UN ANNO DAL DOPPIO VOLTO
Come quasi sempre accade,
l’ultima settimana dell’anno presenta pochi spunti interessanti, bassi volumi e
operatori con il pensiero rivolto più alla poltrona del salotto di casa che
allo schermo delle quotazioni. Quest’anno
non ci sono stati particolari strappi
alla regola, con quotazioni sostanzialmente appiattite sulle chiusure della
settimana precedente, fatta eccezione per le piazze dei BRIC e la limatura
degli indici USA sul filo di lana.
Un anno molto particolare, il
2006, iniziato con un’elevata volatilità e con tutti i mercati risucchiati
verso il basso, un movimento che ha allarmato non poco tutti gli operatori del
pianeta; tale movimento, rapido e continuo, si è arrestato solamente a metà
febbraio con le quotazioni fissate come evidenziato dalla figura seguente:
C’era ben donde di essere
preoccupati, con la non remota possibilità di vedere la Gran Bretagna issare le
ancore dal porto comunitario per isolarsi all’ombra della “union jack”, con una
tornata elettorale statunitense all’epoca piuttosto incomprensibile e le ombre
che già aleggiavano sul referendum italiano. Tutti temi, questi, che destavano
non poca preoccupazione ma su cui si sono schiantate le previsioni di tutti gli
esperti (da allora pseudo tali) che non ne hanno azzeccata una.
Mano a mano che ci si auspicava
un certo esito su queste scelte, ovviamente quello considerato più favorevole
per la stabilità, arrivava la puntuale smentita alla quale faceva seguito, fra
lo stupore generale, l’accondiscendenza dei mercati tanto che a fine anno
l’orribile situazione di metà febbraio è andata notevolmente migliorando tanto
da consegnarci - a consuntivo - solamente
tre mercati in area negativa (Italia, Cina e Svizzera), due mercati decisamente
in gran spolvero (Brasile e Russia) e la maggior parte degli altri caratterizzati
da performance apprezzabili; fanno eccezione Hong Kong, Giappone e India che
hanno chiuso l’anno in positivo ma con percentuali positive ma modeste.
Chi l’avrebbe mai detto?
Tanto per capire come (e
quanto) le previsioni abbiano fuorviato le attese degli investitori ho voluto
focalizzare l’attenzione sulle elezioni americane. Da quando Donald Trump ha
preso il volo all’interno dello schieramento repubblicano la stampa politica ed
economica mondiale non ha fatto altro che auspicare la vittoria della sua
avversaria, Hillary Clinton, la cui affermazione avrebbe potuto tranquillizzare
i mercati preoccupati per un’eventuale trionfo del tycoon newyorkese, ritenuto
impreparato ma soprattutto imprevedibile, caratteristica poco apprezzata da chi
investe nei mercati finanziari.
La reazione dei mercati? La
possiamo verificare osservando il grafico seguente:
Come si può cambiare opinione
nel volgere di poche ore e cambiare totalmente rotta! Dall’elezione di Trump
quasi tutti i mercati hanno preso il volo; non solo, ma quelli rimasti al palo
Cina, Hong Kong e India hanno indubbiamente subito le prese di posizione del
prossimo presidente Usa che intende (a parole al momento) riportare in patria molte attività produttive
attualmente insediate proprio in quei paesi e, all’incontrario, il paese verso
il quale Trump ha sempre manifestato una certa “benevolenza” – la Russia di
“Zar Putin” – è risultata la piazza più
performante. I mercati evidentemente da allora hanno considerato solamente la
parte piena del bicchiere e ne hanno assaporato aroma e gusto.
E ORA COSA CI ATTENDE?
Sono ormai trascorsi otto
anni dall’inizio della crisi, una crisi affrontata con vigore ma non ancora
superata. Lo spettro di una recessione dalle dimensioni gigantesche e il timore
di dover assistere al crollo dell’intero sistema finanziario mondiale hanno
indotto in questi anni le principali banche centrali a supportare la finanza
mondiale con immense iniezioni di liquidità che hanno distorto il sistema di
libero mercato.
A poco a poco si sono
sterilizzate le tradizionali turbolenze, la crescita dei mercati è diventata
piuttosto lineare, senza sbalzi, mentre l’economia reale andava crescendo con
percentuali minimali, le aziende hanno avviato ovunque piani di
ristrutturazione avendo come primario obiettivo il ridimensionamento del fattore
lavoro il cui costo è andato generalmente abbassandosi. Sulle classi
lavoratrici si sono abbattute disoccupazione, sottoccupazione, inasprimento
della pressione fiscale e sono andati riducendosi i consumi che a loro volta
producono crisi da sovrapproduzione. Una spirale perversa a cui si accompagna
un forte, ulteriore, indebitamento pubblico.
Ciò non può durare
all’infinito e le prime timide manovre di riallineamento all’insù dei tassi di
interesse sono destinate a ripercuotersi sulla struttura dei prezzi delle
attività finanziarie, sia
obbligazionarie che azionarie. Sul mercato azionario va anche sottolineato che -
grazie alla “droga finanziaria” (mi si passi questo termine) - l’attuale ciclo
di espansione USA dura ormai da 88 mesi,
ampiamente sopra la media (61 mesi). Sino ad ora abbiamo assistito solo a tre
precedenti più duraturi in tutta la storia dell’indice azionario statunitense.
Come abbiamo detto in
precedenza, i mercati hanno sin qui visto solo la parte piena del bicchiere
Trump ma anche di Brexit, dell’eccesso di debito pubblico, dell’ammontare dei
derivati in circolazione, della qualità del credito, dell’eccessiva
sperequazione della ricchezza, ecc. ma sappiamo per esperienza che sarà un
motivo apparentemente insignificante o sottovalutato quello che improvvisamente
farà notare che la parte rimanente del bicchiere è vuota, assolutamente ed
inesorabilmente vuota.
In quest’ultimo mese il
mercato si è aggrappato alla speranza che Donald Trump faccia il miracolo,
ossia che faccia decollare il Pil degli Usa, crei posti di lavoro e incrementi
i redditi, che tenga sotto controllo il debito e che riverberi un rinnovato
benessere per tutto il pianeta. Auguriamocelo, male non fa certamente, ma
restiamo con i piedi per terra. Problemi profondi non hanno soluzioni facili e
prima o poi le distorsioni dovranno essere corrette.
Il 2016 doveva essere l’anno
delle turbolenze e delle incertezze ma così non è stato. Auguriamoci stanotte
tutta la prosperità che ci richiama la tradizione ma cominciamo anche a tenere
dritte le antenne. E’ puro buonsenso e non guasta mai …
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