domenica 27 novembre 2016

MERCATI AZIONARI MONDIALI: OSSERVATORIO DEL 25/11/2016



L’ “EFFETTO TRUMP” SPINGE I LISTINI AZIONARI

Quest’anno stiamo per consegnare alla storia l’inutilità - o quantomeno l’inaffidabilità - dei sondaggi guardando ai vistosi abbagli presi sulle consultazioni britanniche e statunitensi. Ma anche qualche altro opinionista, al momento, si dovrebbe ricredere, almeno per quanto riguarda l’ “effetto Trump”.

Per mesi si è temuto che
l’affermazione del noto tycoon newyorkese potesse costituire la causa scatenante di una crisi dei mercati finanziari ma a poco più di due settimane dalla sua vittoria elettorale, con lo staff presidenziale ancora in via di definizione e con i primi segnali di parziali (al momento) cambi di rotta rispetto alle posizioni del suo predecessore i mercati azionari non solo non hanno reagito negativamente ma addirittura negli Usa sia il Nasdaq che lo S&P 500 hanno toccato i loro massimi storici.

Per la cronaca, nella giornata di venerdì il Nasdaq ha toccato in intraday il suo massimo storico (5.398,92 punti dell’indice) mentre l’indice S&P 500, nella stessa giornata, ha toccato a sua volta il massimo in chiusura di seduta: 2.213,35 punti; è euforia dunque, non preoccupazione, il sentiment dominante a New York, alla faccia di Hillary Clinton che tutti gli operatori finanziari della grande mela avrebbero voluto seduta nel salottino della stanza ovale quale musa degli investitori.


Prima di entrare nel merito di ciò vediamo qual è stato l’andamento del nostro paniere nel corso della settimana chiusasi il giorno 25.


E’ piuttosto evidente che la settimana scorsa ha registrato un pressoché uniforme ottimismo con la sola eccezione della borsa svizzera che chiude con un marginale ribasso (-0,29%). Dei nuovi record di S&P 500 e Nasdaq abbiamo già detto, ma una buona spinta all’insù è arrivata anche dalle borse asiatiche che: 1) o hanno recuperato il pessimo inizio d’anno, come Hong Kong e Mumbay, o 2) si sono avvicinate alla neutralità come Shangai e Tokyo. In positivo, ma con crescite più moderate le borse europee con Milano a fare da capofila (+1,53%) mentre gli altri indici chiudono la settimana tra lo 0,33% di Francoforte e il +1,02% di Parigi. Evidentemente nel vecchio continente Trump ispira fiducia ma con un pizzico di cautela.

LO SPARTITO E’ BELLO MA QUALCHE STONATURA SI  STA AVVERTENDO

A prima vista sembrerebbe che si stiano valutando molto positivamente alcuni aspetti delle politiche annunciate dal neo-presidente (riduzione dei carichi fiscali e investimenti infrastrutturali), soprattutto quelle che potrebbero far apprezzare ulteriormente le attuali quotazioni del mercato domestico ma non si valutano ancora con sufficiente ponderazione gli aspetti che costituiscono il rovescio della medaglia.

Se da una parte i listini azionari festeggiano, dall’altra il bond decennale americano, dal giorno dell’elezione di Trump è volatio da un tasso del 1,862% al 2,372% di venerdì. Sembra poco, ma si tratta di un aumento di tassi pari al 27,40% un incremento notevole per il mercato di riferimento dei bond governativi. Si è trattato di un’impennata a due fasi, la prima a ridosso dell’annunciata vittoria e piuttosto ampia, la seconda a partire dal giorno 14 e in continua ascesa. Che cosa si teme? Inflazione in rialzo e aumento del debito pubblico, perlomeno. Se poi le politiche protezionistiche ventilate in campagna elettorale dovessero trovare conferma anche questo fattore andrebbe a pesare, se non altro per convincere gli investitori dei paesi oggetto di restrizioni a far confluire il loro denaro a sostegno di un’economia non propriamente incline a partnership paritarie.

Per coloro che se ne fossero dimenticati, ricordo che le turbolenze derivanti dagli aumenti dei tassi sono particolarmente invise agli investitori privati dato che vanno ad intaccare la parte preponderante dei loro investimenti, quelli definiti ingenuamente più “sicuri”.

Altro aspetto da considerare è quello del fattore speculativo in questa euforia. Che le aspettative sugli effetti delle manovre di Trump siano giustificate ci sta. Quello che ci sta meno è che si dia per scontato che la  nuova presidenza riesca a mettere in atto tutto ciò che ha annunciato e che lo possa fare senza alcuna controindicazione. In secondo luogo ciò che va ulteriormente considerato è il fatto che, a questi prezzi e a questi livelli di multipli sugli utili attesi, gli spazi di manovra possano risultare così ampi da indurre gli investitori a tuffarsi a capofitto nel mercato senza alcuna remora (leggasi perdite in conto capitale).

Ricapitolando, l’euforia è un dato di fatto e ha trascinato il mercato azionario Usa ai massimi storici ma stiamo assistendo a un aumento di tassi di mercato (l’aumento della Fed – i tassi ufficiali – potrebbe arrivare a dicembre come no), di un rapporto prezzo/utili non certo a sconto, con decisioni di politica economica e internazionale (da intraprendere) non certo favorevole alle attuali alleanze militari ed economiche del paese, con un debito pubblico in odore di espansione ma di livello già ora elevato, stiamo assistendo a un’assunzione di rischio consapevole da parte della massa  degli investitori o si tratta di un effetto speculativo tendente a grattare il fondo del barile di un’economia finanziaria già fortemente privilegiata attraverso le facilitazioni monetarie?

E così torniamo  al punto di partenza; chi se la sente di tirare a indovinare sapendo che la posta in gioco, in caso di perdita, potrebbe essere piuttosto corposa? Vale la pena di chiudere la consueta prudenza in uno stanzino per andarsene a giocare al “Bingo finanziario? Ciascuno valuti per conto proprio o, meglio ancora, si confronti con un buon consulente.

ITALIA: BRIVIDI DI FEBBRE

Nel frattempo in Italia inizia il countdown elettorale e fra una manciata di giorni andremo a decidere per il Si o per il NO nella convinzione (questa è solo la risultanza del mio personale osservatorio e ognuno è libero di avere il proprio) che non piaccia né lo status quo né la modifica costituzionale proposta. Fatto sta che i mercati ci osservano, con buona pace di tutti coloro che invitano a non dare alcun peso alle eventuali ripercussioni sui mercati, ma dal giorno 8 settembre il Btp decennale si è involato da un rendimento del 1,067% di apertura giornata al 2,089% di venerdì, in chiusura. Facciamo il conto? Si tratta di un bel +95,80%. Sì, forse all’indomani delle votazioni non accadrà nulla di catastrofico e può essere che quello che è già accaduto incorpori una parte di queste aspettative; così almeno ci auguriamo.

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