domenica 22 ottobre 2017

Laboratorio GAM - Lezione N. 239 - La fallacia del consulente inteso come distributore




Mai confondere i problemi di chi costruisce i prodotti con quelli di chi segue i patrimoni. Chi segue i patrimoni fa molto di più che distribuire prodotti.

La falsa analogia con chi fa, costruisce, e distribuisce libri è illuminante. L’analogia tra:

1.      le librerie,

2.      le distribuzioni di libri on-line come Amazon, e

3.      chi si costruisce una biblioteca (patrimonio)

ci porta completamente fuori strada. Il consulente è molto di più di un distributore, non è neppure un costruttore di biblioteche.

E’, come vedremo meglio più avanti, una sorta di “allenatore” (coach). La situazione attuale richiede sempre più il ruolo del consulente se esso sarà interprete di una gestione “totale”, secondo l’accezione di questo termine che ho più volte definito e illustrato, al di là e oltre la gestione del patrimonio, per giungere a suggerirci alcuni principi di vita (cfr. principio 10).

Si è detto della grande tendenza, su scala globale, basata sugli aspetti del confronto tra i fondi passivi e la gestione attiva, e di come questo sia uno pseudo-problema collegato all’altro problema, quello dei costi della consulenza. La differenza di costo, da alcuni giudicata come non compensata da una corrispondente differenza di prestazioni, ha innescato un movimento nei flussi che è costante e consistente, ma, attualmente, sta rallentando (cfr. lezione 238).

 

Flussi di passaggi dalla gestione attiva a quella passiva dal 2014 al 2016. Fonte: Bloomberg modificata.
 
Ora va detto che è molto difficile per un singolo agente sul mercato, cioè il gestore di un fondo, battere il mercato nel suo complesso. Però non è questo che sta a cuore al “risparmiatore medio”: egli soffre per lo più per le forti discese dei mercati e sappiamo che solo le gestioni attive oculate possono immunizzarlo rispetto a questa possibile fonte di sofferenza di cui molti, ora, hanno perso memoria.
Possiamo risalire a Galton per capire il fenomeno nei suoi termini generali e nei suoi presupposti.
Il protagonista della nostra storia, Francis Galton, era stato uno scienziato eclettico, esploratore e fondatore di quel pezzo di psicologia che è la psicometria, cioè la misurazione dei fenomeni psicologici. Galton si reca alla fiera annuale di Plymouth, che allora era il principale centro agricolo della Cornovaglia, e che oggi, per un curioso scherzo del destino, accoglie un centro universitario dove ci sono molti studiosi di psicologia del pensiero. La fiera è caratterizzata da una competizione popolarissima. Si tratta di pagare 6 penny per partecipare a una gara vinta da chi sarà andato più vicino al peso di un bue che era stato macellato essendo stato giudicato l’esemplare più bello dagli allevatori. Il bue viene presentato su un tavolo, scomposto nei vari pezzi che i macellai avrebbero messo in vendita.
Galton ha un’idea apparentemente semplice, che però nessuno aveva avuto prima di lui. A fiera finita, si fa consegnare i biglietti di tutti i partecipanti. Calcola il valore mediano, cioè quello che sta in mezzo alle stime date da tutti concorrenti: metà sono superiori al valore mediano e metà inferiori. Le stime di ogni concorrente erano per lo più lontane dal peso effettivo del bue macellato, che era di 1198 libbre. E tuttavia la mediana non lo era: la valutazione intermedia tra quelli che avevano sbagliato per eccesso e quelli che avevano sbagliato per difetto si avvicina sorprendentemente al valore giusto. Conclusione: la “Vox populi” (titolo dell’articolo originario, 7 marzo 1907 su Nature), cioè la voce collettiva del popolo, non viene battuta dalla stragrande maggioranza dei singoli individui che formano quel popolo!
Immaginate ora un esperimento un po’ diverso dalla prova originale di Galton, replicata da GAM al Salone del Risparmio 2017. Provate a mettere in ordine i biglietti suddividendoli per il tipo di categoria dei vari concorrenti. Esaminate inizialmente le stime dei pochi macellatori, i più esperti in materia perché pesano i pezzi dei buoi macellati prima di darli ai macellai, e calcolate il valore medio di queste stime. Prendete poi in considerazione le stime dei sempre pochi macellai. In seguito, aggiungete quelle degli allevatori, per terminare con altre categorie sempre meno esperte: massaie, cioè le acquirenti abituali di carne macellata, e infine i curiosi e i visitatori di passaggio. A questo punto esaminate la media delle stime di tutti i partecipanti e fate una media delle risposte dei vari gruppi di concorrenti.
Quello che potreste supporre è che la stima media dei pochi veramente addetti ai lavori risulti più accurata di quella delle altre persone. Invece scoprirete che, via via che aggregate le stime dei numerosi non esperti, la media delle risposte si avvicina sempre più al valore esatto. L’esperienza in questo caso non aiuta!
Il mercato più ampio batte gli esperti! E’ il numero delle stime quello che conta, non l’esperienza di chi partecipa al gioco!
In rete si può trovare facilmente, googlando “2011 BBC The wisdom of crowds”, un istruttivo filmato della BBC in cui si mostra come funziona l’effetto che tradizionalmente viene chiamato “la saggezza delle folle” (il film dura meno di quattro minuti!).
Nel filmato si vede un signore che riempie un vaso di vetro trasparente con delle caramelle diversamente colorate. Il signore mette 4510 caramelle nel vaso trasparente. Poi prende il vaso e domanda a persone di ogni tipo quante caramelle ci sono dentro. Le stime sono le più diverse: da poche centinaia a decine di migliaia. Alla fine tutte le 160 risposte vengono sommate, per un totale di 722.383. Dividendo 722.383 per 160, il numero dei partecipanti, otteniamo una stima media di 4.514, incredibilmente accurata visto che la risposta esatta è 4.510. Il titolo del filmato è “la saggezza delle folle”. Ma forse sarebbe più accurato, visto che stiamo parlando di precisione, chiamare l’effetto Galton la “minore ignoranza delle folle”.
 
