DUE QUESTIONI SU CUI RIFLETTERE
Mi è capitato più
volte, dal rientro dalle vacanze ad ora, di aver discusso – con clienti e
colleghi – della situazione dei mercati trovandomi sovente nello scomodo ruolo
di “frenatore”, ossia di colui che invita il proprio interlocutore ad assumere
un atteggiamento prudenziale
nei confronti dei mercati finanziari per tutta una
serie di ragioni che ho espresso nei vari report settimanali pubblicati sul
blog e che i lettori ben conoscono.
Siamo ormai a una
manciata di ore dalle elezioni americane e l’attenzione di tutti è rivolta
principalmente a questo evento e all’incertezza che lo caratterizza. Chi
vincerà, Hillary o Donald? Nessuno può ancora dirlo, siamo al 50% delle
probabilità, esattamente come a maggio quando toccò ai sudditi della corona
britannica andare alle urne per decidere se restare o no nella comunità
europea.
Da quell’evento
abbiamo tratto una bella lezione: mai scommettere sulla scorta delle nostre
convinzioni quando le probabilità di successo sono equivalenti a quelle del
lancio di una monetina. Il rischio di farsi male è molto elevato. Ma gli
appuntamenti elettorali non si esauriranno martedì prossimo. A dicembre saranno
gli elettori italiani a doversi pronunciare sulla modifica della nostra
Costituzione e anche qui – ad oggi – siamo in presenza di un esito quanto mai
incerto e in gioco c‘è anche la tenuta del sistema bancario italiano.
Leggo oggi su “Il
Sole 24 Ore” che la maggioranza dei miei colleghi teme la volatilità ma invita
la loro clientela a mantenere inalterati i portafogli di investimento (indagine
che ha coinvolto ben 19mila operatori finanziari, dunque ben rappresentativa e
statisticamente affidabile).
La lezione di
maggio è servita, dunque, ma nutro delle perplessità su due argomenti. La prima
mi porta a riflettere sulla questione se i portafogli della clientela sono
stati in questi mesi riallocati (oppure no) sulla scorta delle modificazioni intervenute
o previste in ambito politico e macroeconomico e la seconda riflessione verte
sul fatto che i due eventi elettorali, su cui sono puntati i riflettori, non
rappresentino che una parte dei rischi incombenti che dovremo affrontare.
COSA E’ SUCCESSO SUI MERCATI?
Prima di entrare
nel merito di queste personali considerazioni vediamo rapidamente se i
suggerimenti di questi ultimi due mesi, di essere cauti nell’approccio
all’investimento, erano sensati oppure no.
La settimana appena
trascorsa è stata effettivamente turbolenta, come vediamo dal quadro grafico di
seguito riportato:
E’ piuttosto
evidente che l’avversione al rischio ha imperato in questa settimana. Tranne la
borsa cinese che chiude con un modesto rialzo dello 0,68% in tutti gli altri
mercati la pressione dei venditori si è fatta ampiamente sentire; l’85% del
nostro paniere ha registrato cali di valore racchiusi in una forchetta che va
dal -2,12% della borsa moscovita alla forte sbandata di Piazza Affari che
chiude a -5,80%.
Questi dati non
sono però scaturiti dalla fibrillazione estemporanea di chi si accorge
improvvisamente della rimonta di Trump o del fatto che i due contendenti alla
poltrona di comando della più forte potenza economica del pianeta, fra violente
polemiche, colpi bassi e menzogne di ogni tipo, stanno minando alla radice una
fra le più apprezzate democrazie del mondo ma addirittura stanno compromettendo
la stessa compattezza dei loro rispettivi partiti.
Vediamo i risultati
delle ultime quattro settimane:
E’ evidente che il
disagio già serpeggiava fra gli operatori e l’impennata di incertezza della
scorsa settimana ha solo accelerato le spinte degli investitori alla ricerca di
minore rischiosità.
QUALE RISPOSTA ALLE DUE QUESTIONI?
Torniamo dunque
alla prima riflessione; se i portafogli sono stati mantenuti tali e quali in
tutti questi mesi significa che l’atteggiamento dei risparmiatori italiani si è
trasformato mediante l’acquisizione di una rinnovata maturità tale da
consentire loro di poter pesare con responsabilità e consapevolezza il
raggiungimento di obiettivi di investimento quale fattore prevalente rispetto ai
timori e ai malesseri provocati dalle oscillazioni, più o meno marcate, di
breve periodo. Se così fosse, ciò rappresenterebbe un grande salto di qualità
nel rapporto fra clienti e consulenti che ha storicamente rappresentato un
notevole ostacolo per la corretta allocazione delle risorse finanziarie.
