Per
la finanza comportamentale e, più in generale, per la psicologia applicata alle
decisioni economiche, il 15 settembre 2015 è una data storica. In quel giorno
il presidente Obama ha emanato un ordine esecutivo a tutte le amministrazioni
federali statunitensi.
Il
titolo dell’ordine è: Using
Behavioral Science Insights to better serve the American People (e
cioè, “Usare le scoperte delle scienze comportamentali per servire meglio il
popolo americano”).
L’attacco del documento è
il seguente:
Un insieme sempre crescente di dati
sperimentali mostra che le scoperte che vanno dall’economia comportamentale
alla psicologia della decisione possono venire utilizzate per le politiche del
governo allo scopo di servire meglio il popolo americano. Quando le politiche
(policies) federali sono state progettate in modo da tener conto di queste
scoperte, esse hanno migliorato la situazione di individui, famiglie, comunità
e organizzazioni.
Il documento prosegue
offrendo esempi relativi ai piani pensionistici, alla gestione dei risparmi,
alla salute, e alle politiche ambientali.
In particolare:
“le amministrazioni sono incoraggiate a:
- identificare le scelte politiche alle quali si possono applicare le scienze comportamentali;
- arruolare esperti che possano studiare e implementare queste politiche;
- controllare e migliorare sul campo gli effetti di tali politiche.”
Mai un governo così
importante aveva dato rilievo a un settore della psicologia applicata, un campo
di studi che finora aveva avuto solo il crisma accademico del premio Nobel
dell’economia conferito allo psicologo Daniel Kahneman nel 2002. Se è vero
che la quota del potere economico globale degli Stati Uniti è in calo
progressivo fin dal 1950, come mostra la figura, non è peraltro vero che sia in
calo il suo peso nella finanza, negli studi applicati alla finanza, e in
particolare, negli studi e nell’applicazione della finanza comportamentale.
La figura mostra il peso
economico delle varie potenze dal 1870 e le previsioni da oggi al 2030. E’
evidente il calo degli USA dal 1950 e la crescita della Cina in questo secolo. Fonte:
Economist modificata
Ne consegue che questa
decisione di Obama, seguita a un lungo periodo di incubazione, di studi e di
prove, sancisce definitivamente la correzione di quel modello di persona
razionale, capace di valutare da sola i suoi interessi individuali, modello che
risale a Adam Smith, come abbiamo visto nelle lezioni precedenti. Questo
intervento del Presidente degli Stati Uniti credo non vada inteso come una
sconfessione degli assunti dell’economia neoclassica (individualismo,
massimizzazione e equilibrio), bensì come una correzione volta a
applicare meglio tali principi.
Certo è che il settore
della finanza comportamentale e della gestione del risparmio è quello che ha
avuto più successi nel mostrare la necessità di un aiuto correttivo delle
nostre intuizioni e delle tendenze naturali della mente umana. Tipico è il caso
della diversificazione.
La diversificazione intesa “à
la Markowitz” è, tra le molte strategie che devono venir usate nella gestione
di un portafoglio, la strategia razionale meno comprensibile, nel senso che va
contro le nostre intuizioni e la saggezza del senso comune. E’ facile capire
come funziona la diversificazione “ingenua”, intesa nell’accezione spicciola e
intuitiva di mettere le uova in più panieri. Quella che è contro-intuitiva è la
diversificazione alla Markowitz, nel senso che per abbassare il rischio di
portafoglio dobbiamo avere molteplici investimenti il cui andamento è poco
correlato. Questo ci costringe a frazionare i nostri risparmi destinandoli
anche a paesi, valute e strumenti poco noti ai più. E’ la necessità di tale
operazione che rende molto difficile il “fai da te” e rende profittevole il
rivolgersi a un consulente indipendente, qualora quest’ultimo sia preparato e
professionalmente corretto.
Inoltre va tenuto presente
che sui mercati è in atto una progressiva convergenza dei rendimenti delle
diverse asset classi utilizzabili per distribuire gli investimenti e gestire un
patrimonio (cfr. figura).
La figura, già commentata
nella lezione 146, mostra il progressivo ridursi della differenza tra asset
class, e cioè tra quella che ogni anno ha reso di più e quella che ha reso di
meno. Fonte: Bloomberg modificata
Ho ripreso una figura già
commentata in precedenza perché questa tendenza – come argomenta bene Gillian
Tett sul Financial Times di venerdì 9 ottobre (Asset prices march to one
unnerving beat) – rende molto inefficiente il “fai da te” e va
spiegata. Secondo Gillian Tett la tendenza si spiega con il peso crescente dei
seguenti fattori alla luce dei seguenti dati:
- dal 1997 al 2007 il livello di correlazione tra le principali forme di investimento era di circa il 45%. Questo permetteva, per esempio agli hedge fund, di cercare di battere gli indici generali passando da un asset class a un’altra ritenuta più profittevole;
- durante la crisi del 2008-2009 la correlazione è salita all’80% e da allora è rimasta molto alta;
- questo innalzamento si spiega con la marea di liquidità che ha inondato i mercati, la globalizzazione che integra le economie a livello mondiale e l’uso massiccio dei derivati.
È difficile dire quale di
questi fattori sia più rilevante perché tutti agiscono nella stessa direzione e
hanno cominciato ad agire all’incirca nello stesso periodo. Ai nostri fini va
osservato che questa tendenza rende sempre più difficile il “fai da te” perché
è arduo fare “in casa” quello che una volta cercavano di fare, tra gli altri,
gli hedge fund.
Ancora una volta l’esito è
che molte persone, lasciate sole, hanno portafogli sbilanciati (o, addirittura,
comprano a prezzi alti e vendono a prezzi bassi). Se questa correlazione così
alta resterà, si avrà bisogno di un consulente per tenere i nervi saldi,
delegando a lui questa responsabilità, perché le varie asset class, muovendosi
insieme, faranno sì che il portafoglio nel suo complesso risentirà di queste
“onde globali”, come è successo proprio durante questa estate un po’
burrascosa.
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