giovedì 2 febbraio 2017

Laboratorio GAM - Lezione N. 208 - Necessità di un consulente nell’era della post-verità


Abbiamo già accennato al fatto che, per il cliente ingenuo, in ogni campo delle pratiche umane, un esperto dovrebbe riuscire a fare meglio della media di quello che fanno tutti gli altri, esperti e inesperti, in quel dato settore di attività.
Tale credenza è rinforzata dal fatto che
ci sono delle gestioni attive che fanno meglio delle corrispondenti passive, soprattutto in un’epoca ricca di sorprese (per il ruolo delle sorprese, rimando a p. 77 e segg. del mio recente "Economia nella mente").


La figura mostra come, da marzo 2016, fino a ottobre 2016, l’indice delle sorprese “Citi Economic Surprise”, molto utilizzato, abbia battuto in modo positivo le aspettative sugli scenari europei. Fonte: Bloomberg modificata.

Un altro motivo che fa sì che non sia facile accettare le conseguenze delle gestioni passive è di ordine psicologico. Le gestioni passive richiedono la capacità di trattare in modo equivalente perdite e guadagni e questo è veramente molto arduo sul piano emotivo, soprattutto per un investitore poco "educato finanziariamente" come quello italiano. Le strategie passive creano portafogli con forti direzionalità e pochi sanno aspettare dopo le sofferenze patite durante le forti discese (già due nel corso di questo secolo). Via via che i risparmiatori statunitensi opteranno sempre più per le passive – e non dimentichiamo che il 2016 è stato l’anno del grande soprasso delle passive sulle attive sul più grande mercato della gestione del risparmio del mondo – sarà sempre più indispensabile, per un consulente di un cliente medio, correggere in un portafoglio azionario la forte direzionalità causata da una gestione della componente azionaria esclusivamente passiva.
La figura mostra come il risparmiatore abbia dovuto "sopportare" due punti di svolta dovuti a forte calo nel 2000 e nel 2007/8. Peraltro, se una persona sa aspettare un lustro, la discesa è più che compensata (come peraltro non è avvenuto con i fondi immobiliari italiani di cui parlo qui sotto). E tuttavia cinque anni sono l’eternità per l’investitore non preparato, cioè per la maggioranza degli italiani, e la stragrande maggioranza di chi si rivolge a un consulente.  Resta il fatto che questo è un forte limite psicologico per chi si affida totalmente alle gestioni passive se non è dotato di nervi forti e di prospettive temporali lunghe.


La figura mostra le forti direzionalità delle borse statunitensi nel corso di questo secolo. Ora, come alla fine degli anni 90 del secolo scorso, i 4 indici hanno toccato contemporaneamente record storici.
Fonte: Bloomberg modificata.
Un ulteriore motivo che rende utile la consulenza ha a che fare con il fatto che i mercati sono sorprendenti e la gestione attiva può sfruttare tali discese nei modi descritti in "Economia della mente". Un gestore attivo può sfruttare tali sorprese per battere le gestioni passive, almeno talvolta, e almeno per un certo periodo di tempo. Molto difficile peraltro che ciò avvenga sui tempi lunghi e, talvolta, anche su tempi non troppo lunghi. Si pensi che su un campione di 318 fondi che comunicano con puntualità a Plus24 le variazioni a un anno del benchmark prescelto per ogni singolo fondo, soltanto 70 hanno fatto meglio del parametro di riferimento (Gianfranco Ursino, Plus24, 7-1-17, p. 23). Questo è anche un effetto del peso sempre più rilevante delle gestioni passive che riducono la varianza all’interno del paniere di titoli che compongono un indice perché il meccanismo "cieco" della gestione passiva tende ad aumentare sia le correlazioni tra i singoli titoli che la direzionalità complessiva. Negli USA, nel 2016, solo tre, tra i dieci titoli più trattati, sono stati titoli singoli corrispondenti a specifiche società, gli altri 7 sono ETF o indici analoghi.  Sottolineo, quindi, che questi sono effetti che, quasi per paradosso, rendono più indispensabile la consulenza per l’investitore italiano medio.

Tra i dieci titoli più trattati nel 2016 negli USA solo tre sono titoli corrispondenti a specifiche aziende. Fonte: Bloomberg modificata. 


L’indice delle sorprese elaborato da City mostra che il mondo è andato meglio di quanto non ci si aspettasse in tutte le più importanti regioni del mondo. Fonte: Bloomberg modificata.

