venerdì 19 maggio 2017

Laboratorio GAM - Lezione N. 221 – Superbia e tendenza a procrastinare il passaggio generazionale



Perché si tende a procrastinare il passaggio generazionale e questo ritardo impedisce la messa a punto di una razionale e ponderata decisione e, talvolta, trasferisce il problema alla prossima generazione che, spesso, non è preparata? Sono state date molte risposte a questa domanda.

Io partirò commentando
tre recenti passi.

Il primo è tratto dall’intervento di Ignazio Visco, Governatore della Banca d’Italia. In occasione del Convegno del 30 marzo: “La ricchezza della nazione. Educazione finanziaria e tutela del risparmio”, ecco una prima osservazione: 
Per gli adulti occorre sfidare pregiudizi – la convinzione, ad esempio, di saperne già abbastanza – e creare incentivi ad apprendere. Perché l’offerta di educazione finanziaria incontri la necessaria domanda, bisogna che si rafforzi tra i cittadini la consapevolezza che un buon livello di cultura finanziaria si riflette, attraverso scelte economiche di breve e lungo termine più consapevoli, in un maggiore benessere, individuale e sociale.

A questo riguardo mi limito a osservare che ci sono due vie per rafforzare tale consapevolezza.

La prima è evidenziarne i vantaggi in termini di benessere materiale e di vantaggi per il patrimonio. La seconda, che cerco da anni di perseguire, consiste nel mostrare che questa problematica è interessante di per sé. Si tratta, infatti, di una materia che è spia del funzionamento della mente umana. In altre parole la materia ha un interesse intrinseco come cartina di tornasole dei meccanismi cognitivi e emotivi, e non solo come interesse estrinseco, finalizzato alla gestione del patrimonio.

Ovviamente le due motivazioni non sono in contrasto. Finora, purtroppo, questo obiettivo non è stato raggiunto se è vero, come è vero, che:
… la Banca d’Italia ha, tra i propri compiti, quello di accrescere l’alfabetizzazione finanziaria per migliorare il cosiddetto “benessere finanziario” (financial well being) dei risparmiatori. In Italia le indagini disponibili sugli adulti e sugli studenti segnalano un livello di educazione finanziaria particolarmente basso. Con riferimento agli adulti, l’indagine Standard & Poor’s “Global Finlit Survey”, realizzata nel 2014 su 140 Paesi, colloca l’Italia all’ultimo posto tra i Paesi europei, con solo il 37 per cento tra gli adulti che risponde correttamente ad almeno tre delle cinque domande su concetti di base (interesse semplice e composto, inflazione, diversificazione del rischio).

Per raggiungere tale obiettivo è bene, sempre secondo il Governatore:
… al fine di affrontare i rischi in modo consapevole è importante, altresì, comprendere i benefici del ricorso alla consulenza finanziaria professionale: molti ancora preferiscono i suggerimenti di familiari e colleghi; il ricorso alla consulenza qualificata in Italia è ancora limitato e cresce al crescere della cultura finanziaria.

In sostanza il Governatore ci dice che la maggioranza degli italiani non sa, e non sa di non sapere. Insomma che è superba. Creare incentivi ad apprendere? In una fase iniziale solo i consulenti possono svolgere questo ruolo di agenti per l’ “educazione finanziaria”. E tuttavia, in seguito, io credo, o forse spero, che il più rilevante compito del consulente finanziario, oltre a gestire il patrimonio affidatogli, sia puntare sulla curiosità umana, incentivando il desiderio di capire come funziona la nostra mente: in fondo la cultura finanziaria è solo un sottoprodotto di questo interesse, se ben coltivato.

Voglio fare un esempio, a tale riguardo, prendendo spunto da una recente osservazione di Carlo Benetti:
… Tra la visita in Russia di Lincoln Steffens nel 1928 e il 1960, il PIL sovietico era aumentato del 6% all’anno, un tasso di crescita eccezionale, conseguito a dispetto dell’arretratezza e dell’inefficienza allocativa delle risorse. Un progresso che aveva impressionato gli osservatori occidentali, sorpresi anche dal lancio in orbita della capsula Sputnik con a bordo il primo animale, la cagnolina Laika e pochi anni dopo, nel 1961, il primo uomo, Yuri Gagarin.

Nel suo celebre manuale di economia, Paul Samuelson scrisse che l’Unione Sovietica avrebbe superato gli Stati Uniti nel 1987 o, al più tardi, dieci anni dopo. Nell’edizione del 1980 la previsione era confermata, spostata al 2002 e al 2012. Solo negli anni ’80 si comprese che la potenza sovietica appoggiava su piedi d’argilla.

