mercoledì 2 novembre 2016

Laboratorio Swiss & Global - Lezione N. 197 – Due tipi di ignoranza



Mentre stavo terminando di scrivere questa lezione, ho saputo che il premio Nobel dell’economia è stato conferito quest’anno a due studiosi dei contratti, un inglese e un finlandese che, entrambi, lavorano presso due note università statunitensi.



A sinistra Bengt Olstroem, finlandese, a destra Oliver Hart, inglese, entrambi premi Nobel per l’Economia del 2016. Fonte: Economist Modificata.
A noi interessa qui il finlandese perché ha coniato la celebre frase "l’ignoranza è beatitudine". Bengt Holmstrom, nato ad Helsinki nel 1949, si è laureato in Matematica e Fisica nel suo Paese, specializzandosi poi a Stanford. In seguito ha guidato il Dipartimento di Studi economici al Mit di Boston, tra il 2003 e il 2006, e insegna tuttora Economia e Management nell’università statunitense. Nella sua ricerca, Holmstroem, a proposito di problemi di liquidità e mercati finanziari, ha dimostrato che, a volte, durante le crisi finanziarie, "l’ignoranza è beatitudine": banche e altri agenti continuano a commerciare tra di loro. Lo fanno nonostante le gravi difficoltà che potrebbero presentarsi, permettendo così ai mercati di rimanere liquidi ( http://economics.mit.edu/files/7500 ). L’ignoranza è benefica in due sensi.
Nel senso di Bengt Holmstrom, perché ci permette di non vedere o sottovalutare i pericoli del futuro che porterebbero i mercati finanziari a funzionare molto meno bene, in modo poco scorrevole. Questa è un’ignoranza di cui non ci rendiamo conto. Proprio per questo, tale forma di ignoranza risulta efficace.
Alcuni esempi. Noi facciamo finta che non siano poi così preoccupanti i tassi estremamente bassi, bassi come non lo erano da una vita, e i debiti così alti, alti come non lo erano neppure alla fine della seconda guerra mondiale. Siamo in terre inesplorate, ma continuiamo a navigare baldanzosi: l’ignoranza è beatitudine. 

Mai così bassi i tassi dei governativi decennali (e se risalissero rapidamente?) e mai così alti i debiti di Giappone, Stati Uniti e Gran Bretagna (e Italia!). Ce ne preoccupiamo abbastanza? L’ignoranza è beatitudine. Fonte: Economist modificata.
Questi tassi così bassi sono funzionali a una forte crescita economica? Neppure questa relazione è così chiara, come mostra la figura seguente.

La figura mostra la relazione, dal 1960, tra tassi d’interesse reali e crescita economica. La relazione non è chiara. Tassi bassi dal 1973 al 1980, e buona crescita. Tassi alti dal 1981 al 1990, e ancora buona crescita.
Fonte: Economist modificata.

Non è chiara la relazione. E tuttavia noi italiani, grazie ai tassi bassi che ci fanno risparmiare sul servizio del debito, lo incrementiamo supponendo che tale incremento favorisca la crescita. Se questa relazione fosse chiara e univoca, avremmo dovuto, negli ultimi anni, crescere più degli altri paesi. E invece è avvenuto il contrario!  Beata ignoranza.
Non sono chiari neppure gli effetti globalizzazione: redditi percentili e ricchezza nel mondo a forma di proboscide. La seguente figura si riferisce all’ultimo ventennio. In sostanza la figura mostra che le fasce più povere della popolazione mondiale si sono arricchite negli ultimi vent’anni, mentre quelle intermedie si sono impoverite.
Una piccola percentuale dei più ricchi si è arricchita ancora di più: un andamento simile a un’onda sinusoidale o, più semplicemente, alla forma consueta di una proboscide di elefante. Questo effetto della globalizzazione sulla ricchezza nel mondo è anche una sfida per chi gestisce risparmi perché possono cominciare a emergere come potenziali clienti fasce della popolazione che, tradizionalmente, non risparmiavano nulla. E poi, ovviamente, c’è la maggiore ricchezza dei più ricchi.  In questo tipo di curva non importa chi si colloca all’interno di un dato percentile: se sono le stesse persone nel corso di un ventennio oppure se sono cambiate. Se costruiamo una curva diversa, alternativa, in cui andiamo a vedere che cosa succede delle stesse persone vediamo che il fenomeno, anche se un po’ attenuato, continua a persistere. Questa è la conseguenza della globalizzazione sulla distribuzione della ricchezza e non sembra che quest’arricchimento degli estremi (fino al quinto decile e sopra gli ultimi due decili) sia un fenomeno temporaneo o in diminuzione.

La figura si riferisce all’ultimo ventennio e alla distribuzione della ricchezza nel mondo. Disaggregando la ricchezza in percentili, si vede che i più poveri si sono arricchiti, gli intermedi si sono impoveriti e il 20% più abbiente si è arricchito. Fonte: Economist modificata.


La forma della proboscide serve per ricordarci gli effetti della globalizzazione. Fonte:
http://www.economist.com/news/finance-and-economics/21707219-charting-globalisations-discontents-shooting-elephant

In tutti gli esempi qui menzionati abbiamo parlato di fenomeni in cui le relazioni non sono chiare (debito o crescita) o anche di fenomeni dal futuro incerto: la crescita, la globalizzazione e i suoi effetti sulla ricchezza, il peso del debito dei principali paesi sullo sviluppo futuro, l’incremento o meno dei tassi. Molti di questi fenomeni sono così difformi rispetto all’andamento medio della storia del passato che possiamo dire che ci muoviamo in terre inesplorate.
Dovremmo avere molto paura, proprio perché ci muoviamo in territori mai conosciuti in precedenza, in scenari completamente nuovi? Forse sì e forse no. Qui ci viene in soccorso quella che il premio Nobel dell’economia di quest’anno ha chiamato “beata ignoranza”. Questo termine allude proprio al fatto che noi ignoriamo i pericoli e che quindi pensiamo di vivere nel migliore dei mondi possibili. Questo concetto si declina in molti modi. Nel caso dei risparmi questa illusione non è poi così benefica perché questa nozione ci ricorda la "over-confidence", cioè quella fiducia baldanzosa che ci fa credere di sapere più di quello che sappiamo.
Ne abbiamo parlato più volte. Inoltre la "beata ignoranza" del premio Nobel ci ricorda la nostra inerzia mentale, quella che è alla base dell’illusione della fine della storia, di cui  più volte si è parlato. In conclusione, quello che sul piano individuale è spesso un danno per la gestione dei nostri risparmi perché ci induce a credere di sapere più di quel che sappiamo e ci fa ritenere che il futuro non cambierà, a livello collettivo si trasforma in “beata ignoranza” e contribuisce a far funzionare i mercati anche in scenari inesplorati e quindi potenzialmente rischiosi.

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