Carlo
Benetti, nella sua bellissima lezione del 16 maggio, ci ha parlato di Diafanos,
la parola greca che significa trasparente, parola composta dalla preposizione
“dia”, attraverso (in latino “trans”), e dal verbo “phaino” (“pareo” in
latino), con il duplice significato di far vedere e di esser visti, mostrare e
mostrarsi.
La trasparenza è un
fenomeno
interessante. Ricordo benissimo quando da bambino scopersi il
fenomeno. Mio padre era venuto a prendermi all’aeroporto di Milano (dove ero
arrivato da Pisa). Avevo viaggiato affidato alle cure di una hostess (allora mi
sembravano delle dee). Gli corsi incontro con la trepidazione di un bimbo che
ritrova un genitore dopo la prima volta che era stato affidato a una persona
sconosciuta. La mia attenzione era concentrata su mio padre che si avvicinava.
Andai a sbattere contro una vetrata tersa, perfettamente pulita e, quindi,
perfettamente trasparente (oggi a Linate questo sarebbe improbabile). Morale:
della perfetta trasparenza non ci si accorge, sembra aria. Quindi, per mostrare
la trasparenza, questa non deve essere perfetta.
In campo finanziario ci si
accorge della “parziale” trasparenza perché si accompagna a un “sovraccarico
informativo”. In effetti, l’esigenza sempre più avvertita di trasparenza porta
a “vetri sporchi”, fuor di metafora: alla formazione di regole e norme sempre
più numerose, sempre più dettagliate. “Un eccesso di informazioni equivale
quasi sempre a una carenza di informazioni” ha detto il presidente della Consob
Giuseppe Vegas nella relazione annuale presentata a metà maggio, come ci ha
ricordato Carlo Benetti. Qui non vale il celebre motto “less is more”, ma il
suo opposto “more is less”. Un numero soverchiante di regole e dettagliatissimi
prospetti non hanno impedito i frequenti tradimenti del risparmio. “La
trasparenza, da sola, non è sufficiente a tutelare l’investitore” - ha
continuato Vegas. “La trasparenza non si autogiustifica, ha bisogno di regole
di correttezza, di relazioni basate sulla fiducia”. Il presidente della Consob
ha fatto riferimento anche a costi e commissioni “non effettivamente correlati
al rendimento del fondo o che possono costituire un incentivo all’assunzione di
rischi eccessivi”. La situazione è dunque ambigua.
La stessa ambiguità la
troviamo in un quadro di Gaetano Kanizsa, il professore che mi volle più di
quarant’anni fa a dirigere l’Istituto di Psicologia di Trieste, la città
italiana con il lontano passato più glorioso per la psicologia (dove Weiss,
quasi un secolo fa, insegnava i rudimenti della nascente psicoanalisi ai medici
di famiglia e dove Svevo l’aveva praticata). Kanizsa era amico di Garau, di cui
Benetti ha presentato un bel quadro. Il quadro presentato da Benetti è
rappresentato a p. 187 del Catalogo Arte e Scienza della Biennale di Venezia
del 1986 insieme a questo di Kanizsa:
Il quadro è ambiguo. Che cosa vedete?
Ora questo quadro giace nel
mio studio a Venezia, omaggio di Kanizsa alla fine della Biennale. E’ un quadro
interessante perché solo il gioco dei grigi e dei cerchi interrotti lungo il
contorno di un fantomatico rettangolo, che in realtà non esiste, crea una
sovrapposizione di piani e due sfondi di chiarezza e grana diversa, pur
trattandosi di un’illusione. Lo stesso effetto Garau lo ottiene con gradazioni
di colore.
In questo quadro di Garau,
sempre presente in quel catalogo, la trasparenza si ottiene con la
sovrapposizione di colori miscelati in modo tale che uno si veda attraverso
l’altro.
In entrambi i quadri qui
presentati, la trasparenza è ottenuta in modi diversi, ma c’è una cosa che non
varia: perché la trasparenza si veda bisogna che non sia perfetta, come avevo
scoperto a mie spese da piccolo. Dietro le apparenze diverse della trasparenza
c’è un’invariante, cioè qualcosa che si ripete nei diversi casi: per accorgersi
della trasparenza, bisogna vedere che qualcosa si vede attraverso un’altra
cosa. La trasparenza perfetta non ci da alcuna informazione sul “diafanos”. Ora
le invarianze si traducono in regole e questa è la regola della trasparenza.
Quando conosciamo le regole, tutto diventa chiaro.
I tassi effettivi dal 1990 a oggi, confrontati con la
regola di Yellen e di Taylor. Fonte: Economist modificata.
Consideriamo i tassi. Quale
è la regola? Possiamo confrontare come sono posizionati lungo il tempo, dal
1990, con le previsioni ottenute applicando due regole: quella usata Yellen e
quella di Taylor (La Taylor rule = TR), una regola di politica monetaria
sviluppata da John Taylor (1993). Secondo la TR la banca centrale dovrebbe
modulare il tasso di interesse a breve - ad esempio, nel caso della Federal
Reserve americana, il tasso sui Federal Fund - in risposta agli scostamenti tra
il tasso di inflazione ed il tasso di inflazione obiettivo e tra output
corrente e quello potenziale.
In altre parole non è la
trasparenza in sé che ci permette di capire il mondo, ma le regole che usiamo
per produrre la trasparenza, sia nella percezione della trasparenza in campo
visivo, sia nell’andamento dei tassi prevedibile in base alle due regole. Una
volta colta l’invariante, e desunta una regola, si possono fare previsioni: per
esempio i tassi attuali sono in ritardo rispetto al tasso che dovrebbe esserci
secondo le due regole. Quindi è prevedibile che il tasso effettivo si allinei
progressivamente con quello teorico previsto dalle due regole, come è successo
in passato.
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