Abbiamo
accennato nelle lezioni precedenti a come Schumpeter sull’Economist del 7
maggio 2016 suggerisca che il trionfo di Ranieri avrà conseguenze anche nel
mondo della consulenza finanziaria che, per decenni, ha guardato ai grandi
dello sport per trarre ispirazione.
Il confronto tra due stagioni della squadra di calcio
del Leicester guidata da due allenatori: Pearson e Ranieri. Fonte: Serie A
britannica.
In effetti, ci sono molte
analogie tra mondo della finanza comportamentale e mondo dello sport.
La figura mostra il rapporto tra l’allenatore sportivo
(la volpe allude al soprannome del Leicester: le volpi) e l’esperto di
consulenza che, con il microfono in mano, tiene conferenze e fa formazione in
aula. Fonte: Ryder modificata.
Un altro caso famoso di
allenatore diventato consulente aziendale è quello di Julio Velasco, il più
grande (ex) allenatore di volley azzurro. Per Velasco era cruciale la
formazione costante dei giocatori, l’analisi dettagliata delle partite giocate,
la comprensione del perché le cose erano andate bene o male e, infine,
l’accettazione dell’impossibilità di prevedere tutti gli eventi, pur cercando
di non perdere mai il controllo delle circostanze, anche se non preventivamente
prese in considerazione. Ancora una volta emerge come cruciale la necessità di
non scoraggiarsi di fronte agli insuccessi. Quest’ultimo aspetto va ricordato
soprattutto nel caso di Ranieri, che ora ha 64 anni e divenne allenatore del
Leicester nel luglio del 2015, quando aveva alle spalle trent’anni di
esperienza.
Ranieri non aveva mai
raggiunto vittorie eccezionali ed era conosciuto come “l’uomo del quasi”,
finito secondo nella Premier League da allenatore della squadra Chelsea. Veniva
criticato perché era dubbioso e continuava a provare formazioni diverse, al
punto che il suo soprannome era “The Tinkerman” (colui che prova, cambia
continuamente, mai soddisfatto). Con il Leicester Ranieri aveva analizzato
molti dati e prestazioni del passato così da trovare la formula vincente. I
trent’anni di mancati successi, per lo meno di successi clamorosi, gli avevano
insegnato la modestia e uno stile duttile ed empatico di rapporti con i suoi
calciatori (clienti). Era capace ogni volta di mettersi dai punti di vista dei
diversi calciatori. Questo era cruciale perché – per quanto i giocatori non
fossero divi costosi, almeno rispetto alle grandi squadre – i calciatori
venivano da culture lontane e da storie altrettanto diverse.
C’è infine un altro punto
di collegamento tra sport e mondo finanziario. Si pensi che la teoria del
portafoglio fu messa a punto nelle sue linee generali negli anni cinquanta da
Harry Markowitz, dopo che per decenni c’erano stati consulenti e gestori dei
risparmi. Perché così tardi? Semplicemente perché tutti i suoi ingredienti sono
contro-intuitivi:
- Il concetto di rischio
delle singole componenti, diverso dal rischio complessivo di portafoglio, che
non è la somma dei rischi delle sue parti.
- L’asimmetria tra perdite
e guadagni, per cui, a parità di valore assoluto, le prime non compensano i
secondi.
- La tendenza a
concentrarsi su quello che è andato bene in passato, sottovalutando i tempi
lunghi e sopravvalutando la nostra limitata esperienza personale.
- La mancata percezione del
confine tra il rischioso, ma misurabile, e l’incerto, del tutto imprevedibile.
Tutti questi temi sono già
stati analizzati altrove, mostrando come la teoria di Harry Markowitz si basi
su fondamenta del tutto contro-intuitive (Paolo Legrenzi, Sei esercizi facili per allenare la mente, Cortina, 2015, in
particolare il capitolo sesto).
Il fraintendimento
derivante dal pensare che le cose siano semplici e intuitive, una forma
insidiosa di superbia spesso inconsapevole, ci convince che possiamo farcela da
soli. Tale illusione ha caratterizzato anche il mondo dello sport.
Che cosa sembra la cosa più
semplice del mondo? Correre per un miglio: basta avere buone scarpette e
allenarsi molto. Non è così, se andate in cerca di un record. Roger Bannister
il 6 maggio del 1954 corse un miglio sul percorso dell’Iffley Road a Oxford.
