Abbiamo
assistito in questi ultimi mesi a un’importante correzione dei mercati, forse
più ampia di quanto ci si potesse attendere dato l’incremento sensibile della
volatilità. Affermare che non fosse attesa è affermare il falso, tanto che da
molte parti questa era addirittura auspicata al fine di ridurre il gap tra
economia reale (asfittica) e quotazioni dei mercati finanziari (esuberanti),
situazione che affonda le proprie radici nel tentativo di ridare fiato alla
smarrita crescita attraverso politiche prevalentemente monetarie guidate dalle
banche centrali inondando di liquidità il sistema, liquidità penetrata
marginalmente nel sistema produttivo ma ampiamente nei gangli finanziari. Una
distorsione che, come tale, è destinata a rientrare nella normalità, prima o
poi.
Più volte ho
espresso questo concetto in molti dei miei articoli che intendevano mettere in
guardia gli investitori da un prevedibile ritorno alla realtà, tanto più brusco
quanto più fossero poco edotti della situazione; i bassi rendimenti del
comparto obbligazionario hanno infatti stimolato in questi anni i risparmiatori
a colmare questo gap attraverso crescenti e inconsapevoli assunzioni di rischio.
Un primo
segnale di questa inconsapevolezza ci è stato servito su un piatto d’argento da
una recente indagine di Schroders che ha quantificato in termini percentuali il
ritorno atteso dai risparmiatori italiani dei loro investimenti: il 9% medio
annuo, da ricavare mediante investimenti obbligazionari ed azionari ripartiti
fra Europa (45%), Asia (41%) e Nordamerica (32%). Il lettore sappia che negli
ultimi vent’anni i mercati mondiali obbligazionari ed azionari hanno reso agli
investitori rispettivamente il 5,7 ed il 5,4%. Come si può ben dedurre il
livello informativo degli investitori è alquanto modesto e la loro percezione
della realtà è alquanto distorta.
Il campione
esaminato ha inoltre dichiarato di avvalersi, in questo compito, di
un’assistenza qualificata (o presunta tale) solo nel 30% dei casi.
La scossa
estiva ha dunque colpito una platea di investitori ottimisti e poco preparati.
Qual è stata dunque la loro reazione di fronte a tutto ciò?
Nel mio
piccolo ho fatto un’indagine fra colleghi della mia e di altre società per avere
un quadro della situazione che, ovviamente, contempla unicamente quel 30% che
ha un dialogo operativo con un professionista (dell’altro 70% non mi interesso,
essi sanno perfettamente cosa fare e come gestirlo o almeno ne sono convinti).
Ne è emerso che, nonostante un costante impegno informativo, un’attenta
valutazione della situazione finanziaria dei clienti e dei loro obiettivi di
investimento, in presenza di asset di investimento diversificati, coerenti e
sovente sotto-pesati di rischio gli investitori hanno espresso più o meno
velatamente preoccupazione, insofferenza e delusione: in buona sostanza la risposta
dei risparmiatori italiani ha avuto per l’ennesima volta una connotazione
emotiva e poco razionale.
L’emotività dunque è come
l’olio, viene sempre a galla.
Il rilievo che
è emerso più spesso - in questo giro esplorativo - è stato quello di aver contestato
al proprio consulente un differenziale più o meno elevato (negativo) tra un dato
valore patrimoniale pregresso e l’attuale ammontare del proprio patrimonio. Un
esempio per capire. Supponiamo che un cliente avesse conferito tre anni fa un
patrimonio da gestire di 1 Milione di Euro, che il suo orizzonte temporale di
investimento fosse di 10 anni e che avesse ben compreso la differenza tra
perdite reali in conto capitale e le normali oscillazioni dei suoi asset. Supponiamo
ancora che questo capitale, alla data del primo gennaio di quest’anno fosse
stato di 1,2 Milioni e ad aprile, in occasione di un incontro con il proprio
consulente, la misura del valore del suo patrimonio - a quel momento - fosse
stata di 1,25 Milioni. Cliente ovviamente a quella data soddisfatto del
percorso e del risultato, consapevole del fatto che il suo interlocutore avesse
per l’ennesima volta spiegato che quell’ammontare fosse sottoposto a una certa
volatilità e dunque, lungi dall’essere consolidato, che potesse subire nei mesi
a venire una riduzione di quella cifra.