Se così non fosse, allora
potrebbe essere in atto una sottovalutazione dei potenziali fattori di crisi
all’orizzonte, ossia quei fattori di cui parlavo in premessa e di cui si
intravvedono i primi segnali.
Il primo fattore di
potenziale crisi è quello del rialzo dei tassi. Tutti gli operatori danno ormai
per certo un modesto ritocco da parte della Fed entro la fine dell’anno
lasciando le porte aperte a qualsiasi congettura sulle mosse per l’anno
seguente dato che le future mosse saranno subordinate da una parte alla situazione
dell’economia reale statunitense e dall’altra alle manovre che Il futuro
presidente Usa attuerà sul fronte fiscale.
I tassi sono la
chiave di tutto perché incidono sia sull’andamento dei mercati azionari che su
quelli obbligazionari. L’incertezza di questo periodo, infatti, si è fatta
sentire anche sui rendimenti dei titoli, praticamente in rialzo ovunque, e ciò
comporta notevoli pericoli dato che su questo fronte siamo in presenza di una
bolla che potremmo definire epocale.
Un effetto
l’abbiamo già visto sui Btp italiani, colpiti da ondate di vendite in questi
giorni con lo spread (da quanto non se ne sentiva parlare !!!) sul Bund tedesco
volato a 162 bp a fine settimana. Se prendiamo a riferimento la metà di agosto,
periodo in cui il Btp registrava il suo rendimento minimo del 2016, ci
accorgiamo che lo spread da allora è cresciuto di oltre il 40% e che rispetto
al differenziale con la Spagna abbiamo perso valore, passando da un gap di 20
bp a favore del Btp ad uno negativo di 49 bp.
Sono termini tecnici
che traduco dicendo semplicemente che il rischio Italia è tornato ad emergere.
A dicembre sapremo quale darà il prezzo da pagare se dall’estero ci
attribuiranno l’etichetta di un paese immobile piuttosto che quella di una
nazione che vuole tornare a camminare.
E veniamo
all’ultimo punto. Stretti fra i bassissimi (se non addirittura negativi) tassi da
una parte e la fame dei risparmiatori di rendimenti “a prescindere” dall’altra,
i gestori hanno immesso rischio a dosi crescenti nei portafogli per tentare di
salvare capra e cavoli (il mantenimento delle masse sotto gestione e il
rendimento per i loro clienti). In un simile contesto iniziano a squillare, per
ora timidamente, i primi campanelli d’allarme soprattutto sul fronte della
liquidità del mercato obbligazionario. Se dovesse iniziare una fase di recupero
degli investimenti, i gestori si troverebbero costretti, esattamente come nel
2008 con la vicenda Lehman Brothers, a tenere forzatamente in portafoglio asset
illiquidi e a disfarsi di quelli più facilmente vendibili. Ne conseguirebbe, considerata
la struttura del mercato e i volumi molto più elevati rispetto alla precedente
crisi, un notevole crollo dei prezzi dei titoli e del valore delle quote dei
fondi.
Il lato “comico”
(si fa per dire) della questione è che i risparmiatori maggiormente danneggiati
sarebbero proprio quelli più prudenti. Paradossale, ma vero.
Per chiudere, tralasciando
ulteriori disquisizioni su altri punti critici già noti ai lettori, è lecito
pertanto chiedersi se i risparmiatori italiani siano veramente così tanto
maturi da restare sereni anche nel bel mezzo di una nuova tempesta finanziaria
oppure se siamo in presenza di una sottovalutazione della criticità della situazione.
Ben diversa è infatti
la posizione di coloro che hanno saputo ridurre l’appetito per il rischio in
anticipo rispetto alle turbolenze rispetto a coloro che ne potrebbero subire
passivamente gli effetti, siano essi di natura economica che emotiva. Ecco le
ragioni della mia perplessità; siamo di fronte a risparmiatori ormai maturi e
consapevoli o a risparmiatori semplicemente passivi rispetto a una situazione
delicata e potenzialmente rischiosa?
Qualcuno si
chiederà a questo punto che cosa io abbia suggerito ai miei clienti in questi
mesi; la risposta è molto semplice e facilmente intuibile: prudenza, buon senso
e coerenza con i propri obiettivi. Per tempo, naturalmente.
Come si applica
questa ricetta? Per prima cosa si devono saper valutare e quantificare i
rischi; dopodiché si evita accuratamente di assumersi quelli che non presentano
un rapporto rischio/rendimento favorevole. Tutto ciò va inserito nel contesto
familiare di ogni singolo cliente e rapportato alle loro specifiche esigenze,
ai loro obiettivi e orizzonti temporali, ai loro diversi gradi di emotività ed
avere a disposizione tanta tecnologia per l’elaborazione di tutto ciò.
Semplice o solo
apparentemente tale?
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