Quando arrivò al traguardo il cronometrista annunciò: “Tre minuti e …”. Il
boato della folla coperse l’annuncio del tempo esatto, che era stato di 3
minuti e 59,4 secondi. Nessuno aveva mai corso il miglio in meno di 4 minuti!
Roger Bannister era uno studente di medicina a Oxford. Non aveva molto tempo
per allenarsi perché voleva eccellere nella ricerca (divenne un importante
neurologo dell’università e venne nominato Sir). Però non gli era bastata
l’idea che correre un miglio si riducesse a cercare di andare più svelto degli
altri.
Egli, da buon studioso
quale era, suddivise il miglio in molte porzioni e cronometrò il tempo di
ciascuna. Tutti sanno che per correre un miglio non ci si deve sfiancare
all’inizio per evitare di scoppiare alla fine. Bannister, tuttavia, non si accontentò
dell’ovvio. Divise la corsa in segmenti e andò a misurare i vari tempi di
ciascuna porzione e la correlazione tra questi. Se aveva corso molto nelle
sezioni A, B, C … che cosa succedeva nelle sezioni X, Y, Z… e viceversa?
Trasformò il miglio in una torta ideale, andando a vedere la correlazione tra i
tempi delle varie fette riuscendo a stabilire la torta migliore, quella più
efficiente: la torta della teoria del portafoglio era diventata la torta del
miglio!
La corsa divenne
indimenticabile anche perché la radio cronaca era stata fatta dal campione dei
100 metri delle Olimpiadi del 1924, Harold Abrahams, reso celeberrimo dal film
Orizzonti di gloria (originale: Chariots of Fire, 1981). Bannnister era un
grande dilettante e un vero professore: non tenne segreto il suo metodo che
venne ben presto adottato da tutti. Il record durò solo 54 giorni, ma tutti
ricordano il suo, e non i record successivi, perché, come lui dichiarò
modestamente: “4 è una cifra tonda!” (a Oxford c’è il “Cafe sub-4” sull’Iffley
Road).
E’ interessante ricordare
la coincidenza storica tale per cui la nozione di utilità soggettiva attesa -
il pilastro della teoria delle decisioni - venne pubblicata sempre nel 1954 da
Leonard Savage, ponendo i principi e i benchmark per i futuri esperimenti volti
a studiare come si comportano le persone in condizioni di rischio (che è poi la
premessa per il lavoro di Kahneman sulla differenza tra dolore delle perdite e
soddisfazione dei guadagni, di cui si è già parlato).
Il fraintendimento
derivante dal pensare che le cose siano semplici e intuitive, recentemente, in
occasione della campagna presidenziale USA, si è ripresentato in nuova forma.
Ricordate quante volte vi ho parlato dell’illusione monetaria, quel meccanismo
tale per cui i risparmiatori erano più contenti di un titolo governativo
decennale che rendeva il 18% a fonte di un 18% di inflazione rispetto a un
titolo odierno, che rende l’1% in assenza di inflazione? Ebbene, l’illusione
monetaria fa brutti scherzi anche in altri ambiti!
Nel dibattito presidenziale
USA, come dicevo, si sente spesso dire che i salari più bassi, quelli dei
lavori dipendenti non qualificati (coloro cioè che non supervisionano i lavori
altrui: Nonsupervisory Workers) non sono saliti in questo nuovo secolo a
differenza degli ultimi decenni del precedente. Ebbene, questa è
un’affermazione falsa se si guardano gli incrementi deflazionati. Siccome però
tutti osservano gli incrementi nominali, in parallelo a un’inflazione
bassissima, si ha questa impressione, e non, come mostra la figura, quella
corrispondente all’incremento reale che, dal 2000 al 2010, è stato il più alto
rispetto ai quattro decenni precedenti. In altre parole, effettivamente i
lavoratori hanno la percezione di salari che salgono meno che nei decenni
precedenti. Questo perché allora c’era forte inflazione e tutti tendono a
valutare il proprio benessere facendo riferimento ai prezzi nominali, quelli di
cui hanno esperienza tutti i giorni e, quindi, vengono memorizzati come metro di
misura.
La figura mostra l’incremento reale dei salari dei
dipendenti che non supervisionano i lavori altrui nell’ultimo mezzo secolo. Fonte:
Bloomberg modificata.
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