Tutto questo
avvenuto in un contesto di tranquillità e soddisfazione e, nonostante a parole
il cliente affermasse di aver ben compreso le spiegazioni e i possibili
accadimenti futuri, l’unica cosa che rimase ben impressa nella sua mente (alla
prova dei fatti) fu il traguardo raggiunto: il mio capitale (nel suo pensiero)
è di 1,25 Milioni e crescerà ancora.
Poi arrivano
le ben note turbolenze e il controvalore del patrimonio si ridimensiona a 1,15
Milioni. Il cliente ha dunque in tre anni una crescita patrimoniale di 150mila
Euro (ca. il 5% annuo a fronte di un rendimento attuale del Btp decennale -
corrispondente al suo orizzonte temporale - dell’1,8% ca. annuo) ma a suo modo
di vedere sta perdendo 75mila Euro da aprile e 50mila Euro da inizio anno. Razionalmente
si tratta di una correzione di ca. 4 punti percentuali da inizio anno e di poco
più del 6% dai massimi storici che non intacca minimamente i buoni risultati
sino ad ora ottenuti ma per il cliente si tratta di una vera e propria tragedia.
L’emotività ha preso il sopravvento e sta rodendo il fegato del nostro
investitore.
Poco importa
che il suo portafoglio continui a rispondere alle sue esigenze, che sia
coerente con il suo orizzonte temporale di investimento, che i prodotti
sottostanti siano di buona qualità, che sia stata perseguita una politica di
costi contenuti, che il portafoglio sia ben diversificato, che la sua
volatilità sia ben al di sotto di quella storica (più elevata), che siano state
previste riserve di liquidità tali da poter fronteggiare anche queste
evenienze, che siano stati magari consolidati nei mesi precedenti gli extra-rendimenti
ottenuti in mercati occasionalmente performanti sopra le medie storiche, che
siano state ridotte le esposizioni a mercati sui quali emergevano dei potenziali
rischi aggiuntivi.
La mente del
cliente (uso una metafora che ho spesso usato ironicamente con la mia clientela)
va alla Mercedes nuova o al Rolex d’oro massiccio che si poteva comprare con
quei soldi, beni che non erano, non sono e non saranno mai acquistati con quel
denaro destinato a tutt’altre cose, normalmente ben più importanti per il
cliente stesso. E’ un brutto ma normale scherzo della mente umana che ha
conseguenze sul rapporto con i suoi progetti e con la relazione fra lui e il
suo consulente.
Come si dice
nel tennis, tenere lo sguardo ben fisso sulla palla. Se gli obiettivi di
investimento sono importanti, possiamo concederci il lusso di farci travolgere
dagli eventi, normalmente temporanei, e deviare dal percorso che abbiamo
progettato e condiviso perdendoci in soluzioni alternative che li allontanano?
Sarebbe come se durante la partita di tennis ci si perdesse per guardare il
pubblico invece che capire dove sta per cadere la pallina da rimandare nel
campo avversario. Le strategie sono tali perché guardano avanti e il nostro
professionista, proprio perché tale, le ha ben strutturate proprio per noi.
Sotto il profilo tattico magari si devia temporaneamente ed apparentemente da
quel percorso ben sapendo cosa si sta facendo.
Che cosa fa il
risparmiatore quando subentra l’emotività e come può danneggiarsi?
Il profilo di
rischio del risparmiatore è purtroppo elastico, aumenta quando le soddisfazioni
derivanti dai suoi investimenti sono elevate (performance positive) e
diminuisce quando registra una qualsivoglia riduzione del suo patrimonio
(performance negative). Quello che non riesce, purtroppo, a focalizzare è che i
suoi obiettivi rimangono gli stessi e che le performance si alternano poiché è
nella stessa natura dei mercati. Quando dunque cala il valore dei suoi asset di
investimento il suo profilo di rischio si riduce improvvisamente come se avesse
già raggiunto i suoi obiettivi e dovesse liquidare l’indomani i suoi averi per
acquistare l’agognata casa o mandare a Harvard il proprio figlio, che però
resta un ragazzino di quattordici anni e deve ancora farsi tutto il liceo.
