Il primo quadrimestre dell’anno è alle nostre spalle e mi
sembra giunto il momento di fare una riflessione su quanto accaduto in questi
quattro mesi.
Se ci soffermassimo semplicemente su un semplice consuntivo
(andamento da inizio anno a fine aprile) vedremmo un mercato sostanzialmente
spaccato; da una parte
due borse in fuga solitaria, con rendimenti di periodo intorno al 25% (Brasile e Russia), dall’altra la maggior parte delle più importanti borse mondiali con rendimenti negativi racchiusi dal -17% di Shangai al -2% dell’India, con un indice Eurostoxx 50 a metà fra questi due estremi, con un ribasso dell’ 8%. Osservatori neutrali i mercati Usa (S&P 500) e Gran Bretagna.
due borse in fuga solitaria, con rendimenti di periodo intorno al 25% (Brasile e Russia), dall’altra la maggior parte delle più importanti borse mondiali con rendimenti negativi racchiusi dal -17% di Shangai al -2% dell’India, con un indice Eurostoxx 50 a metà fra questi due estremi, con un ribasso dell’ 8%. Osservatori neutrali i mercati Usa (S&P 500) e Gran Bretagna.
Questi risultati, che fotografano la situazione attuale,
sono la risultanza di due diversissime situazioni. Da inizio anno alla metà di
febbraio tutti i mercati sono velocemente e profondamente scesi raggiungendo
punte di caduta preoccupanti; Cina, Italia e Giappone con perdite superiori al
20%, Brasile, Usa, Gran Bretagna e Russia con perdite di poco sotto il 10% e
tutte le altre con cadute di valore comprese fra il -10 e -20%.
Nella prima parte di questo quadrimestre le preoccupazioni
degli investitori erano notevolmente cresciute e un diffuso nervosismo
serpeggiava tra gli operatori. Tra i principali motivi la caduta dei prezzi
degli idrocarburi che, oltre a mettere in difficoltà un consistente numero di
aziende caratterizzate dagli alti costi di estrazione, iniziavano a mettere in
grave crisi i loro creditori in primis e, in seconda istanza, i principali
esportatori che vedevano inaridirsi i
flussi finanziari derivanti dalle esportazioni.
Buona parte delle materie prime raggiungevano i livelli di
prezzo di quarant’anni or sono mettendo in crisi le economie dei paesi
emergenti, principali estrattori ed esportatori di esse. Sembrava vicino il
collasso di alcuni paesi emergenti il che avrebbe comportato un deciso
ridimensionamento delle quotazioni obbligazionarie ed azionarie di tutto il
mondo. La Cina, il motore di questi anni, con grande evidenza iniziava a
perdeva colpi facendo correre brividi di freddo giù per la schiena agli
operatori di tutte le piazze finanziarie.
Poi, da metà febbraio, il trend si è invertito, con tutti i
mercati azionari in recupero. Si è trattato di un recupero solo marginale per
la Svizzera e contenuto per la borsa di Shangai. Tutte le altre hanno spiccato
il volo, con la Russia a tirare la volata (+38%) e la Gran Bretagna a chiudere
con un rimbalzo “solo” del 9,36%.
Che cosa era accaduto? Le materie prime avevano iniziato a
recuperare dai minimi, la Cina dava segni di tenuta e stabilizzazione portando
il tasso di crescita tendenziale al di sopra del 6% (nessuno però può realmente
stabilire quale sia la reale percentuale data l’opacità dei conti di quel
paese). Draghi dava fondo a tutte le risorse di cui un Governatore europeo può
ragionevolmente disporre e la Fed faceva una veloce ed elegante piroetta rimangiandosi,
rimandando a tempi più opportuni, l’intenzione di procedere speditamente sulla
strada del rialzo dei tassi.
In questi giorni, infine, l’Italia ha dato un buon segnale
di supporto al settore bancario con la creazione del fondo Atlante.
Tutto tranquillo, dunque? Forse no.
Il petrolio difficilmente potrà recuperare i livelli degli
anni scorsi e comunque nessuno è disposto a scommettere su un ritorno sopra i
100 $/barile almeno per qualche anno, la Cina non ha preso la strada della
crescita dei consumi interni in modo sufficientemente deciso e la minaccia di
una bolla aleggia ancora su di essa. Un dollaro più debole del previsto
(volutamente?) favorisce la stabilità dei paesi emergenti, notoriamente
indebitati in quella valuta che così
trovano un parziale compenso ai minori introiti delle loro esportazioni.
Comunque sia, passata l’iniziale paura, la tensione si è attenuata e,
dato che ai mercati interessa maggiormente la stabilità rispetto alla reale
situazione dell’economia, la domanda ha iniziato a prevalere sull’offerta ed
ecco tornare l’appetito per il rischio; del resto, con i rendimenti attuali del
reddito fisso, non ci sono alternative. L’importante è non restare con il
cerino in mano e non scottarsi le dita.
Purtroppo questa calma apparente non allontana i problemi irrisolti.
Problemi come quelli di Brexit e Grexit sono sempre sul tappeto, la stagione
dei dividendi in arrivo sembra meno generosa delle attese (soprattutto se messa
in relazione con le attuali quotazioni azionarie) e la crescita permane
fragilissima.
In buona sostanza continuiamo a pensare che gli attuali livelli di bond e
azioni non siano tali da indurre a investire serenamente, per cui l’invito a
mantenere alta la guardia resta ancora valido. E’ veramente difficile allo
stato delle cose capire quale possa essere la migliore strategia, se
approfittare di questo rimbalzo per alleggerire le passate sovraesposizioni al
rischio o piuttosto accodarsi al sentiment dominante ed entrare sul mercato
(con la dovuta cautela) per lucrare su qualche prezioso punticino aggiuntivo
che, in tempi di magra, è pur sempre un successo.
In una tale indecisione, con le più disparate ipotesi che si affollano
nella mia mente e che meritano giustamente delle riflessioni accurate, il mio
pensiero corre alla più classica delle scorciatoie mentali e più precisamente a
uno dei più famosi detti di Wall Street: “Sell in may and go away”. E se fosse
vero anche stavolta?
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