Nel report di fine maggio avevamo parlato di un raffreddamento dei timori
per un’eventuale uscita della Gran Bretagna dalla comunità europea ma, come al
solito, le previsioni mutano anche molto rapidamente, come in questo caso.
In questi giorni
la voglia di autonomia e indipendenza in Gran Bretagna è
salita e i mercati non potevano che prenderne rapidamente atto. Ne dà una
incontrovertibile evidenza il grafico delle ultime due settimane dei mercati che
teniamo sotto osservazione. Tutte le borse europee di deprezzano con
percentuali fra il 4,39% e il 5,86% con l’eccezione proprio di Londra, sotto
del 2,47%, ma lì evidentemente qualcuno
tifa per la soluzione dell’abbandono.
In queste ore si va surriscaldando la campagna a favore dell’uscita o per
il mantenimento dell’attuale alleanza continentale. Cameron non si è fatto
pregare per sottoporre agli elettori scenari foschi e cifre su cui riflettere;
il premier britannico ha valutato un “buco nero” tra i 20 e i 40 miliardi di sterline
per le finanze inglesi con un impatto nefando su pensioni, sussidi e contributi
alle famiglie povere. Uno stato sociale dal futuro più dimesso, dunque, e
pesanti conseguenze per la crescita economica.
Penso sia il caso di rammentare anche che la Gran Bretagna vanta, si fa
per dire, un debito pubblico attualmente superiore a quello italiano in grado
di produrre oneri passivi per oltre 60 miliardi di euro e un deficit primario.
Non sono certamente dei bei numeri ma il voto del 23 passerà più per la pancia
che per la testa e pertanto qualsiasi risultato, valutato ad oggi, ha
probabilità fifty-fifty.
Il 24 tutti coloro che si occupano di finanza saranno ai loro posti di
lavoro. Potrebbe essere l’occasione di tirare un profondo respiro di sollievo e
stappare qualche bottiglia di vino
frizzante ma potrebbe essere l’inizio di un incubo per i mercati, non solo
europei. Con le voglie pruriginose di autonomia e di populismo che impregnano i
componenti l’attuale coalizione europea ci potremmo stupire se il giorno dopo,
in caso di vittoria dell’uscita dall’Europa, in qualche altro stato si chiedesse
un analogo referendum? E se poi altri paesi membri si accodassero alle porte
delle uscite di emergenza? Probabilmente nel giro di qualche anno l’Europa che
conosciamo sarebbe profondamente diversa, come magari potremmo ritrovarci con
più Europe a velocità diversa, altro sogno cullato da qualcuno. Un bel dilemma
e dei bei nodi da sciogliere.
Comunque vada è forse ora che a Bruxelles qualcuno si decida a spostare
la barra del timone da un’Europa tutta finanza e multinazionali a un‘Europa
molto più attenta alle esigenze dei suoi
cittadini e al bisogno di ritrovare una crescita adeguata, ormai latitante da
anni. Il sogno è alla base di ogni grande progetto mentre dall’incubo si cerca
disperatamente il risveglio. Torniamo a sognare, per favore.
Nessun commento:
Posta un commento