All’inizio dell’agosto 2015
si è avuta notizia di un sorpasso storico. Possiamo raffigurarlo con la
vignetta pubblicata dal settimanale Economist che mostra un’utilitaria modesta
superare una vettura sportiva, fiammante e rutilante (p. 57).
La vettura apparentemente veloce sta per la categoria
degli hedge funds mentre la vettura familiare sullo sfondo allude alla
categoria dei fondi ETF (Exchange Traded Funds), che si limitano a replicare
gli indici (Fonte: Economist, 1 agosto 2015, p. 57).
La macchina piccola e modesta, di uso familiare,
rappresenta “la corsa dell’umile”, e cioè di chi ha scelto i non pretenziosi e
modesti ETF (Exchange Traded Funds). Essi non aspirano a battere il mercato, e,
modestamente, si limitano a replicare gli indici di riferimento. Nella figura
sono messi a confronto con la sportiva e solo apparentemente veloce vettura che
sta per gli hedge funds. Come mai l’auto che ha operato il sorpasso è
familiare, priva di superbia (per la superbia rimando all’ultima lezione di agosto,
la 140), da “buon padre di famiglia”, rispetto alla vettura sportiva e
pretenziosa che simbolizza gli hedge funds? Il seguente grafico illustra come,
a livello mondiale, gli ETF abbiano raggiunto i fondi hedge, raccogliendo tre
trilioni di dollari di asset. Per dare un’idea della dimensione dei 3 + 3
trilioni di dollari della figura, si pensi che a livello mondiale gli
investimenti dei fondi pensione ammontano in totale a 36 trilioni (Economist, “Pension
schemes should avoid an expensive form a fund management”, 1 agosto
2015, p. 8).
Il titolo di questi due grafici allude ironicamente al
prototipo del gestore di hedge, il protagonista del romanzo/film “Il
falò delle vanità”, detto ironicamente “master of the universe”.
La figura mostra la quantità di asset affidata a hedge e a ETF, con il sorpasso
avvenuto questa estate da parte degli ETF. Il grafico a destra mostra il
rendimento medio dei 2.200 più importanti hedge funds, con media rolling a 5 anni
a partire dal 1995. (Fonte: Economist, 1 agosto 2015, p. 57).
La figura delle due vetture allude anche al fatto che
gli ETF sembrano più adatti al mass-market, dato che si limitano a replicare
gli indici dei mercati di riferimento a costi molto bassi (per esempio, il
Vanguard S&P 500, l’ETF più diffuso negli USA, replica l’indice della borsa
americana S&P500 a un costo di un ventesimo di un punto percentuale, mentre
il costo del DB X-Trackers Eurostoxx 50, che replica i 50 principali titoli
delle borse europee, ha delle commissioni totali annue dello 0,09%).
Come osserva l’Economist: “Gli hedge funds hanno molti più gradi di libertà e usano strategie più raffinate, come le vendite allo scoperto (scommessa sulla discesa di valore dei titoli) … e così gli hedge funds hanno sempre promesso di offrire buoni rendimenti indipendentemente dalle salite o dalle discese dei mercati … in cambio di queste strategie più sofisticate, gli hedge chiedono commissioni molto più alte: in media hanno un costo di poco inferiore al 2%, oltre alle commissioni di performance … i loro proprietari sono così diventati molto ricchi, promettendo di battere gli indici, a differenza dei più modesti e meno pretenziosi ETF”.
Come osserva l’Economist: “Gli hedge funds hanno molti più gradi di libertà e usano strategie più raffinate, come le vendite allo scoperto (scommessa sulla discesa di valore dei titoli) … e così gli hedge funds hanno sempre promesso di offrire buoni rendimenti indipendentemente dalle salite o dalle discese dei mercati … in cambio di queste strategie più sofisticate, gli hedge chiedono commissioni molto più alte: in media hanno un costo di poco inferiore al 2%, oltre alle commissioni di performance … i loro proprietari sono così diventati molto ricchi, promettendo di battere gli indici, a differenza dei più modesti e meno pretenziosi ETF”.
Secondo l’Economist (p. 8), i fondi pensione tendono a
non ricorrere più agli hedge, a cui avevano fatto ricorso massicciamente nella
speranza di avere rendimenti del livello del 5/8%, livelli promessi un tempo
agli attuali pensionati di oggi.