La saggezza delle folle
 
Si può ripetere questo esperimento in un’aula in modo semplice, come ho fatto più volte. Domandate a un gruppo di persone di scegliere un numero tra 1 e 100. Ognuno deve fare la sua scelta separatamente dagli altri, senza copiare. Il gioco consiste nel cercare di andare vicino al 50%, cioè la metà della media dei numeri indicati da tutti. Si procede così: ognuno sceglie un numero intero tra 1 e 100, si sommano i numeri e si divide la somma per il numero delle persone che hanno partecipato al gioco. Si ottiene così la media delle risposte: vincerà chi sarà andato con il suo numero più vicino alla metà della media.
Quale è il senso di questo esperimento? Provate a mettervi nei panni di uno studente. Lo studente deve cercare di calcolare a occhio la media delle risposte e trovare un numero quanto più possibile vicino alla sua metà. Poniamo che pensi che la maggior parte degli studenti, non sapendo che cosa faranno gli altri, scelga sulla base dell’ipotesi che gli altri partano da 50, a metà strada tra 1 e 100. In tal caso la media sarebbe 50 e vincerà chi è andato più vicino a 25 (la metà della media). Ma se tutti gli altri hanno fatto lo stesso ragionamento, e hanno risposto 25, allora vincerà il 12, e così via. Continuando di questo passo la risposta vincente sarà 1, ed è quella che darebbero dei computer a cui fosse sottoposto questo problema. Però, provando in classe, scoprirete che le cose non funzionano di fatto così: molti pensano che cosa fare in funzione di quello che faranno probabilmente gli altri, ma non si spingono troppo in là in questo ragionamento. Lo possono imparare gradualmente, se ripetete lo stesso esercizio più volte. Molti inizialmente neppure pensano e scelgono un numero a caso, senza riflettere.
Quello che è più stupefacente è che la maggioranza delle persone, prese singolarmente, fanno meno bene della classe nel suo complesso. Questo scarto può dare un’idea del perché sia difficile battere la media dei mercati che incorporano le aspettative di tutti gli operatori, esperti e inesperti. Ma il punto, ovviamente, non è quello di battere i mercati a costi bassi. I buoni fondi a gestione attiva non scompariranno mai perché hanno il pregio di ammortizzare le discese, quelle che rendono doloroso il risparmio finanziario (e, in Italia, hanno fatto preferire a molti gli immobili perché non ci si accorge mai delle loro eventuali discese di valore, o, per lo meno, quando il risparmiatore se ne accorge è spesso troppo tardi. Nel frattempo, comunque, non ha sofferto.)
 
 


Nel 2017, con lo S&P500 in crescita e un calo della volatilità, l’indice degli hedge quant non ha battuto lo S&P500. Fonte: Bloomberg modificata.
 
Più complesso è invece il caso dei quant hedge fund. Qui l’uomo deve individuare un modello che poi il computer replicherà operando automaticamente sui mercati. Quando i mercati salgono e c’è poca volatilità, è difficile che questi modelli riescano a battere i mercati, più o meno per lo stesso meccanismo individuato più di un secolo fa da Galton. Sono però prodotti economici, in quanto gestiti da macchine e, ancora una volta, si pone al centro dell’attenzione il problema del rapporto “costo di gestione/prestazione”.
Sta di fatto che entrambe queste tendenze, passaggio attivo/passivo e quant hedge fund, costituiscono lo sfondo per interrogarsi sul valore della consulenza. In verità questo interrogativo è sempre stato latente, tant’è che l’italiano medio vi ha dato un’implicita risposta con il “fai da te”. Tale risposta è stata tanto prevalente da offuscare la stessa domanda o, per lo meno, dal riflettere sulla domanda: “Avrei bisogno di consulenza?”. Ora non più. Il “fai-da-te” ha mostrato i suoi limiti, anche se tardi.
Di questi tempi la domanda è così divenuta esplicita e pressante, grazie anche alla spinta e al dibattito innescato dalla Mifid 2. Il “paradosso della consulenza”, come vedremo meglio più avanti, è che, per accorgersi di avere bisogno di consulenza e di poterne trarre vantaggio, bisogna capirne il senso e la necessità, avere cioè un minimo di preparazione.


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