LA CORSA AL RIALZO DELLE AZIONI NON SI ARRESTA
L’ulteriore impennata dei rendimenti trova le
sue giustificazioni nella crescita dell’economia che si sta consolidando su
livelli superiori al 2%, nel tasso di inflazione dei mercati occidentali generalmente
inferiore al 2%, nel supporto dell’enorme quantità di liquidità immessa dalle
banche centrali e, vale la pena di ricordarlo, nella percezione di una
situazione politica mondiale che, pur tra alcune importanti incognite e
possibili pericoli, viene stimata come stabile. Questa la miscela che alimenta
l’attuale crescita; inutile evocare possibili controindicazioni perché le
Cassandre non sono ammesse in questo contesto.
Vediamo dunque i risultati del mese di
settembre.
Le borse europee sono significativamente
crescite con l’eccezione della Gran Bretagna (a causa della possibilità di un
aumento dei tassi). I due indici nordamericani si sono ulteriormente migliorati
ed è nuovamente record per entrambi. La Russia ha ulteriormente ridotto il gap che
la separa dall’uscita della negatività sulla scia dell’incremento del prezzo
degli idrocarburi e gli altri tre mercati che hanno registrato dei cali (Hong
Kong, Shangai, Mumbay) non hanno modificato che marginalmente l’ottimo
andamento da inizio anno e nonostante ciò l’indice mondiale ha superato i
precedenti massimi: nuovo record pertanto anche per l’indice MSCI World.
PRIMI EFFETTI SULL’OBBLIGAZIONARIO
Non si tratta di movimenti importanti ma sul
piatto c’è il consolidamento dell’inflazione (poco sotto il 2% in Usa e intorno
all’1,5% in Europa) sulla scorta di una crescita migliore delle aspettative che
apre le porte ad un intervento sui tassi americani prima della fine dell’anno, possibilità
peraltro già ventilata per il mercato britannico, ragione per cui il rendimento
del decennale è già salito. Del resto o prima o poi qualche prezzo da pagare
per la Brexit ci dovrà pure essere.
Vediamo la situazione dei tassi nel confronto
fra quelli di inizio anno e quelli correnti.
Eccezion fatta per quelli statunitensi, che
comunque si sono molto avvicinati a quelli iniziali, i decennali europei del
nostro paniere evidenziano rendimenti più elevati rispetto a quelli di gennaio.
Va peraltro sottolineata l’elevata differenza percentuale del bund tedesco in
questi nove mesi, un balzo in avanti di oltre il 120%.
Lo spread fra btp e bund per il momento si
mantiene stabilmente intorno ai 170 bp (per la precisione 171 bp alla chiusura di venerdì 29).
PER IL MOMENTO SI ARESTA LA CORSA DELL’EURO
La possibilità di movimenti sui tassi americani
ha per il momento tonificato il dollaro che si rafforza contro le altre valute.
In particolare il rapporto di cambio fra euro e dollaro nel mese di settembre
ha inizialmente giocato a favore della moneta europea (1,20 dollari per euro)
per poi scivolare a 1,1812 nel corso dell’ultima settimana. Difficilmente
avremo importanti movimenti da qui a fine anno; oltre a motivi di ordine
economico dobbiamo sottolineare che peserà l’incertezza di un governo stabile in
Germania dato cha Angela Merkel è uscita indebolita dalla tornata elettorale nella
quale si è registrato un vistoso calo dei voti del suo partito e un
significativo ridimensionamento dei socialdemocratici che di fatto ora passano all’opposizione.
Se da un lato le aspettative di un rialzo dei
tassi hanno favorito il rafforzamento della valuta britannica sull’euro, va altresì
evidenziato che la valuta comunitaria chiude il mese di settembre in
rafforzamento sulle due principali valute asiatiche, lo yen giapponese e lo
yuan cinese.
A COSA PRESTARE ORA ATTENZIONE
E’ legittimo chiedersi però se il beneficio
atteso – in termini di maggiore spinta alla crescita – derivante da tale
riforma (stimata in 5 Miliardi di dollari di costi) possa quantomeno compensare
gli effetti della riduzione delle politiche espansive. Inoltre, la maggiore crescita
prevista comporterà anche una lievitazione dell’inflazione? In conseguenza di
ciò tassi non potrebbero essere ulteriormente ritoccati all’insù? Se ciò
avvenisse, l’effetto frenante dell’incremento dei tassi potrebbe provocare una
più che proporzionale diminuzione della crescita su cui i mercati oggi contano?
Di certo sappiamo che dal prossimo mese di
ottobre inizierà il processo di normalizzazione da parte delle autorità
monetarie americane, che la crescita del Pil americano attuale e futura starà
intorno al 2% e che l’inflazione attesa raggiungerà il livello atteso
(anch’esso del 2% nel 2019). Sappiamo anche che in Europa il quantitative
easing proseguirà quantomeno fino alla fine dell’altro e forse ancora per
qualche mese ancora – se necessario, come sostiene Draghi - ma avrà una fine.
Il Pil atteso per ora è superiore al 2% e l’inflazione non riesce a superare la
soglia dell’1,5%.
A ben vedere non sono numeri stratosferici e
indubbiamente non sarà facile, d’ora in avanti, giustificare un ulteriore
incremento del rapporto prezzo/utile espresso dai titoli azionari sulla scorta
delle odierne previsioni.
Il malato è in via di guarigione ma una
ricaduta ci può anche stare. Il gioco del cerino passato di mano in mano prima
o dopo – e lo sanno anche i bambini – finirà con lo scottare le mani di
qualcuno. Speriamo siano quelle di qualcun altro …
Nessun commento:
Posta un commento