domenica 13 settembre 2015

L’EMOTIVITA’ E’ COME L’OLIO, VIENE SEMPRE A GALLA



Abbiamo assistito in questi ultimi mesi a un’importante correzione dei mercati, forse più ampia di quanto ci si potesse attendere dato l’incremento sensibile della volatilità. Affermare che non fosse attesa è affermare il falso, tanto che da molte parti questa era addirittura auspicata al fine di ridurre il gap tra economia reale (asfittica) e quotazioni dei mercati finanziari (esuberanti), situazione che affonda le proprie radici nel tentativo di ridare fiato alla smarrita crescita attraverso politiche prevalentemente monetarie guidate dalle banche centrali inondando di liquidità il sistema, liquidità penetrata marginalmente nel sistema produttivo ma ampiamente nei gangli finanziari. Una distorsione che, come tale, è destinata a rientrare nella normalità, prima o poi.


Più volte ho espresso questo concetto in molti dei miei articoli che intendevano mettere in guardia gli investitori da un prevedibile ritorno alla realtà, tanto più brusco quanto più fossero poco edotti della situazione; i bassi rendimenti del comparto obbligazionario hanno infatti stimolato in questi anni i risparmiatori a colmare questo gap attraverso crescenti e inconsapevoli assunzioni di rischio.

Un primo segnale di questa inconsapevolezza ci è stato servito su un piatto d’argento da una recente indagine di Schroders che ha quantificato in termini percentuali il ritorno atteso dai risparmiatori italiani dei loro investimenti: il 9% medio annuo, da ricavare mediante investimenti obbligazionari ed azionari ripartiti fra Europa (45%), Asia (41%) e Nordamerica (32%). Il lettore sappia che negli ultimi vent’anni i mercati mondiali obbligazionari ed azionari hanno reso agli investitori rispettivamente il 5,7 ed il 5,4%. Come si può ben dedurre il livello informativo degli investitori è alquanto modesto e la loro percezione della realtà è alquanto distorta.

Il campione esaminato ha inoltre dichiarato di avvalersi, in questo compito, di un’assistenza qualificata (o presunta tale) solo nel 30% dei casi.

La scossa estiva ha dunque colpito una platea di investitori ottimisti e poco preparati. Qual è stata dunque la loro reazione di fronte a tutto ciò?

Nel mio piccolo ho fatto un’indagine fra colleghi della mia e di altre società per avere un quadro della situazione che, ovviamente, contempla unicamente quel 30% che ha un dialogo operativo con un professionista (dell’altro 70% non mi interesso, essi sanno perfettamente cosa fare e come gestirlo o almeno ne sono convinti). Ne è emerso che, nonostante un costante impegno informativo, un’attenta valutazione della situazione finanziaria dei clienti e dei loro obiettivi di investimento, in presenza di asset di investimento diversificati, coerenti e sovente sotto-pesati di rischio gli investitori hanno espresso più o meno velatamente preoccupazione, insofferenza e delusione: in buona sostanza la risposta dei risparmiatori italiani ha avuto per l’ennesima volta una connotazione emotiva e poco razionale.

L’emotività dunque è come l’olio, viene sempre a galla.

Il rilievo che è emerso più spesso - in questo giro esplorativo - è stato quello di aver contestato al proprio consulente un differenziale più o meno elevato (negativo) tra un dato valore patrimoniale pregresso e l’attuale ammontare del proprio patrimonio. Un esempio per capire. Supponiamo che un cliente avesse conferito tre anni fa un patrimonio da gestire di 1 Milione di Euro, che il suo orizzonte temporale di investimento fosse di 10 anni e che avesse ben compreso la differenza tra perdite reali in conto capitale e le normali oscillazioni dei suoi asset. Supponiamo ancora che questo capitale, alla data del primo gennaio di quest’anno fosse stato di 1,2 Milioni e ad aprile, in occasione di un incontro con il proprio consulente, la misura del valore del suo patrimonio - a quel momento - fosse stata di 1,25 Milioni. Cliente ovviamente a quella data soddisfatto del percorso e del risultato, consapevole del fatto che il suo interlocutore avesse per l’ennesima volta spiegato che quell’ammontare fosse sottoposto a una certa volatilità e dunque, lungi dall’essere consolidato, che potesse subire nei mesi a venire una riduzione di quella cifra.