Eppure questa previsione non aveva tenuto conto di come funziona effettivamente l’uomo, dei limiti della mente umana, e di come funzionano gli uomini all’interno delle imprese. Di conseguenza le imprese stesse sono organizzazioni in cui gli scambi sono privi di costi di transazione, o per lo meno, hanno costi di transazione molto più bassi di quelli necessari per prendere accordi sul mercato. Come osservavo recentemente sul Sole24Ore (2 aprile 2017):
L’inizio della storia risale alla grande intelligenza di uno studioso inglese, Ronald Coase (1910-2013). Giovanissimo, com’è testimoniato da una lettera che manda al suo amico Fowler il 10 ottobre 1932, era andato oltre l’ovvio. Provate a chiedere a una persona dotata solo di senso comune perché un’azienda esiste e perché è così grande? Vi dirà che la dimensione è quella che è perché chi l’ha fatta e la gestisce pensa che quella sia la grandezza più conveniente. Questa risposta non è altro che una riformulazione della domanda, come spesso capita nell’economia e nella psicologia ingenue.

Fu Coase ad avere la risposta giusta e, da allora, come lui raccontò in occasione del premio Nobel il 9 dicembre 1991, “il sole non cessò più di splendere” (forse alludeva al nome del sobborgo di Londra dove era nato: in anglosassone significa la collina della primavera).

Immaginiamo che nel mondo non ci siano organizzazioni.

Avremmo solo quella che Coase chiama concorrenza atomistica, cioè il lavoro di individui singoli: potremmo immaginare persone con un libro IVA che si mettono ogni volta d’accordo per produrre qualcosa. “Nei fatti – scrive Coase a Fowler – non è così. Perché? Credo che la ragione debba essere trovata nei costi per condurre a termine queste transazioni di mercato”, cioè i costi psicologici necessari per giungere a un accordo tra più persone libere e presenti nel mercato del lavoro. Questi costi sono eliminati in un’organizzazione gerarchica in cui i superiori dicono ai dipendenti che cosa fare. E l’organizzazione nasce e cresce perché riesce a operare con un costo inferiore a quello delle transazioni di mercato che vengono sostituite.

Coase va negli Stati Uniti con una lettera di presentazione di Ernest Bevin, il più importante sindacalista inglese, e studia le relazioni delle imprese automobilistiche con i loro fornitori, dimostrando la correttezza della sua impostazione teorica (oggi i suoi due lavori più importanti hanno più di 65mila citazioni su Google Scholar, un record).

In un’organizzazione complessa nessuno ha un quadro completo della situazione e il comando permea i diversi livelli gerarchici. Se si dovesse sempre convincere tutti, tanto varrebbe contare solo sulla concorrenza atomistica. Farne a meno fino a un certo punto è vantaggioso, ma anche pericoloso se il comando non è esercitato con intelligenza.

Ecco, ciò di cui ci parla il Governatore non è forse un’altra variante della cosiddetta illusione della conoscenza? Una forma di superbia: credere di poter fare a meno di un consulente pur avendo una bassa preparazione finanziaria? Se le cose stessero così anche il procrastinare o il trascurare il problema del passaggio generazionale non sarebbe altro che una variante di tale superbia.
Io credo però che gli uomini siano tendenzialmente superbi ma non stupidi, e che quindi accettino l’evidenza, almeno quando questa arriva a dosi massicce. Solo che ci vuole un certo tempo, bisogna che un punto di svolta sia maturo e consolidato prima che la maggioranza delle persone se ne renda conto. Farò alcuni esempi a questo riguardo nel campo che a noi interessa. È dal 2004 che i prezzi del mercato azionario americano sono convenienti rispetto ai titoli di stato, eppure la preferenza per le azioni è più recente, quando ormai l’evidenza è consolidata e massiccia.




Lo stesso vale per il recente entusiasmo per le economie emergenti, malgrado i loro tassi superiori di crescita rispetto alle cosiddette “economie ricche” siano consolidati da tempo.

Tant’è vero che gli emergenti sono ancora a sconto rispetto ai cosiddetti mercati delle nazioni “sviluppate”, malgrado i forti incrementi recenti.



Più in generale possiamo vedere un manifestarsi della superbia, come caratteristica permanente della natura umana, nella tendenza ad accentuare entusiasmi e delusioni. La superbia, infatti, prima non ci fa vedere i punti di svolta e poi ci fa reagire in modi che cercano di cancellare ai nostri occhi i ritardi dell’attenzione. Una sorta di “dissonanza cognitiva”, dove le emozioni rincorrono i dati oggettivi molto più stabili. Di qui lo scarto tra dati “oggettivi” e “atteggiamenti soggettivi”.





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