GLI USA SEMPRE PIU’ AI MASSIMI STORICI
Dall’inizio dell’anno assistiamo a continui
ritocchi dei massimi degli indici USA; anche questa settimana è accaduto che il
Nasdaq e lo S&P 500 si siano spinti ancora più su portandosi
rispettivamente a 5.734,13 punti e a 2.316,10. In modo
inerziale, dato il grande peso di questi due mercati, anche l’indice Msci World si spinge al
record di 1.403,78 punti. Da inizio anno questi tre
indici sono rispettivamente cresciuti del 6,52, 3,45 e 2,90%.
Ancora meglio, da inizio
anno, le performance di Brasile (+9,79%) e Hong Kong (+7,16%) seguite a breve
distanza dall’India, salita del 6,41%. Dato che l’anno scorso, nello stesso
periodo, ci trovavamo sui minimi dell’anno possiamo ben dire che lo scenario è significativamente
diverso e che le paure degli investitori siano momentaneamente accantonate.
Sula continuità di tutto ciò nutriamo
legittimamente dei dubbi ma altrettanto chiaramente dobbiamo affermare che la
voglia di performance è un driver molto potente ma fino a quando potrà durare
questo trend? E’ doveroso chiedersi se le attese riposte su una poderosa
crescita degli Usa siano ben riposte alla luce delle forti resistenze interne
di una buona parte della società americana che sempre più scende in piazza per
contestare le politiche della neo-presidenza. Sarebbe infatti sufficiente un
qualsiasi intoppo per indurre la speculazione a ribaltare il sentiment per
cavalcare un ribasso, anche di elevata entità. Ma i mercati non vanno
contrastati aprioristicamente e per ora sono decisamente orientati al rialzo.
In Europa tale unidirezionalità non esiste,
dato che mentre Germania, Svizzera e Gran Bretagna proseguono nella loro marcia
verso l’alto Francia, Italia e l’indice Eurostoxx 50 restano in area negativa
da inizio anno, come evidenziato nel grafico.
Passiamo alla visione della settimana uscente
che conferma le difficoltà della borsa italiana e di quella russa, quest’ultima
però all’interno di una crescita che dura da oltre un anno. In molti casi la
settimana dal 3 al 10 febbraio si rivelata piuttosto positiva; i mercati
estremo-orientali si sono ben comportati, con il Giappone che realizza la migliore
performance (+2,44%) e le due borse cinesi - Hong Kong e Shangai - a seguire
con crescite dell’1,93% e dell’1,80%. Spicca ancora il Brasile, a sua volta
cresciuto dell’1,80% e, fatta eccezione per Francia e Germania, positive per
pochi centesimi percentuali, gli altri mercati del nostro osservatorio si sono
attestati su crescite percentuali attorno all’1%.
La fiammata dei rendimenti
delle ultime settimane sembra placata, almeno al momento, nel corso della
settimana, che ha registrato un calo dei tassi piuttosto uniforme con
l’eccezione dell’Italia che mantiene invariato il livello reddituale del Btp
decennale (2,26%). Gli altri titoli governativi del nostro osservatorio
registrano dei cali, soprattutto sul titolo tedesco che in una sola settimana
vede calare il rendimento del suo decennale del 25%, portando i rendimenti dallo
0,41% allo 0,32%. Sulla stessa scadenza i governativi di Francia, Gran Bretagna
e Usa regrediscono in modo molto più contenuto.
Resta in tensione lo spread
fra Btp e Bund, pur allontanandosi dai massimi dell’anno, che chiude la
settimana a 193,20 bp su cui si appuntano le solite difficoltà di trovare un
accordo con l’UE sulla manovra di bilancio, problema che si ripete
costantemente dato l’elevatissimo livello del debito pubblico e la volontà di
non concedere al nostro paese deroghe sul livello del deficit. Di per sé nulla
di nuovo sotto il sole ma è chiaro che i nostri spazi di manovra restano
sottilissimi e che la nostra crescita, ancora molto debole, lascia il fianco
scoperto ad eventuali turbolenze internazionali o a ulteriori deterioramenti
del nostro sistema finanziario.
A tale proposito invito alla
lettura dell’articolo de Il Sole-24 Ore del giorno 12/2/2017, “Pressing UE sui
conti pubblici dell’Italia Pil della zona euro rivisto al rialzo: +1,6%”
ANDAMENTO DELLE VALUTE
La settimana uscente vede un
generale indebolimento dell’Euro sulle quattro valute del nostro paniere. A un
mese l’Euro ritorna alle medesime quotazioni sul Dollaro Usa (1,064) e si
indebolisce sulle altre tre (Sterlina Inglese, Yen Giapponese e Yuan Cinese).
Bene per le nostre aziende esportatrici che potrebbero trovare ulteriore
vitalità e sbocchi sui mercati esteri migliorando la bilancia commerciale e il
Pil, fattori da cui dipende il miglioramento della crescita globale del paese.
Se invece allargassimo le osservazioni
dall’inizio dell’anno ad oggi ci accorgeremmo però che il cambio fra Euro e Dollaro
Usa è favorevole all’Euro dell’1,20%, valuta nella quale purtroppo vengono
regolate molte importazioni fra cui quelle relative al comparto energetico,
vero e proprio tallone d’Achille per il paese.
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