Nei fatti, il
risparmiatore cerca di cambiare in corsa le regole del gioco mentre la partita
è in pieno svolgimento, danneggiando i propri interessi ma indicendo anche il
suo consulente a commettere degli errori (dando per scontato ovviamente che di
vero consulente si tratti). Se il consulente cade in questa trappola accetterà
di seguire il cliente, in balìa delle voci e dei capricci del mercato, e di
fatto rinuncerà al proprio ruolo di esperto e - di conseguenza - di guida.
Perso il ruolo di guida, entrambi in balìa dei TG, finiscono nel cestino anche
i progetti e le performance attese, indispensabili per l’ottenimento degli
obiettivi perseguiti.
Il vero
consulente, in simili frangenti, deve resistere a questa tentazione. Lui ha ben
chiara la situazione, le strategie, è
competente e dovrà indurre il cliente ad attenersi al programma previsto (e
condiviso) aiutandolo a superare il momento delicato, e lo è sempre.
Inutile è
anche nascondersi e spiegare a posteriori che cosa è accaduto, sarebbe come
giustificarsi ai suoi occhi e se lui sta perdendo, si perderà insieme a lui.
La forza di
resistere la si trova unicamente nella prevenzione. Se il consulente ha
suggerito la dovuta prudenza in tempi non sospetti, se ha avuto cura di essere
costantemente informato e preparato avrà avuto l’opportunità di comprendere per
tempo che gli scenari stavano mutando, se avrà avuto cura di proporre ai propri
clienti adeguate alternative sotto il profilo tattico non dovrà attendere i
crolli improvvisi ma avrà già apportato aggiustamenti ragionevoli ai
portafogli. Tutto questo non è stravolgere le strategie ma combinare
adeguatamente esperienza e tecnica, ragionare in termini non solo strategici ma
anche tattici; significa essere attivi ed essere in grado di proporre soluzioni
alternative.
In questo modo
il cliente avrà la certezza di essere in buone mani, di potersi fidare e di
avere costantemente al suo fianco una persona in grado di condurre in porto i
suoi progetti di vita.
Non sto
disquisendo astrattamente del rapporto cliente-consulente sapendo perfettamente
che sino a qualche anno fa tutto ciò era molto meno complicato di ora. Una
buona conoscenza dell’economia e della finanza erano ottimi strumenti per
gestire la componente tecnica del rapporto e la parte relazionale poteva essere
curata con maggiore semplicità. I mercati si comportavano in modo più
prevedibile e le cadute erano molto più contenute e più facilmente gestibili.
Ma ora il
mondo è in grande evoluzione, i banchieri centrali condizionano la finanza e
non ti dicono certo cosa faranno, la crisi ha colpito duro e nessuno ha idea di
come e quando veramente uscirne, il lavoro si è spostato dalle aree sviluppate
verso aree in passato emarginate, la classe media si è impoverita e la
ricchezza è andata costantemente concentrandosi, gli scambi finanziari sono
sempre più virtuali che reali e sono sempre più gestiti da computer, nuove
tecnologie stanno rivoluzionando le nostre abitudini e vecchie certezze sono
state spazzate via o stanno per esserlo. Le variabili in gioco, da poche e
controllabili, sono aumentate a dismisura.
Pensare di
prevedere il futuro è pura follia e solo strategia, disciplina e accurate
tecniche possono dare una contenuta ancorché razionale affidabilità. Metterle
in discussione ad ogni stormir di foglia è l’esatto contrario di quanto si deve
fare per tutelare gli interessi propri e quelli dei propri cari. L’emotività
releghiamola in un angolo. Il tempo e le opportunità perse in questo modo
utilizziamole per trovare un consulente affidabile. E’ molto, ma molto più
produttivo.
Un
ringraziamento va a Piermario Piccardo che con un suo scritto ha in qualche
modo ispirato questo mio articolo che, mi auguro, possa determinare una
maggiore presa di coscienza da parte di quei risparmiatori che avranno avuto la
pazienza e la costanza di averlo letto sino alla fine. Nel nostro paese la
cultura finanziaria è molto bassa; seguire qualche buon consiglio contribuirà
indubbiamente ad elevarla, nell’interesse di tutti.
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