Nella
lezione precedente ho analizzato due tipi diversi di ignoranza: quella
aggregata dei mercati, che è benefica, e che ha spinto il neo-premio Nobel
dell’Economia finlandese a dire che “l’ignoranza è beatitudine” e quella delle
persone singole, che abbiamo chiamato “over-confidence”, traducibile con
“baldanza cognitiva” o presunzione di sapere.
“baldanza cognitiva” o presunzione di sapere.
La prima è benefica, perché
lubrifica i mercati, la seconda è malefica perché oscilla tra pigrizia, fiducia
eccessiva in se stessi e superbia. Essa inoltre sopravvaluta la nostra
esperienza passata, i nostri presunti successi e, in buona sostanza, frena una
corretta diversificazione di portafoglio e ci acceca di fronte ai punti di
svolta (in Italia non tutti hanno preso coscienza di un punto di svolta
avvenuto quasi dieci anni fa: la non più convenienza di titoli di stato e di
immobili, i due canali principali del risparmio italico da decenni).
Anche nel caso del termine
generico "imitazione" è stato approfondito, in molte lezioni, un
punto che viene trattato a lungo in “Economia
nella mente”, il libro che ho pubblicato insieme a Armando Massarenti
all’inizio dell’ottobre 20016 (Raffaello Cortina editore). Quando l’imitazione
è collettiva e partecipata, essa finisce per portare a deleteri effetti
“gregge” e al gonfiarsi lento di bolle seguito da una sgonfiarsi violento
(attenti oggi ai titoli a reddito fisso con scadenza a lungo termine, se
salissero i tassi!). Viceversa quando ciascuna persona offre, in condizioni
d’incertezza, un suo giudizio individuale all’insaputa dei giudizi forniti dagli
altri, emerge la saggezza delle folle, meccanismo scoperto da Galton all’inizio
del secolo scorso e approfondito nel libro “Economia nella mente” scritto con
Massarenti. In sostanza abbiamo due tipi di effetti dell’ignoranza – quello
conseguente dall’ignoranza collettiva (benefica se aggregata) - e quella
individuale che viene superata con l’over-confidence.
L’over-confidence è la
fiducia eccessiva in noi stessi – e ne abbiamo troppa soprattutto nella
gestione “personale” dei nostri risparmi. In conseguenza di questa troppa
fiducia in noi stessi non abbiamo sufficiente “trust”, cioè fiducia negli
altri, nel nostro caso i consulenti. Queste due forme di fiducia sono
inversamente proporzionali. Ovviamente bisogna avere pazienza. Quando un paese
si arricchisce, un po’ alla volta ciascuno prova sulla propria pelle quello che
è l’oggetto della finanza comportamentale e impara a rivolgersi ai consulenti e
a abbandonare il "fai da te" .
Non dobbiamo stupirci che
in Germania ci sia più consulenza che in Italia e negli Stati Uniti più che in
Cina. Questo dato è correlato con la percentuale di super-ricchi che hanno
fatto da sé i loro soldi rispetto a quelli che li hanno ereditati. Questa
percentuale, come mostra la figura seguente, può variare dal 2% della
Cina al 65% della Germania.
La figura mostra la percentuale di ultra-ricchi che
hanno ereditato le loro fortune rispetto a coloro che se le sono fatte in vita
(più il colore è rosso, più sono le ricchezze ereditate). L’Italia ha una
posizione intermedia.
Fonte: Economist modificata.
Fonte: Economist modificata.
Come viene mostrato in
dettaglio nel nostro nuovo libro già citato, il meccanismo della saggezza della
folla rende molto difficile battere con una gestione attiva i risultati delle
strategie passive. Un 30% di gestori, circa, riesce a farlo ogni anno (abilità
o fortuna?), ma il punto è che non sono sempre gli stessi e si scopre troppo
tardi chi è stato baciato, per quel breve periodo di un anno, dall’abilità o
dalla fortuna. La conseguenza pratica della saggezza delle folle è quella su
cui mi sono molte volte soffermato e indicata in una recente figura che
illustra la “aggressione delle strategie passive” a quelle attive a livello
mondiale. Un processo di incremento relativamente recente e molto rapido, e che
non sappiamo quando terminerà.