Tutto questo avvenuto in un contesto di tranquillità e soddisfazione e, nonostante a parole il cliente affermasse di aver ben compreso le spiegazioni e i possibili accadimenti futuri, l’unica cosa che rimase ben impressa nella sua mente (alla prova dei fatti) fu il traguardo raggiunto: il mio capitale (nel suo pensiero) è di 1,25 Milioni e crescerà ancora.

Poi arrivano le ben note turbolenze e il controvalore del patrimonio si ridimensiona a 1,15 Milioni. Il cliente ha dunque in tre anni una crescita patrimoniale di 150mila Euro (ca. il 5% annuo a fronte di un rendimento attuale del Btp decennale - corrispondente al suo orizzonte temporale - dell’1,8% ca. annuo) ma a suo modo di vedere sta perdendo 75mila Euro da aprile e 50mila Euro da inizio anno. Razionalmente si tratta di una correzione di ca. 4 punti percentuali da inizio anno e di poco più del 6% dai massimi storici che non intacca minimamente i buoni risultati sino ad ora ottenuti ma per il cliente si tratta di una vera e propria tragedia. L’emotività ha preso il sopravvento e sta rodendo il fegato del nostro investitore.

Poco importa che il suo portafoglio continui a rispondere alle sue esigenze, che sia coerente con il suo orizzonte temporale di investimento, che i prodotti sottostanti siano di buona qualità, che sia stata perseguita una politica di costi contenuti, che il portafoglio sia ben diversificato, che la sua volatilità sia ben al di sotto di quella storica (più elevata), che siano state previste riserve di liquidità tali da poter fronteggiare anche queste evenienze, che siano stati magari consolidati nei mesi precedenti gli extra-rendimenti ottenuti in mercati occasionalmente performanti sopra le medie storiche, che siano state ridotte le esposizioni a mercati sui quali emergevano dei potenziali rischi aggiuntivi.

La mente del cliente (uso una metafora che ho spesso usato ironicamente con la mia clientela) va alla Mercedes nuova o al Rolex d’oro massiccio che si poteva comprare con quei soldi, beni che non erano, non sono e non saranno mai acquistati con quel denaro destinato a tutt’altre cose, normalmente ben più importanti per il cliente stesso. E’ un brutto ma normale scherzo della mente umana che ha conseguenze sul rapporto con i suoi progetti e con la relazione fra lui e il suo consulente.

Come si dice nel tennis, tenere lo sguardo ben fisso sulla palla. Se gli obiettivi di investimento sono importanti, possiamo concederci il lusso di farci travolgere dagli eventi, normalmente temporanei, e deviare dal percorso che abbiamo progettato e condiviso perdendoci in soluzioni alternative che li allontanano? Sarebbe come se durante la partita di tennis ci si perdesse per guardare il pubblico invece che capire dove sta per cadere la pallina da rimandare nel campo avversario. Le strategie sono tali perché guardano avanti e il nostro professionista, proprio perché tale, le ha ben strutturate proprio per noi. Sotto il profilo tattico magari si devia temporaneamente ed apparentemente da quel percorso ben sapendo cosa si sta facendo.

Che cosa fa il risparmiatore quando subentra l’emotività e come può danneggiarsi?

Il profilo di rischio del risparmiatore è purtroppo elastico, aumenta quando le soddisfazioni derivanti dai suoi investimenti sono elevate (performance positive) e diminuisce quando registra una qualsivoglia riduzione del suo patrimonio (performance negative). Quello che non riesce, purtroppo, a focalizzare è che i suoi obiettivi rimangono gli stessi e che le performance si alternano poiché è nella stessa natura dei mercati. Quando dunque cala il valore dei suoi asset di investimento il suo profilo di rischio si riduce improvvisamente come se avesse già raggiunto i suoi obiettivi e dovesse liquidare l’indomani i suoi averi per acquistare l’agognata casa o mandare a Harvard il proprio figlio, che però resta un ragazzino di quattordici anni e deve ancora farsi tutto il liceo.

