L’ “EFFETTO TRUMP” SPINGE I LISTINI AZIONARI
Quest’anno stiamo
per consegnare alla storia l’inutilità - o quantomeno l’inaffidabilità - dei
sondaggi guardando ai vistosi abbagli presi sulle consultazioni britanniche e
statunitensi. Ma anche qualche altro opinionista, al momento, si dovrebbe
ricredere, almeno per quanto riguarda l’ “effetto Trump”.
Per mesi si è
temuto che
l’affermazione del noto tycoon newyorkese potesse costituire la
causa scatenante di una crisi dei mercati finanziari ma a poco più di due
settimane dalla sua vittoria elettorale, con lo staff presidenziale ancora in
via di definizione e con i primi segnali di parziali (al momento) cambi di
rotta rispetto alle posizioni del suo predecessore i mercati azionari non solo
non hanno reagito negativamente ma addirittura negli Usa sia il Nasdaq che lo
S&P 500 hanno toccato i loro massimi storici.
Per la cronaca, nella
giornata di venerdì il Nasdaq ha toccato in intraday il suo massimo storico (5.398,92
punti dell’indice) mentre l’indice S&P 500, nella stessa giornata, ha
toccato a sua volta il massimo in chiusura di seduta: 2.213,35 punti; è euforia
dunque, non preoccupazione, il sentiment dominante a New York, alla faccia di
Hillary Clinton che tutti gli operatori finanziari della grande mela avrebbero
voluto seduta nel salottino della stanza ovale quale musa degli investitori.
Prima di entrare
nel merito di ciò vediamo qual è stato l’andamento del nostro paniere nel corso
della settimana chiusasi il giorno 25.
E’ piuttosto
evidente che la settimana scorsa ha registrato un pressoché uniforme ottimismo
con la sola eccezione della borsa svizzera che chiude con un marginale ribasso
(-0,29%). Dei nuovi record di S&P 500 e Nasdaq abbiamo già detto, ma una
buona spinta all’insù è arrivata anche dalle borse asiatiche che: 1) o hanno
recuperato il pessimo inizio d’anno, come Hong Kong e Mumbay, o 2) si sono avvicinate
alla neutralità come Shangai e Tokyo. In positivo, ma con crescite più moderate
le borse europee con Milano a fare da capofila (+1,53%) mentre gli altri indici
chiudono la settimana tra lo 0,33% di Francoforte e il +1,02% di Parigi.
Evidentemente nel vecchio continente Trump ispira fiducia ma con un pizzico di
cautela.
LO SPARTITO E’ BELLO MA QUALCHE STONATURA SI STA AVVERTENDO
A prima vista
sembrerebbe che si stiano valutando molto positivamente alcuni aspetti delle
politiche annunciate dal neo-presidente (riduzione dei carichi fiscali e investimenti
infrastrutturali), soprattutto quelle che potrebbero far apprezzare
ulteriormente le attuali quotazioni del mercato domestico ma non si valutano
ancora con sufficiente ponderazione gli aspetti che costituiscono il rovescio
della medaglia.
Se da una parte i
listini azionari festeggiano, dall’altra il bond decennale americano, dal
giorno dell’elezione di Trump è volatio da un tasso del 1,862% al 2,372% di
venerdì. Sembra poco, ma si tratta di un aumento di tassi pari al 27,40% un
incremento notevole per il mercato di riferimento dei bond governativi. Si è
trattato di un’impennata a due fasi, la prima a ridosso dell’annunciata
vittoria e piuttosto ampia, la seconda a partire dal giorno 14 e in continua
ascesa. Che cosa si teme? Inflazione in rialzo e aumento del debito pubblico,
perlomeno. Se poi le politiche protezionistiche ventilate in campagna
elettorale dovessero trovare conferma anche questo fattore andrebbe a pesare,
se non altro per convincere gli investitori dei paesi oggetto di restrizioni a
far confluire il loro denaro a sostegno di un’economia non propriamente incline
a partnership paritarie.
Per coloro che se ne
fossero dimenticati, ricordo che le turbolenze derivanti dagli aumenti dei
tassi sono particolarmente invise agli investitori privati dato che vanno ad
intaccare la parte preponderante dei loro investimenti, quelli definiti
ingenuamente più “sicuri”.
Altro aspetto da
considerare è quello del fattore speculativo in questa euforia. Che le
aspettative sugli effetti delle manovre di Trump siano giustificate ci sta.
Quello che ci sta meno è che si dia per scontato che la nuova presidenza riesca a mettere in atto
tutto ciò che ha annunciato e che lo possa fare senza alcuna controindicazione.
In secondo luogo ciò che va ulteriormente considerato è il fatto che, a questi
prezzi e a questi livelli di multipli sugli utili attesi, gli spazi di manovra
possano risultare così ampi da indurre gli investitori a tuffarsi a capofitto
nel mercato senza alcuna remora (leggasi perdite in conto capitale).
Ricapitolando,
l’euforia è un dato di fatto e ha trascinato il mercato azionario Usa ai
massimi storici ma stiamo assistendo a un aumento di tassi di mercato
(l’aumento della Fed – i tassi ufficiali – potrebbe arrivare a dicembre come
no), di un rapporto prezzo/utili non certo a sconto, con decisioni di politica
economica e internazionale (da intraprendere) non certo favorevole alle attuali
alleanze militari ed economiche del paese, con un debito pubblico in odore di
espansione ma di livello già ora elevato, stiamo assistendo a un’assunzione di
rischio consapevole da parte della massa
degli investitori o si tratta di un effetto speculativo tendente a
grattare il fondo del barile di un’economia finanziaria già fortemente
privilegiata attraverso le facilitazioni monetarie?
E così
torniamo al punto di partenza; chi se la
sente di tirare a indovinare sapendo che la posta in gioco, in caso di perdita,
potrebbe essere piuttosto corposa? Vale la pena di chiudere la consueta
prudenza in uno stanzino per andarsene a giocare al “Bingo finanziario?
Ciascuno valuti per conto proprio o, meglio ancora, si confronti con un buon
consulente.
ITALIA: BRIVIDI DI FEBBRE
Nel frattempo in Italia
inizia il countdown elettorale e fra una manciata di giorni andremo a decidere
per il Si o per il NO nella convinzione (questa è solo la risultanza del mio
personale osservatorio e ognuno è libero di avere il proprio) che non piaccia
né lo status quo né la modifica costituzionale proposta. Fatto sta che i
mercati ci osservano, con buona pace di tutti coloro che invitano a non dare
alcun peso alle eventuali ripercussioni sui mercati, ma dal giorno 8 settembre
il Btp decennale si è involato da un rendimento del 1,067% di apertura giornata
al 2,089% di venerdì, in chiusura. Facciamo il conto? Si tratta di un bel +95,80%.
Sì, forse all’indomani delle votazioni non accadrà nulla di catastrofico e può essere
che quello che è già accaduto incorpori una parte di queste aspettative; così almeno
ci auguriamo.
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