Nelle lezioni precedenti
sono stati affrontati i seguenti temi:
Ø la fallacia della
torta fissa, tale per cui la provvigione del consulente è un costo che
intacca il patrimonio del cliente;
Ø la fallacia del
consulente come distributore, in concomitanza con la presenza della Mifid 2
e del dibattito sui costi in presenza di case di gestione che tradizionalmente
hanno offerto soprattutto prodotti i cui costi sono un decimo circa di quelli
adottati in media nelle gestioni attive più diffuse in Italia (in molti casi
sono ancora più economici);
Ø i principi che governano
il costo della consulenza e le fallacie collegate.
La
crescita dei fondi Vanguard a gestione passiva con dividendo. Fonte: Bloomberg
modificata.7
Un argomento spesso
utilizzato a favore della gestione passiva è la difficoltà da parte di quella
attiva, soprattutto sui mercati azionari, di replicare nel tempo la capacità dei
più bravi gestori, quelli del primo quartile (25%), nel battere
sistematicamente gli altri. Questo, come si è già detto, è un falso problema
perché concentra l’attenzione sui costi in modo fuorviante e totalmente
irrealistico per il risparmiatore medio italiano, che si è affidato al
“fai-da-te”.
I migliori fondi azionari USA a gestione attiva
del 2013 fanno fatica a restare nel quartile superiore negli anni successivi.
Questo significa che non sono sempre gli stessi fondi a battere le gestioni
passive. Fonte: Economist modificata.
I dati
presentati nelle due precedenti figure, insieme all’adozione della Mifid 2
anche in Italia, stanno alimentando un dibattito sul costo della consulenza che
si traduce nella domanda: quanto vale la gestione di un consulente? La domanda,
posta in questi termini, è imprecisa e la sua ambiguità può portare a molte
risposte diverse e a incomprensioni circa la vera natura del problema. Cercherò
qui di prospettare alcuni metodi per calcolare il costo/vantaggio della
consulenza.
Il
metodo win-win o dei vantaggi reciproci
Tale
metodo, per cercare di rispondere alla stima circa il valore della consulenza,
corrisponde al superamento della fallacia della torta fissa. Esso pone a
confronto un patrimonio seguito da un consulente con quello costruito, forse
intenzionalmente e consapevolmente, con il “fai da te”. Per fare un computo
bisogna calcolare la differenza di efficienza dei due patrimoni sui tempi
lunghi.
Il calcolo
dipende da diverse variabili e pre-condizioni. Assumiamo convenzionalmente che
il patrimonio preso in considerazione corrisponda alla diversificazione
effettiva media degli italiani: 2/3 in immobili e 1/3 in attività finanziarie,
per lo più in euro, reddito fisso e liquidità. Un caso estremo della ben nota
“fallacia di casa nostra” che porta, appunto, a concentrare i risparmi sugli
asset di casa nostra (home bias) e a tenere molta liquidità (fallacia del “non
si sa mai” come meccanismo psicologicamente sostitutivo delle assicurazioni).
In via del tutto ipotetica, un
portafoglio meno “sbilanciato” rispetto a quello costruito mediamente con il
“fai da te” avrebbe avuto nell’ultimo decennio margini di miglioramento di
almeno il 5% annuo rispetto al “fai da te”.
Come si fa a calcolare, in modo
del tutto indicativo, questo valore?
Si tratta di una percentuale del
tutto approssimativa perché si basa sul rendimento del portafoglio medio degli
italiani ottenuto con la strategia “fai da te” paragonato al rendimento medio
di patrimoni gestiti da esperti come il fondo sovrano norvegese o le dotazioni
delle principali università statunitensi.
Solo
a posteriori il “fai da te” è deludente rispetto alla consulenza. A lungo
andare la fallacia di casa nostra ci inganna, ci tranquillizza, ma alla fine ci
disillude con i suoi effetti. Ecco giungere il momento della consulenza. Fonte:
Economist modificata.
In questo
senso la consulenza può venire considerata come una sorta di “win-win”: essa
contempera gli interessi del consulente e quelli del cliente. Il confronto tra
le strategie “fai da te” e consulenza viene così ricondotto nell’alveo di una
forma particolare della “fallacia della torta fissa” in campo negoziale. Essa
dipende dal focalizzarsi su una torta fissa da cui viene detratto il costo
della consulenza che, in tal modo, sembra intaccare il patrimonio seguito
inteso appunto come una torta “fissa”. Invece la torta non è fissa e può
crescere, crescere molto di più con l’aiuto di un consulente.
La tabella mostra nella parte superiore il rendimento medio annuo
previsto, su un arco di sette anni, dal 1994 al 2017, dei diversi asset. Come
si vede la stima dei gestori attivi è stata precisa nel senso che le classi di
rendimento indicate sull’asse verticale sono quelle che si sono verificate con
una certa precisione. Nella seconda parte della tabella, relativa all’ultimo
settennato, risultano sottostimate le azioni USA, che pure avevano la
previsione più ottimistica tra i vari asset. La tabella conferma indirettamente
la nostra stima del 5% annuo di valore della consulenza. Fonte: Economist
modificata.
Sul numero
dell’Economist del 2 settembre 2017, c’è un’interessante analisi del valore
della consulenza nel senso che gli esperti hanno fatto delle previsioni
sull’andamento futuro di un portafoglio diversificato, previsioni che poi si
sono rivelate abbastanza precise. L’unico vero scarto negli ultimi sette anni è
una sottovalutazione della salita della borsa statunitense. Ma questa
sottovalutazione dimostra ancora una volta l’utilità della consulenza perché il
“fai-da-te” italiano non aveva neppure preso in considerazione questa possibilità.
La tabella mostra in modo indiscutibile quanto sia fuorviante la “fallacia
della torta fissa”.
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