martedì 1 settembre 2015

Laboratorio Swiss & Global - Lezione N. 139 – Il pregiudizio è razionale? Il caso Grecia



Se avete seguito il caso greco, avrete visto che, nel fatidico fine settimana dell’11 e del 12 luglio, la decisione finale è stata giustificata con un pre-giudizio.
Pre-giudizio è un termine che qui uso nel senso letterale e non malevolo della parola, cioè come un giudizio dato in anticipo. In che senso la trattativa durante il week-end 11-12 luglio si è conclusa alla luce di un giudizio dato in anticipo, un pre-giudizio nel senso neutrale del termine sopra specificato? Nel senso che la decisione finale è stata motivata dal fatto che
 alcuni paesi europei (e alla fine la decisione è comunque stata unanime) non si sono fidati della parole del governo greco e hanno voluto aspettare che le “misure” fossero già “implementate”, come si è detto con un brutto termine anglosassone. Vulgo:  “fin che non vedo, non credo”.
Questa sorte di pre-giudizio pone un quesito interessante che svilupperò in questa lezione: il pre-giudizio può essere razionale?

Per rispondere a tale quesito vi racconterò un esperimento che ricorda quello di Richard Thaler, di cui si è parlato nella lezione precedente. 
Nel 2003, all’Università di Virginia negli Stati Uniti, alcuni studenti decidono di fare un po’ di soldi accettando di partecipare a un esperimento concepito da tre economisti, Roland Fryer, Jacob Goeree e Charles Holt. All’inizio l’esperimento sembrava poco più di un gioco divertente, ma poi le cose presero un’altra piega. 
I volontari vennero divisi a caso in due gruppi. Metà assunse il ruolo di “datore di lavoro” e l’altra metà di persone in cerca di occupazione. Ai disoccupati venne assegnato, sempre a caso, uno di due colori: il bianco o il rosso. Gli studenti erano stati così suddivisi grazie ai ruoli loro assegnati: padroni e aspiranti a un lavoro. E, sempre indipendentemente da qualsiasi caratteristica personale, i potenziali dipendenti si trovarono etichettati come bianchi o rossi. Chini sui loro computer, e avendo a che fare solo con lo schermo interfacciato con la rete, gli studenti parteciparono a una prova articolata in tre fasi. 
Nella prima fase ai disoccupati venne data una certa somma di denaro e si chiese loro se volevano spenderne una parte per venire “istruiti”. Si spiegava inoltre che, se istruiti, avrebbero più facilmente superato un successivo “test”, composto di rompicapo e problemi simili a quelli del mio libro “6 esercizi facili” (Cortina editore).  Nella seconda fase i disoccupati facevano il test, il cui punteggio in realtà era anch’esso casuale, perché corrispondeva all’esito del lancio di un dado. Tuttavia il caso era sistematicamente ma leggermente corretto a favore di chi in precedenza aveva scelto di istruirsi.  Nella terza fase del gioco i padroni decidevano chi assumere. Conoscevano solo due cose dei candidati:  i punteggi del test e il colore.
Queste tre fasi vennero ripetute venti volte. Via via che l’esperimento continuava, i datori di lavoro conoscevano i punteggi dei candidati cumulati nelle prove precedenti e il colore attribuito inizialmente.  I punteggi erano un’informazione utile per i datori di lavoro. Essi infatti ricevevano dei dollari ogni volta che assumevano chi si era istruito, mentre li perdevano se dopo l’assunzione si scopriva che il lavoratore non si era istruito. I disoccupati sapevano che sarebbero stati pagati ogni volta che avessero ottenuto un lavoro. E tuttavia all’inizio di ogni tornata del gioco erano incerti se investire nella loro istruzione o risparmiare e tenersi i soldi. 
Che cosa successe? Nella prima tornata del gioco i padroni guardarono solo ai punteggi del test per decidere le assunzioni. La loro decisione non teneva conto del colore degli aspiranti. Non avrebbe avuto senso: l’esperimento partiva con una tabula rasa. Il colore bianco o rosso era del tutto irrilevante in occasione della prima giocata. E tuttavia, tornata dopo tornata, i datori di lavoro potevano basarsi sulla storia precedente. Se per caso era successo che più candidati bianchi avevano pagato per venire istruiti nelle giocate iniziali, capitava che i loro punteggi fossero leggermente più alti di quelli dei rossi. I datori di lavoro, sulla base dei punteggi, assumevano un po’ più di candidati bianchi. Benché solo il caso avesse assegnato i colori, i datori di lavoro scoprivano un po’ alla volta che i bianchi erano più inclini a pagare per avere un’istruzione.  E così i bianchi vennero favoriti. Era meglio assumere un candidato bianco, anche se il punteggio di quello rosso, in quella specifica tornata, era più alto, perché era probabile che il bianco fosse più istruito. I bianchi, via via che si accorgevano di venire assunti più spesso dei rossi, investivano in istruzione. Viceversa i rossi risparmiavano il costo dell’istruzione perché si accorgevano un po’ alla volta che, comunque, era meno probabile che venissero assunti. A che cosa importava essere istruiti, visto che non venivano assunti proprio in quanto rossi? E così si era instaurato un circolo vizioso che si perpetuava rinforzandosi via via. 
Alla fine dell’esperimento ci fu una discussione libera in classe. Gli studenti rossi erano arrabbiati con i datori di lavoro perché non li avevano assunti. E i padroni rispondevano: “Non vi abbiamo scelto perché non avevate investito in istruzione”. L’asimmetria iniziale era stata stabilita dal caso, ma poi si era consolidata. Era così diventato razionale non assumere i rossi perché, essendo meno istruiti, i datori di lavoro non ricevevano un premio. 
Il vero paradosso non era tanto la creazione ex novo di un pregiudizio, solo inizialmente innescato dal caso. Il vero paradosso era il fatto che fosse più conveniente adeguarsi allo stereotipo che si era formato sulla base del pregiudizio. Per i datori di lavoro era diventato conveniente, cioè razionale in una prospettiva economica, assumere più rossi che bianchi. Il loro comportamento era dovuto a una sorta di profezia auto-avverantesi. Se un qualsiasi datore di lavoro non avesse assistito al generarsi del pregiudizio, quando il colore era ancora casuale, ma fosse intervenuto a metà gioco, per lui sarebbe stato ovvio, razionale e plausibile preferire i bianchi ai rossi. E, dato che la maggior parte di noi, quando diventa adulto, si trova in una società dove pregiudizi, generalizzazioni infondate e discriminazioni sono già state costruite dalle generazioni che lo hanno preceduto, è opportuno cercare di rimetterle in discussione. Mossi da una sorta di dubbio sistematico ci poniamo il quesito: perché i bianchi invece dei rossi? Perché sono più istruiti! E come mai sono più istruiti? Perché etichette attribuite inizialmente a caso li hanno in seguito favoriti. Se ricostruiamo questo percorso e rintracciamo le origini della discriminazione, diventa più facile smontarla e combatterla. E tuttavia è sempre un’operazione difficile, soprattutto quando, come nel caso greco, il pregiudizio è condiviso. Questa condivisione ci riporta agli effetti delle attese intrecciate che abbiamo trattato con l’esperimento di Thaler nella lezione precedente. 

