domenica 19 febbraio 2017

MERCATI FINANZIARI: OSSERVATORIO DEL 17/2/2017


“TRUMPEUFORIA” CONTINUA

Leggendo IlSole-24Ore di oggi non poteva che colpirmi il neologismo “trumpeuforia”, usato da Walter Riolfi nel suo articolo “Opposte scommesse sull’eurozona”, e non posso che condividerlo perché nei fatti è vero.


Trump ha indotto un effetto euforico negli investitori. L’indice S&P 500 nella settimana della sua elezione se ne stava in trepida attesa in area 2100, dopo un trend negativo che durava da metà agosto, per raggiungere di botto quota 2164 nella chiusura del venerdì. Da quel momento, si tratta di 15 settimane, l’indice ha registrato ben 13 chiusure settimanali in positivo arrivando a quotare 2351 punti alla fine della settimana scorsa. Si tratta di una crescita del 12%; un buon risultato, non c’è che dire, ma lo è ancor più se consideriamo che l’elezione di Trump era considerata unanimemente una jattura e che questa crescita ha visto toccare e ritoccare con continuità nuovi massimi, come avvenuto nel corso della scorsa settimana.

Pur fra qualche inciampo e gli abituali atteggiamenti istrionici, la promessa dell’abbassamento della pressione fiscale sembra aver ipnotizzato gli operatori che manifestano apertamente la loro approvazione attraverso le continue scommesse sugli indici azionari Usa. Sta di fatto, come dice Riolfi, che l’indice di Filadelfia viaggia sugli stessi livelli dell’epopea reaganiana  quando la crescita era superiore al 7% annuo, un ritmo “cinese” diremmo ora.

Tutto ciò fa certamente piacere a coloro che hanno puntato in questi anni sulla crescita del mercato azionario, in particolare quello americano, ma è altrettanto certo che i risultati futuri potranno arrivare solo se Trump abbasserà realmente la tassazione, che questa manovra possa innescare uno stimolo all’economia statunitense tanto forte da potersi estendere a tutto il mondo diffondendo benessere e crescita generalizzata, che tale crescita si concretizzi in un altrettanto forte incremento dei margini reddituali.


Ciascuno di noi dovrebbe infatti ora chiedersi quale livello di crescita ulteriore può definirsi soddisfacente, ossia quale rapporto rischio/rendimento è da ritenersi equo, dato che gli attuali livelli dell’indice S&P si trovano del 50% al di sopra del precedente record del 2007 e che a questi livelli tutti coloro che hanno investito sui minimi di marzo 2009  hanno ottenuto una remunerazione complessiva del 210%.


 LA SETTIMANA SUI MERCATI


Dei massimi dello S&P abbiamo appena raccontato ma, come accaduto nelle precedenti occasioni, questo record viaggia in combine con i massimi storici del Nasdaq e dell’indice Wold Msci. La settimana scorsa non ha registrato alcun mutamento di sentiment ed infatti ben tredici indici sui quindici del paniere chiudono in territorio positivo. Restano fuori dal generale ottimismo solamente le borse di Tokyo (-0,74%) e quella di Mosca (-1,03%), strettamente correlata all’andamento degli idrocarburi, fermi da due mesi sui medesimi livelli.

In settimana si distinguono in particolare la borsa brasiliana (+2,46%), il cui andamento ormai non fa nemmeno più notizia, e la piazza di Hong Kong, a +1,95%. Su crescite sostanzialmente comprese fra il mezzo punto ed il punto percentuale si trovano tutte le piazze europee, sulle quali aleggia da tempo una certa perplessità riconducibile ai destini dell’euro qualora dalle prossime tornate elettorali emergessero forti velleità nazionalistiche contrarie all’Unione Europea.

Tanto per rendere l’idea, se prima abbiamo puntualizzato quanto sia cresciuta la borsa americana, ricordo che, all’incontrario, l’indice Eurostoxx, per ritornare sui massimi precedenti che risalgono a marzo 2000 (17 anni fa !!!) dovrebbe crescere del 63% dall’attuale livello. In queste percentuali possiamo capire le diversità strutturali fra la neonata comunità europea e la consolidata macchina politica ed amministrativa americana.


LA SETTIMANA DEI MERCATI OBBLIGAZIONARI

Dopo la fiammata delle due settimane a cavallo fra gennaio e febbraio sui mercati dei bond governativi è tornata una certa serenità, il che non sta certo a significare che altre burrasche non arriveranno.

Gli attuali livelli dei tassi decennali ci offrono un quadro piuttosto diverso rispetto alle scorse settimane. In Usa siamo passati da tassi di poco inferiori al 2,50% all’attuale 2,24%, un calo di oltre l’8% dal primo di gennaio e del 10% dai massimi. In Europa i tassi britannici si sono sin qui mossi in parallelo con quelli Usa ed ora offrono un rendimento pari all’1,22% mentre, nonostante un sostanzioso regresso dai massimi, restano in tensione quelli principali dell’area Euro (Germania, Francia e Italia).

L’Italia è il paese maggiormente esposto con tassi a 10 anni stabilmente superiori al 2% da un mese a questa parte e uno spread sul Bund a 187,20 in chiusura settimanale. La Francia e la Germania da inizio anno si sono stabilizzate su incrementi del rendimento intorno al 50% che significa tassi pari all’1,05% e 0,30% rispettivamente.


ANDAMENTO DELLE VALUTE


A un mese si registra un generale indebolimento dell’Euro su ciascuna delle valute del nostro paniere; tale indebolimento è mediamente pari all’1% su dollaro, sterlina e yuan, mentre sfiora il 2,5% sullo yen giapponese. Da inizio anno la relazione fra euro e dollaro Usa, la più importante, resta comunque favorevole all’Euro nella misura di un punto percentuale. 

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