domenica 15 ottobre 2017

Laboratorio GAM - Lezione N. 237 - Il costo della consulenza i secondi cinque principi

 
 


Sesto principio: Mifid 2 come win-win
 

In questa lezione continuiamo con il decalogo relativo al tema del costo, o meglio dei costi, della consulenza.

In primo luogo si sa che verrà tra poco reso ufficiale, e noto gradualmente ai più, che con la MiFID2 diventa obbligatorio/operativo l’emergere del costo della consulenza in termini espliciti, come avviene per un commercialista, un avvocato o un dentista. Nelle parcelle di questi professionisti vi sono per solito dei costi “vincolati” per le pratiche svolte e, poi, viene indicato “a parte” il costo del loro tempo che si è tradotto nella prestazione offerta.

Nel caso della consulenza finanziaria e assicurativa spesso, ma non obbligatoriamente, il costo dei prodotti in cui sono collocati i risparmi “contiene”, meglio presuppone, anche la remunerazione del consulente finanziario o dell’assicuratore (vi sono peraltro già oggi alcuni “pionieri” dello scorporo).

Al gennaio del 2017 la Commissione europea ha annunciato che aziende finanziarie, istituti di credito e fondi d’investimento, avranno un anno in più per prepararsi alle nuove regole di mercato concernenti i diversi strumenti finanziari oggi esistenti. La direttiva, nota con l’acronimo inglese MiFID 2, entrerà in vigore definitivamente il 3 gennaio 2018.

La scadenza entro la quale prepararsi all’entrata in vigore della direttiva MiFID 2 è stata spostata di un anno «per prendere in considerazione le eccezionali difficoltà di applicazione delle regole a cui devono fare fronte i regolatori, così come i partecipanti al mercato». L’annuncio “consente a banche e società di avere maggiore chiarezza sul da farsi”, secondo il quotidiano il Sole-24Ore che ha dato notizia di questo rinvio. Oggi è assai probabile che questa scadenza sarà rispettata. Ecco il bilancio degli esperti a fine luglio 2017, da un importante quotidiano finanziario britannico:

Banks are scrambling as they enter the last six months before the decades-old practice of sending out free analyst reports as a courtesy and marketing strategy comes to an end. The European Union’s MiFID II regulations, enforced from Jan. 3, require money managers to separate the trading commissions they pay from investment-research fees. This means banks in turn have to be more transparent, providing specific charges for their analysts’ time and work in order to comply.

Le banche s’inerpicano verse nuove realtà perché stanno per entrare negli ultimi sei mesi prima che termini l’invio dei report sui loro patrimoni come una semplice modalità di cortesia e di marketing. In futuro si dovranno separare chiaramente le commissioni di gestione e di consulenza, cioè tutti i costi che non hanno a che fare con il patrimonio affidato dal cliente. Questo sarà un passo avanti nel percorso verso la trasparenza.

I consulenti dovranno gradatamente abituarsi a rendere esplicito il costo della loro consulenza scorporandolo dal costo dei prodotti di risparmio e assicurativi. Questa è una grande occasione per quella che qui abbiamo chiamato la “nuova consulenza globale”, una consulenza dedicata a tutto il “valore” nel suo complesso di un attore economico, e non solo il valore relativo ai risparmi che quella persona ha cumulato con il suo lavoro. La nuova consulenza parte con una apparentemente semplice domanda: “Quanto vale una persona?”.

In sintesi, quattro sono le principali sezioni di cui si compone il patrimonio di una persona che lavora:
 
 
 
1.      investimenti a breve e liquidità
2.      investimenti a medio lungo termine
3.      immobiliare
4.      capitale umano
Queste quattro componenti sono molto diverse per natura, anche se tutte concorrono al complesso del “valore di una persona umana”. In primis va ribadito che la domanda “quanto vale una persona”, alludendo a tutto il nostro patrimonio, è indiscreta e indelicata, e quindi va affrontata con grande tatto. Parte di questa “indelicatezza” è riconducibile al fatto che il concetto di “capitale umano” tende ad assimilare, secondo il gergo degli economisti, il capitale umano al capitale economico.
 


 

Settimo principio: il capitale umano non è il capitale economico
 
Nella nostra cultura, non c’è spesso sovrapposizione tra le cose che valgono e le cose che hanno un prezzo: al contrario, le cose che per noi valgono di più non hanno un prezzo e, nei loro confronti, proviamo una sorta di pudore e resistenza a quantificarle in termini monetari.
Il caso classico è quello che abbiamo usato nel passaggio generazionale: via via che ci muoviamo lungo i cerchi concentrici degli affetti, il raggio si accorcia e quello che ci circonda ha sempre più valore. Più aumenta il valore, più cresce la difficoltà a dargli una misura precisa in termini di prezzi.
In questo senso un consulente è tanto più bravo quanto più è difficile dare un prezzo al valore complessivo della sua consulenza (via via che ci si avvicina al centro la consulenza diventa sempre più incommensurabile in termini di costi, la fetta dei prezzi della consulenza in rapporto al patrimonio complessivo si dissolve e svanisce nell’aria!). La fetta della torta non è più una fetta, la torta non ha più dimensioni fisse quando più ci si avvicina al centro!
 