La figura mostra la “aggressione” delle strategie
passive rispetto a quelle attive. Non sembra che il trend si attenuerà a breve.
Fonte: Economist modificata.
La figura mostra la crescita delle strategie passive
che scalano la montagna degli asset dei risparmiatori e i gestori “attivi” che
scrutano con disappunto la salita lenta e implacabile della tartaruga. Fonte:
Economist modificata.
La differenza tra strategie attive e passive richiama il concetto di “dotta ignoranza” coniato dal filosofo Nicola Cusano all’inizio del 1400: il dotto ignorante sa di non poter scrutare dentro l’omniscienza divina, ma sa che è superiore alla sua conoscenza e che la conoscenza e le scelte divine sono imprevedibili (cfr. http://www.pgava.net/filo_materiali_4/cusano.pdf ). E tuttavia le cose sono più complesse di quanto non mostri la figura dove le strategie passive “aggrediscono” quelle attive. Tale figura potrebbe indurre a pensare che l’aggressione terminerà con una prevalenza delle prime sulle seconde. Ritengo che questa prevalenza, da cui siamo oggi ancora molto lontani, non sia probabile per i seguenti motivi che approfondirò meglio più avanti:
1 Il primo motivo ha a che fare con il costo delle
informazioni. Come sottolinea Andrea Beltratti, direttore dei master in finanza
della Bocconi: “la prevalenza di gestione passiva aumenta i rendimenti
associati all’accumulazione dell’informazione e rinforza gli operatori attivi;
la prevalenza di gestione attiva ha l’effetto opposto e rende meno conveniente
investire risorse per effettuare migliori valutazioni. Oggi la presenza di
nuove varianti degli stili attivo e passivo, appartenenti alla categoria
definita “smart beta”, rendono ancora più incerto il confine tra le due
tipologie” (Corriereconomia, 24 ottobre 2016, p. 28). In altre parole c’è una
sorta di trade-off tra i due tipi di strategie, ragion per cui oggi la crescita
delle gestioni passive sembra travolgente solo perché si partiva da volumi
bassissimi.
2 Il secondo motivo ha a che fare con la dotta
ignoranza: è molto contro-intuitivo che un esperto che fa gestione attiva non
possa fare meglio delle gestioni passive corrispondenti. Per il cliente
ingenuo, in ogni campo delle pratiche umane, un esperto dovrebbe fare meglio
della media di quello che fanno tutti in quel dato settore di attività. Tale
credenza è rinforzata dal fatto che ci sono delle gestioni attive che fanno
meglio delle corrispondenti passive.
3 Il terzo motivo è di ordine psicologico. Le gestioni
passive richiedono la pazienza smisurata della tartaruga, e gli orizzonti
temporali del cliente medio sono più corti di quelli contemplati dalla tenacia,
mescolata però a lentezza, con cui le tartarughe scalano le montagne.
4 Il quarto motivo secondo me è il più forte e si tratta
dell’asimmetria piacere/dolore. Le strategie passive creano portafogli con
forti direzionalità e pochi sanno aspettare dopo le sofferenze patite durante
le forti discese (già due nel corso di questo secolo). E’ quindi poco saggio,
per un consulente di un cliente medio, non correggere in un portafoglio la
forte direzionalità causata da una gestione esclusivamente passiva.
La figura mostra come da marzo 2016 fino a ottobre
l’indice delle sorprese “Citi Economic Surprise”, molto utilizzato, abbia
battuto in modo positivo le aspettative sugli scenari europei. Fonte: Bloomberg
modificata.
5 Il quinto motivo ha a che fare con il fatto che i
mercati sono sorprendenti e la gestione attiva può sfruttare tali discese nei
modi descritti in “Economia della mente”. Un gestore attivo può sfruttare tali
sorprese per battere le gestioni passive, almeno talvolta e almeno per un certo
periodo di tempo.
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