abbiamo solo assistito a interventi-tampone - (utili ma insostenibili in modo permanente - e, per loro natura, destinati a far ripiombare l’economia nel vicolo cieco nel quale si era infilata.

La figura successiva ci illustra il quadro della situazione da noi esaminata.

Ci avviciniamo alla fine di ottobre e il pensiero va alle elezioni americane del mese prossimo. In apparenza abbiamo già un vincitore (Hillary Clinton) e uno sconfitto (Donald Trump) ma Brexit ci ha insegnato a non trarre facili conclusioni da sondaggi e sensazioni epidermiche. L’impressione che abbiamo, ad oggi, è che vincitori veri non ce ne saranno ma che ne uscirà comunque sconfitta la democrazia americana e l’autorevolezza degli USA in campo internazionale. Speriamo di essere in errore; abbiamo già perduto così tante certezze in questi anni che l’ulteriore mancanza di punti fermi non sarebbe certamente la benvenuta.




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