 



 
 
 

Ottavo principio: una buona consulenza è difficilmente misurabile in termini di costi diretti


 
La consulenza è molto di più del seguire tecnicamente un portafoglio. Essa consiste nel curare un patrimonio di beni e affetti! Nel far crescere una pianta di cui molti sono i rami e le foglie!
 
 
Il capitale umano va nutrito, protetto, seguito, aiutato nel crescere. Fonte: Economist modificata.
 
 
Già a livello del patrimonio abbiamo un’articolazione in quattro livelli. Essa sarà resa esplicita e verrà con attenzione e cura gestita. Solo allora emergerà il profilo della nuova consulenza che è l’occasione e la strategia per superare anche il conflitto legato alla “fallacia della torta fissa”. Tale consulenza andrà al di là del patrimonio per passare alla cura del cerchio degli affetti.
 
 

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Il patrimonio si mescola al cerchio degli affetti. Di qui le ben note difficoltà del passaggio generazionale.
Nono principio: non si tratta solo di patrimoni e di soldi ma della cura del capitale umano
 
Il capitale umano è multicolore, composto di molti elementi, non solo i soldi (linee blu e nere concentriche nella figura del cerchio).
In effetti, una ristrutturazione generale del portafoglio, il superamento della fallacia dell’assicurazione comportamentale e la gestione previdente e razionale del passaggio generazionale sono i tre principali capisaldi per mostrare che il ruolo del consulente non è solo quello di gestire i primi due punti dell’elenco sopra riportato, ma tutto il valore del cliente. Si tratta di differenziare tale valore non solo nello spazio (investimenti) ma anche nel tempo (passaggio generazionale e assicurazione del capitale umano). In questo modo si eviterà la fallacia della torta fissa applicata alla consulenza passando a un “win-win” consulente-cliente che vedremo meglio come si possa realizzare.
 
Il consulente non fornisce solo informazioni, non ha solo più conoscenze, non prende solo decisioni, ma ha più saggezza in un modello integrato della consulenza globale. Fonte: il modello di Sternberg della saggezza.
Decimo principio: la consulenza come formazione, l’anti-vulnerabilità
 
In linea più generale il valore di una buona consulenza è incommensurabile in termini monetari perché può modificare campi limitrofi, può essere una maestra di vita, può andare al di là della protezione del patrimonio.
Sappiamo che il patrimonio non può mai essere invulnerabile. Al contrario ciò che crediamo invulnerabile come i beni reali – opere d’arte, oro, immobili – sui tempi lunghi ci proteggono meno di ciò la cui oscillazione è evidente, come i mercati azionari.
La vecchia storia della confusione tra pauroso e pericoloso. E tuttavia la storia può diventare nuova se impariamo a estendere questi principi alla vita: la vulnerabilità non può venire superata e resa inoffensiva dall’invulnerabilità, ma può essere ridotta, “ammortizzata” dall’anti-vulnerabilità. L’anti-vulnerabilità è diversa dalla vulnerabilità perché quest’ultima pretende qualcosa d’irrealizzabile: renderci inattaccabili. E’ una pretesa che è alimentata e si sposa con l’over-confidence, la superbia e la ristrettezza di vedute. Sono tre atteggiamenti che non solo danneggiano il valore dei patrimoni ma feriscono tutto il valore di una persona che, frenato dai tre atteggiamenti, non può esprimersi al suo meglio. L’anti-vulnerabilità è la riduzione al minimo delle potenzialità offensive dei fattori che ci colpiranno.
Non è uno scudo. E’ la capacità di adattamento, ottenuta riducendo i danni. Nel caso dei patrimoni i danni su un fronte sono compensati, ammortizzati dai vantaggi su un altro fronte. La vulnerabilità ha dunque due poli contrari: l’invulnerabilità, che è un’illusione, una chimera in un mondo ricco d’incertezze radicali, e l’anti-vulnerabilità che è maestra di vita e non solo protettrice dei patrimoni.
 
 
Il cerchio degli affetti ci scalda e ha un centro come in un campo per produrre energia solare. Fonte: Le Monde modificata.
 
Un patrimonio invulnerabile non ha un centro ed è multicolore, come i campi di tulipani. Fonte: Le Monde modificata.
L’anti-vulnerabilità è la quintessenza della lezione di Darwin: non chi è più robusto e forte, ma chi è più adattabile al mutamento e all’incertezza del mondo, sarà colui che più probabilmente sopravviverà.
 
 
 
 
 





 


 


 
 
 
 
 
 

 



 






 






 






 





 





 





 





 





 





 





 





 
 
 
 
 



 







 
 







 
 





 
 
 
 
 






 
 


 





 







 

 






 
 
 






 
 
 







 








 
 








 







 
 
 
 
 
 
 

 

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