Nei fatti, il risparmiatore cerca di cambiare in corsa le regole del gioco mentre la partita è in pieno svolgimento, danneggiando i propri interessi ma indicendo anche il suo consulente a commettere degli errori (dando per scontato ovviamente che di vero consulente si tratti). Se il consulente cade in questa trappola accetterà di seguire il cliente, in balìa delle voci e dei capricci del mercato, e di fatto rinuncerà al proprio ruolo di esperto e - di conseguenza - di guida. Perso il ruolo di guida, entrambi in balìa dei TG, finiscono nel cestino anche i progetti e le performance attese, indispensabili per l’ottenimento degli obiettivi perseguiti.

Il vero consulente, in simili frangenti, deve resistere a questa tentazione. Lui ha ben chiara la situazione, le strategie,  è competente e dovrà indurre il cliente ad attenersi al programma previsto (e condiviso) aiutandolo a superare il momento delicato, e lo è sempre.

Inutile è anche nascondersi e spiegare a posteriori che cosa è accaduto, sarebbe come giustificarsi ai suoi occhi e se lui sta perdendo, si perderà insieme a lui.

La forza di resistere la si trova unicamente nella prevenzione. Se il consulente ha suggerito la dovuta prudenza in tempi non sospetti, se ha avuto cura di essere costantemente informato e preparato avrà avuto l’opportunità di comprendere per tempo che gli scenari stavano mutando, se avrà avuto cura di proporre ai propri clienti adeguate alternative sotto il profilo tattico non dovrà attendere i crolli improvvisi ma avrà già apportato aggiustamenti ragionevoli ai portafogli. Tutto questo non è stravolgere le strategie ma combinare adeguatamente esperienza e tecnica, ragionare in termini non solo strategici ma anche tattici; significa essere attivi ed essere in grado di proporre soluzioni alternative.

In questo modo il cliente avrà la certezza di essere in buone mani, di potersi fidare e di avere costantemente al suo fianco una persona in grado di condurre in porto i suoi progetti di vita.

Non sto disquisendo astrattamente del rapporto cliente-consulente sapendo perfettamente che sino a qualche anno fa tutto ciò era molto meno complicato di ora. Una buona conoscenza dell’economia e della finanza erano ottimi strumenti per gestire la componente tecnica del rapporto e la parte relazionale poteva essere curata con maggiore semplicità. I mercati si comportavano in modo più prevedibile e le cadute erano molto più contenute e più facilmente gestibili.

Ma ora il mondo è in grande evoluzione, i banchieri centrali condizionano la finanza e non ti dicono certo cosa faranno, la crisi ha colpito duro e nessuno ha idea di come e quando veramente uscirne, il lavoro si è spostato dalle aree sviluppate verso aree in passato emarginate, la classe media si è impoverita e la ricchezza è andata costantemente concentrandosi, gli scambi finanziari sono sempre più virtuali che reali e sono sempre più gestiti da computer, nuove tecnologie stanno rivoluzionando le nostre abitudini e vecchie certezze sono state spazzate via o stanno per esserlo. Le variabili in gioco, da poche e controllabili, sono aumentate a dismisura.

Pensare di prevedere il futuro è pura follia e solo strategia, disciplina e accurate tecniche possono dare una contenuta ancorché razionale affidabilità. Metterle in discussione ad ogni stormir di foglia è l’esatto contrario di quanto si deve fare per tutelare gli interessi propri e quelli dei propri cari. L’emotività releghiamola in un angolo. Il tempo e le opportunità perse in questo modo utilizziamole per trovare un consulente affidabile. E’ molto, ma molto più produttivo.


Un ringraziamento va a Piermario Piccardo che con un suo scritto ha in qualche modo ispirato questo mio articolo che, mi auguro, possa determinare una maggiore presa di coscienza da parte di quei risparmiatori che avranno avuto la pazienza e la costanza di averlo letto sino alla fine. Nel nostro paese la cultura finanziaria è molto bassa; seguire qualche buon consiglio contribuirà indubbiamente ad elevarla, nell’interesse di tutti. 

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