In relazione alla necessità di consulenza, comunque, il motivo più rilevante di tutti è la relativa sfiducia in tutto ciò che passa per la rete, e cioè negli investimenti in assenza di un consulente umano che ci mostri la sua faccia e che ci conosca come persone "nella nostra globalità" oltre che come risparmiatori/investitori. E' di questo consulente che gli italiani hanno bisogno visto che il “fai da te” ha portato a portafogli sbilanciatissimi impoverendo complessivamente la famiglia media.
A questo riguardo vi voglio raccontare una storia paradigmatica. Molte storie analoghe a questa sgretoleranno forse la fiducia nella rete come fonte d’informazioni per questioni che ci stanno a cuore, come appunto la gestione dei nostri risparmi.
L’Oxford Dictionary, la bibbia della lingua inglese, si arricchisce ogni anno di una nuova parola. Quest’anno la scelta è caduta su "post-truth", un termine composto che descrive il nuovo mondo del “dopo-verità”. Il termine indica non tanto il fatto che circolano informazioni false sui media, per esempio in occasione della Brexit o dell’elezione del presidente degli Stati Uniti. Da sempre, quanto più l’esito di un’elezione politica è considerato rilevante, tante più frottole circolano. 
La post-verità è altra cosa. Abbiamo a che fare con la creazione di un fatto preciso che si presume accaduto e documentato. L’inventore del fatto innesca il tam-tam ossessivo della rete. In questo senso la post-verità si accompagna al mondo nuovo e speculare della post-falsità. Le informazioni sembrano documentate e, a chi le diffonde, non importa se sono false.
L’esempio più famoso è stato ricostruito in dettaglio. La storia inizia a Austin, in Texas, quando Eric Tucker, alle 8 di sera del 9 novembre, mette su Twitter la foto di un autobus con il commento: "Le proteste anti-Trump non sono così spontanee come sembra. Ecco l’arrivo dei partecipanti". In quel momento solo 40 persone seguono i messaggi di Tucker. Sapendo della protesta, e trovata per caso una foto su Google, Tucker suppone (in buona fede, dice lui) che l’autobus sia quello usato dai protestatari (in realtà si tratta di partecipanti a una conferenza). Il giorno dopo, alle 12.49, l’immagine compare sul sito di Trump. In poco tempo la notizia rimbalza 16mila volte su Twitter e 350mila volte su Facebook.  La compagnia degli autobus smentisce.  Eric Tucker, interpellato dai giornalisti, spiega: “Ero rimasto colpito dall’immagine degli autobus e sapevo delle proteste". Ammette però: "Non ho visto le persone con i miei occhi". Trump commenta: “Molto scorretto. I professionisti della protesta, incitati dai media”. A quel punto Tucker toglie la notizia dal suo sito. Troppo tardi. La valanga procede. A mezzanotte Tucker rimette sul sito la foto con la scritta: FALSO.  Riceve solo 29 risposte. Nessuno gli bada più. Dopo una settimana i suoi seguaci sono diventati 980 e Tucker confessa: “Cercherò in futuro di fare affermazioni più obiettive e documentate”. Tucker non conosce le regole con cui funziona l’attenzione, selezionata dall’evoluzione naturale per essere risucchiata da aspettative e schemi già predisposti.
In questa storia si manifesta tutta la nuova potenza della rete, ma ci sono anche tracce d’antico. Gaetano Kanizsa, il fondatore dell’istituto di psicologia di Trieste, nel 1952 fa un esperimento pionieristico. Sottopone a 23 studenti di una scuola di assistenti sociali il test di Meurisse chiedendo loro di fare uno scarabocchio senza mai staccare la matita dal foglio. La forma dello scarabocchio, interpretata da un esperto, dovrebbe svelare la personalità. In realtà Kanizsa presenta la stessa descrizione di personalità a tutti i partecipanti. E’ uguale, ma è fatta bene, in modo apparentemente circostanziato: la maggioranza dei partecipanti vi si ritrova. Ben più stupefacente è la ripetizione dell’esperimento da parte di Paolo Zordan, nel 2000, con 28 studenti del quinto anno di una facoltà di psicologia. Zordan ottiene lo stesso risultato. Tutti gli studenti, tranne uno, credono che la diagnosi sia verosimile. Credono perché desiderano credere. E desiderano credere perché vogliono diventare psicologi clinici.
Alla luce di tutto ciò, è fuorviante equiparare l’elezione di Trump a una sorta d’intrattenimento condito di evidenti panzane. Le persone non vogliono credere che siano frottole, almeno quando sono d’accordo. Per questo i nostri talk-show funzionano con scambi accesi e contrapposti: post-verità per tutti. Il caso limite è un’immagine semplice, immediata, in grado di risucchiare l’attenzione dei seguaci, come nel caso di Tucker.  Ne è consapevole il co-fondatore di Facebook, Mark Zuckerberg, che dichiara: "Noi gestiamo una comunità (di 1.8 miliardi di utilizzatori) e non saremo arbitri delle loro verità". Per l’appunto: le loro verità. Alcuni esperti ritengono che sia più comodo e gratificante pascersi di storie post-vere invece di praticare gli esercizi faticosi della buona logica. Forse un altro modo di ribellarsi al pensiero dominante delle élite? E tuttavia opinioni condivise, emozioni e credulità sono contro-producenti in occasione delle scelte, o meglio delle non-scelte, che attengono agli investimenti, alla salute e, più in generale, alla vita.
Torniamo all’Italia. E’ di questi giorni la notizia delle decine di migliaia di risparmiatori che, pur possedendo già immobili, hanno comprato dieci anni fa fondi immobiliari italiani (con immobili locati nel nostro paese) nella convinzione, allora diffusissima, che “il mattone non tradisce mai”. Sono così riusciti a incrementare la non diversificazione dei loro risparmi trovandosi con fondi che alla fine della loro corsa si sono ridotti assai di valore. 
Secondo molti commentatori il dibattito sulla post-verità avrà come effetto quello di rendere poco credibile le notizie che circolano in rete e, più in generale, l’affidabilità di questo strumento “a distanza" per affrontare i problemi che ci stanno a cuore, tra cui la gestione dei nostri risparmi. Non sappiamo se queste previsioni siano fondate. Quel che è certo è che i risparmiatori italiani preferiscono il contatto diretto con il consulente. Quest’ultimo, in linea generale, non deve temere la minaccia delle gestioni passive. In effetti, in generale, il tema dei costi della gestione passiva passa in secondo piano rispetto a una ristrutturazione complessiva dei risparmi degli italiani, pessimi investitori con il “fai da te”. I margini derivanti da tale ristrutturazione sono di un altro ordine di grandezza rispetto al peso della differenza dei costi delle commissioni di gestione. Un consulente ha molte frecce e argomenti al suo arco, soprattutto in un periodo di grandi transizioni.

Nessun commento:

Posta un commento