LE IMPLICAZIONI DEL VOTO DEL 4 DICEMBRE
Domani andremo tutti alle
urne. Dopo mesi di una campagna elettorale raramente entrata nei contenuti
della riforma costituzionale e limitata per lo più ad una crociata pro o contro
l’attuale premier domani andremo ad esprimere il nostro parere attraverso il
voto il cui esito andrà indubbiamente a condizionare il futuro del nostro
paese.
In qualsivoglia modo la si
consideri, la modifica costituzionale cui siamo chiamati a decidere non ha sin
qui scaldato il cuore di nessuno e lascia aperta più di una porta a possibili
miglioramenti futuri; all’opposto, lo schieramento dei fautori del no - che
abbraccia destra, centro, sinistra e movimentisti - semplicemente intende
mantenere lo status quo ritenendo che il dettato costituzionale, entrato in
vigore nel 1948, sia ancora talmente moderno da renderlo refrattario a
qualsiasi mutamento nel frattempo intervenuto in ambito sociale ed economico.
I toni usati inducono gli
esperti a ritenere che l’esito sarà più probabilmente il frutto di una scelta
di pancia piuttosto che di testa; comunque sia ne sortiranno degli effetti per
il nostro paese. Su questi possibili effetti entrambi gli schieramenti hanno
portato molta enfasi e hanno paventato la possibilità di robuste prese di
posizioni da parte degli operatori esteri.
COSA POTREBBE ACCADERE ?
A guardare l’andamento
settimanale dei mercati parrebbe che sul nostro referendum non ci siano che
attese positive, come se l’esito fosse scontato e che l’Italia ne potrà trarre
vantaggio. La settimana testé conclusa infatti evidenzia sostanzialmente la
positività di due sole borse, quella russa e quella italiana. La prima infatti,
data la forte dipendenza dalla produzione di idrocarburi ha tratto immediatamente beneficio
dall’accordo in seno all’Opec di un taglio della produzione con un rialzo del
3,11%. La borsa meneghina invece ha avuto un incremento del 3,46% e lo spread
fra btp e bund tedesco è rientrato a livelli più “normali” attestandosi a 162,30 dopo aver sfiorato i 190 bp l’ultima
decade di novembre.
In positivo anche Tokio con
un modesto +0,24% mentre tutti gli altri indici sotto osservazione chiudono la
settimana in negativo con regressi che vanno dal -0,33% dell’India per chiudere
con un -2,65% del Nasdaq che “rifiata” dopo la scalata ai massimi della scorsa
settimana, come pure lo S&P 500 che condivide lo stesso iter ma
attestandosi a livelli più contenuti di caduta -0,97%.
Finita la tensione, dunque
per l’Italia? Possiamo andare ad esprimere il nostro voto senza alcun
condizionamento dei mercati?
Vorrei sottolineare che si
aprono differenti scenari. Il primo di questi è quello di una vittoria
del SI e in questo caso si aprirebbe definitivamente la strada per le riforme,
ciò che gli operatori internazionali si attendono come esito favorevole. Di
conseguenza non vi dovrebbero essere tensioni di sorta e, nelle attese di un
processo di modernizzazione del paese all’insegna della continuità di governo,
si potrebbe aprire una stagione di importanti flussi finanziari dall’estero
alla ricerca di opportunità di investimento; questo almeno in teoria.
Se vincesse lo schieramento
del NO si aprirebbero scenari diversi. Il primo di questi è un responso
sfavorevole alla riforma con Renzi che resta alla guida del paese. Sarebbe
logico attendersi una certa volatilità in una prima fase ma poi, dal momento
che nulla cambierebbe rispetto ad ora, si ritornerebbe allo status quo
originario. Per gli investitori in asset italiani ciò provocherebbe dei forti
bruciori di stomaco destinati a rientrare piuttosto velocemente.
Il secondo scenario con
vittoria dei NO implica le dimissioni di Renzi a cui farebbe seguito una
riconferma del premier che successivamente guiderebbe una maggioranza allargata
e in questo caso avremmo una reazione dei mercati sostanzialmente analoga alla
precedente ipotesi ma con una più prolungata fase di incertezza.
Il terzo scenario è quello
più negativo, con Renzi dimissionario, l’impossibilità di mettere in piedi un
governo accettabile e infine l’inevitabile ricorso alle urne. In questo caso
l’incertezza sarebbe molto elevata e certamente la speculazione internazionale
avrebbe il suo daffare per trarre dei bei profitti alle spese dei detentori dei
titoli di stato italiani, di obbligazioni bancarie emesse da società nazionali
e degli azionisti delle società quotate.
In effetti la reazione dei
mercati tanto paventata in questi mesi sarebbe diversa a seconda dei diversi
esiti e del loro sviluppo successivo. Personalmente ritengo che diverse
sarebbero anche le reazioni dei mercati nel caso in cui lo schieramento
vincente avesse ottenuto un largo o un ristretto margine sullo schieramento
avverso. Temo che un’eventuale vittoria con pochissimo margine spaccherebbe
ulteriormente il paese indebolendolo, rendendolo infine ancor più vulnerabile.
Quello che mi sento di dire è
che il clima di incertezza permarrà per mesi e che l’appuntamento elettorale
del giorno 4 è solo uno dei tanti episodi con cui dovremo ancora confrontarci
in termini di volatilità. Ricordiamoci innanzitutto della concomitante
tornata elettorale austriaca che, seppur poco citata dai media italiani, ha una
seria valenza politica e che il prossimo anno saremo alle prese con altri
appuntamenti elettorali, in Olanda, Francia e Germania e che gli effetti
dell’esito referendario britannico e l’elezione di Donald Trump alla Casa
Bianca non si sono ancora dispiegati.
A mio giudizio al
momento resta prioritaria la conservazione del patrimonio rispetto alla sua
crescita.
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