E’ importante ancora una volta rendersi conto della forza dei fattori mentali e psicologici, almeno sul breve termine, a fianco delle variabili economiche. Se ci limitiamo a queste ultime, il mondo non è del tutto comprensibile.

L’impatto dell’austerità in termini di taglio dei budget pubblici in Grecia, Irlanda, Italia, Portogallo e Spagna. (Fonte: International Monetary Fund, dati rielaborati).
Torniamo al caso greco ed esaminiamo la figura che mostra l’impatto dell’austerità nei paesi cosiddetti P.I.G.S. (non dimentichiamo che l’acronimo significa “maiali”, in inglese, a proposito di pregiudizi!).  Questa figura mostra che la Grecia è il paese che ha fatto obiettivamente sforzi maggiori. E tuttavia le relazioni con il suo ondivago governo hanno minato la reputazione dell’attuale classe dirigente politica, proprio secondo il meccanismo illustrato nell’esperimento che qui vi ho raccontato.


Il tasso di disoccupazione in Grecia, Spagna, Italia, Portogallo e Irlanda dal 2008 al 2015. (Fonte: International Monetary Fund, dati rielaborati).
Se esaminiamo i dati sull’occupazione, troviamo tuttavia uno dei motivi “obiettivi” per la sfiducia in questo governo: le cose avevano cominciato a migliorare con il governo precedente. Questa leggera miglioria, pur all’interno di un quadro deteriorato, è andata persa, secondo molti osservatori, con questo nuovo governo. Di qui la sfiducia a priori: fin che non vedo, non credo. E tuttavia, con il semplice esame di queste due tabelle (per quanto drammatiche), non si coglierebbe l’eccezionalità del caso greco. La lettura economica di quello che è successo non è sufficiente.
Il fatto che la lettura economica non sia sufficiente è dimostrato dai pareri divergenti, se non opposti, forniti da molti economisti. Questa diversità di opinioni ha rinforzato l’atteggiamento dei politici inclini ovviamente a trattare la questione in termini politici, tenendo cioè conto di come avrebbero reagito i loro elettori in ogni singolo paese. E sappiamo bene dai sondaggi che molti europei, soprattutto quelli delle nazioni del Nord, hanno forti pre-giudizi, pregiudizi che si sono rinforzati negli anni secondo il meccanismo illustrato in questa lezione. 

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