Ora, dal un punto di vista delle intuizioni ingenue di
un inesperto, va osservato che:
Ø il senso comune si aspetta che un esperto sappia
scegliere le società giuste, secondo la teoria della gestione attiva, teoria
che ha una lunga storia, e che è stata ricostruita molto bene da Carlo Benetti
nel suo Alpha e Beta del 3 agosto 2015;
Ø l’idea di una diversificazione massima, realizzabile comprando
tutto un mercato, e cioè il suo indice di riferimento, non è un’idea ovvia
perché suona un po’ come un’ammissione di ignoranza, se non d’inesperienza;
Ø solo poco più di mezzo secolo fa, si è capito bene,
grazie a Markowitz, che non sono i singoli titoli a determinare la qualità
complessiva di un portafoglio quanto la covarianza dei loro prezzi (per una
ricostruzione brillante di questa storia rimando sempre alla lezione di Carlo
Benetti del 3 agosto); in altre parole,
la misura con cui i prezzi si muovono gli uni in relazione agli altri;
Ø se, ne “La Regola dell’Uomo Prudente”, ogni
singolo titolo doveva rispondere al principio di prudenza, nell’apparato
concettuale della Moderna Teoria, un portafoglio diversificato e decorrelato
(cioè a covarianza minimizzata) composto da azioni “speculative” potrebbe
risultare meno rischioso di un portafoglio apparentemente “prudente” (rimando
sempre alla chiare lezione di Carlo Benetti del 3 agosto).
E tuttavia, come sono andate in realtà le cose nella
lunga rincorsa, terminata nell’agosto 2015, degli ETF agli hedge? Il grafico di
destra mostra che i rendimenti degli hedge erano molto alti quando i mercati
andavano bene. Poi, dal 2005, quando i mercati hanno cominciato a ballare, non
sono più stati a due cifre. Contrariamente alle promesse circa la capacità di
riuscire a ottenere rendimenti positivi anche con mercati in perdita, nel
periodo dal 2000 a oggi abbiamo avuto ben tre anni con rendimenti negativi
degli hedge (nella figura non si vede perché la media è quella di una finestra
mobile con un’ampiezza di 5 anni).
La recente difficoltà degli hedge deriva
paradossalmente proprio dal successo. La loro formula cerca di sfruttare
opportunità presenti in nicchie di mercato che i fondi tradizionali non
riescono a cogliere. E tuttavia, come osserva l’Economist, quando un mercato
raggiunge una dimensione di tre trilioni, restano poche opportunità inesplorate
da sfruttare. Inoltre, quanti più sono i gradi di libertà, tanto è più
probabile compiere errori nel timing (cfr. Economist, p. 8).
La nostra analisi potrebbe a prima vista portarci a
concludere la fine della consulenza, almeno per come è stata tradizionalmente
intesa (ma non da tutti). E invece, a mio avviso, questo è proprio l’inizio di
una vera “ nuova consulenza” se questa, come vedremo nelle prossime lezioni,
non sarà rivolta soltanto alla gestione del portafoglio, indipendentemente dal
benessere complessivo del proprietario. Sarà invece dedicata a una cura
“sartoriale”, alla sicurezza patrimoniale e al futuro benessere del cliente
inteso come persona, e non solo come detentore di risparmi. Un cliente cioè che
va capito e seguito nella totalità della sua storia e delle sue aspirazioni.
Come
vedremo meglio più avanti, nella finanza comportamentale del futuro non ci sarà
più il classico triangolo formato da “risparmi + cliente + consulente”, ma un
rapporto di cura e protezione del consulente nei confronti del cliente, dei
suoi cari e del suo futuro. Il successo crescente degli ETF, utilizzati come
componente dei portafogli, è una garanzia di apertura verso nuovi orizzonti per
la consulenza. Non un pericolo, bensì un’opportunità. In un paese che ha
affidato nel complesso due terzi dei propri risparmi agli immobili, non c’è
bisogno semplicemente di buoni gestori di portafogli, bensì di consulenti
dedicati al benessere globale del cliente e alla sua sicurezza futura.
Nessun commento:
Posta un commento