sabato 3 dicembre 2016

MERCATI AZIONARI MONDIALI: OSSERVATORIO DEL 2/12/2016


LE IMPLICAZIONI DEL VOTO DEL 4 DICEMBRE

Domani andremo tutti alle urne. Dopo mesi di una campagna elettorale raramente entrata nei contenuti della riforma costituzionale e limitata per lo più ad una crociata pro o contro
l’attuale premier domani andremo ad esprimere il nostro parere attraverso il voto il cui esito andrà indubbiamente a condizionare il futuro del nostro paese.
In qualsivoglia modo la si consideri, la modifica costituzionale cui siamo chiamati a decidere non ha sin qui scaldato il cuore di nessuno e lascia aperta più di una porta a possibili miglioramenti futuri; all’opposto, lo schieramento dei fautori del no - che abbraccia destra, centro, sinistra e movimentisti - semplicemente intende mantenere lo status quo ritenendo che il dettato costituzionale, entrato in vigore nel 1948, sia ancora talmente moderno da renderlo refrattario a qualsiasi mutamento nel frattempo intervenuto in ambito sociale ed economico.
I toni usati inducono gli esperti a ritenere che l’esito sarà più probabilmente il frutto di una scelta di pancia piuttosto che di testa; comunque sia ne sortiranno degli effetti per il nostro paese. Su questi possibili effetti entrambi gli schieramenti hanno portato molta enfasi e hanno paventato la possibilità di robuste prese di posizioni da parte degli operatori esteri.
COSA POTREBBE ACCADERE ?

A guardare l’andamento settimanale dei mercati parrebbe che sul nostro referendum non ci siano che attese positive, come se l’esito fosse scontato e che l’Italia ne potrà trarre vantaggio. La settimana testé conclusa infatti evidenzia sostanzialmente la positività di due sole borse, quella russa e quella italiana. La prima infatti, data la forte dipendenza dalla produzione di idrocarburi  ha tratto immediatamente beneficio dall’accordo in seno all’Opec di un taglio della produzione con un rialzo del 3,11%. La borsa meneghina invece ha avuto un incremento del 3,46% e lo spread fra btp e bund tedesco è rientrato a livelli più “normali” attestandosi  a 162,30 dopo aver sfiorato i 190 bp l’ultima decade di novembre.

In positivo anche Tokio con un modesto +0,24% mentre tutti gli altri indici sotto osservazione chiudono la settimana in negativo con regressi che vanno dal -0,33% dell’India per chiudere con un -2,65% del Nasdaq che “rifiata” dopo la scalata ai massimi della scorsa settimana, come pure lo S&P 500 che condivide lo stesso iter ma attestandosi a livelli più contenuti di caduta -0,97%.
Finita la tensione, dunque per l’Italia? Possiamo andare ad esprimere il nostro voto senza alcun condizionamento dei mercati?
Vorrei sottolineare che si aprono differenti scenari. Il primo di questi è quello di una vittoria del SI e in questo caso si aprirebbe definitivamente la strada per le riforme, ciò che gli operatori internazionali si attendono come esito favorevole. Di conseguenza non vi dovrebbero essere tensioni di sorta e, nelle attese di un processo di modernizzazione del paese all’insegna della continuità di governo, si potrebbe aprire una stagione di importanti flussi finanziari dall’estero alla ricerca di opportunità di investimento; questo almeno in teoria.
Se vincesse lo schieramento del NO si aprirebbero scenari diversi. Il primo di questi è un responso sfavorevole alla riforma con Renzi che resta alla guida del paese. Sarebbe logico attendersi una certa volatilità in una prima fase ma poi, dal momento che nulla cambierebbe rispetto ad ora, si ritornerebbe allo status quo originario. Per gli investitori in asset italiani ciò provocherebbe dei forti bruciori di stomaco destinati a rientrare piuttosto velocemente.
Il secondo scenario con vittoria dei NO implica le dimissioni di Renzi a cui farebbe seguito una riconferma del premier che successivamente guiderebbe una maggioranza allargata e in questo caso avremmo una reazione dei mercati sostanzialmente analoga alla precedente ipotesi ma con una più prolungata fase di  incertezza.
Il terzo scenario è quello più negativo, con Renzi dimissionario, l’impossibilità di mettere in piedi un governo accettabile e infine l’inevitabile ricorso alle urne. In questo caso l’incertezza sarebbe molto elevata e certamente la speculazione internazionale avrebbe il suo daffare per trarre dei bei profitti alle spese dei detentori dei titoli di stato italiani, di obbligazioni bancarie emesse da società nazionali e degli azionisti delle società quotate.
In effetti la reazione dei mercati tanto paventata in questi mesi sarebbe diversa a seconda dei diversi esiti e del loro sviluppo successivo. Personalmente ritengo che diverse sarebbero anche le reazioni dei mercati nel caso in cui lo schieramento vincente avesse ottenuto un largo o un ristretto margine sullo schieramento avverso. Temo che un’eventuale vittoria con pochissimo margine spaccherebbe ulteriormente il paese indebolendolo, rendendolo infine ancor più vulnerabile.
Quello che mi sento di dire è che il clima di incertezza permarrà per mesi e che l’appuntamento elettorale del giorno 4 è solo uno dei tanti episodi con cui dovremo ancora confrontarci in termini di volatilità. Ricordiamoci innanzitutto della concomitante tornata elettorale austriaca che, seppur poco citata dai media italiani, ha una seria valenza politica e che il prossimo anno saremo alle prese con altri appuntamenti elettorali, in Olanda, Francia e Germania e che gli effetti dell’esito referendario britannico e l’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca non si sono ancora dispiegati.
A mio giudizio al momento resta prioritaria la conservazione del patrimonio rispetto alla sua crescita.


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