Vorrei commentare un dato
recente per spiegare come mai i modesti e umili ETF, che si limitano a
rispecchiare l’andamento dei mercati, non sono così da disprezzarsi rispetto al
loro opposto, e cioè agli hedge funds, che, in teoria, non dovrebbero risentire
più che tanto dell’andamento dei mercati.
Questi ultimi sono liberi per qualsiasi tipo di
scommessa sul futuro, traendo opportunità anche dal calo dei mercati, mentre
gli ETF li devono necessariamente subire.
Nella lezione precedente, la 141,
avevo riportato una tabella con il rendimento medio degli hedge (rolling a 5
anni), nel loro complesso, a partire dal 1995. E tuttavia se volessimo, almeno
in teoria, fare un confronto che più possa valorizzare la possibilità da parte
di una categoria di fondi, come gli hedge, di operare qualsiasi scommessa sul
futuro dovremmo prendere come termine di riferimento un sotto-insieme degli
hedge, e cioè quelli che trattano le materie prime. Le materie prime, in
effetti, hanno molto oscillato di valore fin dal 2000 e, recentemente, hanno
subito forti perdite. Di qui la domanda: gli hedge specializzati in materie
prime hanno sfruttato tali perdite e le hanno sapute valorizzare? Ora i dati
elaborati da Newedge, e pubblicati a fine agosto da Bloomberg, mostrano che i
rendimenti degli hedge che investono sulle commodities, nel complesso, non
hanno tratto vantaggio dai recenti forti sbalzi di valore. In effetti la
tabella mostra che via via che le materie prime perdevano di valore anche i
rendimenti dei “commodities hedge funds” sono scesi (come è avvenuto,
ovviamente, con i più economici ETF, cfr. lezione 141).
Così come avviene più in generale nella vita, avere
troppi gradi di libertà non è sempre un vantaggio perché, se più sono le
occasioni per fare meglio del mercato, più sono anche le occasioni per fare
peggio. Inoltre la filosofia degli hedge è in teoria basata sulla capacità di
sfruttare nicchie trascurate dai più. Oggi le loro dimensioni sono tali che ci
sono poche nicchie inesplorate. Comunque così stanno le cose. E questo stato di
cose è propedeutico alle mie riflessioni sul futuro della consulenza, sempre
più centrata sul cliente, e non più limitata alle prestazioni del suo
portafoglio.
Alla luce di questo progressivo spostamento
d’attenzione dalle prestazioni del portafoglio al benessere del proprietario,
vorrei partire dalla constatazione che ci sono, semplificando, due tipi
possibili di richieste e di attese da parte del cliente nei confronti di chi
segue i risparmi.
Ecco l’alternativa: vogliamo un tecnico che sa le
risposte giuste per gestire i nostri risparmi? Oppure preferiamo rivolgerci a
una persona alla quale affidare il nostro benessere e le nostre esigenze di
sicurezza a 360 gradi?
Ciò che abbiamo visto nelle lezioni precedenti sembra
indicare che siamo nel bel mezzo di un cambiamento di paradigma che non finirà
presto. Possiamo allora azzardare una domanda: quale sarà il panorama italiano
della consulenza verso il 2020?
Probabilmente si accentueranno delle tendenze che già
oggi emergono, anche se solo in modi latenti.
Le elenco qui brevemente, per procedere poi ad analisi più esaustive:
Le elenco qui brevemente, per procedere poi ad analisi più esaustive:
Ø Continuerà il fai-da te: strategia attribuibile, più
che a una scelta consapevole, al fatto che le persone anziane spesso sono
caratterizzate da un miscuglio di inerzia e di superbia, come si è detto nelle
ultime lezioni. Continuerà anche la peculiarità italiana del risparmio detenuto
per lo più da persone anziane (due terzi controllato da persone che hanno più
di 66 anni), in forza della particolare struttura sociale e demografica della
società italiana.
Ø Stante il punto di cui in 1, i detentori del risparmio
italiano non avranno semplicemente bisogno di una gestione finanziaria ottimale
del loro portafoglio. Essi hanno bisogno, anche se spesso non ne sono
consapevoli, di essere accuditi nel loro benessere, nelle loro insicurezze,
difesi dai loro timori. Dovranno cioè venire consigliati e rassicurati nella
gestione complessiva del loro patrimonio, traguardando l’evoluzione futura di
tale patrimonio.
Ø Questa esigenza di assicurazione, rassicurazione e
affetto, in una parola questa implicita richiesta di amore, si mescola con le
loro preoccupazioni, in primis i passaggi generazionali. Patrimoni, sia modesti
sia cospicui, passano a nuove generazioni la cui posizione nel mercato del
lavoro spesso non permette di alimentare tali patrimoni nei modi conosciuti in
un passato purtroppo irrepetibile.
Ø Le nuove forme di auto-gestione del risparmio, una
sorta di fai-da-te raffinato e condotto con una preparazione articolata e con
degli occhi bene aperti, prenderanno meno piede in Italia rispetto ai paesi
dove alcuni giovani, non pochissimi, sono in condizioni di cumulare risparmi,
talvolta anche ingenti.
Ø La forma più evoluta del fai-da-te informato e capace
di valutare le proprie esigenze di pianificazione del futuro è costituita
dall’affermarsi di quelle tecniche di gestione del risparmio che vanno sotto il
nome di “robo-advisor”. Si tratta, in
buona sostanza, di sistemi informatici forniti a costi molto bassi da
piattaforme presenti in rete. Questi sistemi si basano sulle risposte date a
semplici questionari. Le risposte vengono elaborate e producono dei
profili di risparmiatori. I profili, a loro volta, corrispondono a portafogli
personalizzati, per lo più composti da EFT (cfr. lezione precedente). Tali portafogli vengono costruiti
automaticamente sulla base delle prospettive temporali e dei profili di rischio
dichiarati dall’utente, presupponendo che il cliente sappia auto-analizzarsi e
valutare queste variabili (le ricerche in realtà ci rendono scettici circa
questa capacità di auto-analisi). Vengono dati dei suggerimenti su come
bilanciare il portafoglio con il passare del tempo: per esempio la parte
azionaria viene ridotta via via che cresce l’età del risparmiatore. Secondo i
sondaggi più recenti, condotti negli Stati Uniti, un 3% della clientela
tradizionalmente bancaria ha scelto forme di robot-advisory. La più grande del
mondo si avvale dei suoi ETF per costruire il portafoglio profilato dal sistema
di consulenza a distanza, offerto quasi gratuitamente.
Ø In Italia la gestione automatica dei portafogli
tramite il ricorso al proprio profilo costruito con robo-advisor e all’impiego di ETF resterà uno scenario di
nicchia per i motivi sopra addotti. La maggioranza dei detentori di patrimoni,
formata da persone anziane, non ha solo bisogno che siano gestiti i
risparmi. Le loro esigenze sono molto più ampie: una sicurezza globale, una
protezione della loro storia e la possibilità di tramandarla, insomma un
“ambiente in cui ci si sente amati”. Questa richiesta di “consulenza amorosa”
sarà accentuata dalla presenza di scenari sociali che verranno rappresentati
sempre più come incerti, pericolosi e insidiosi.
Se l’analisi basata su questi sei punti è corretta,
allora la finanza classica e quella comportamentale non sono più sufficienti. O
meglio, bastano solo per la gestione del portafoglio, ma questa verrà data per
scontata e non sarà più il punto centrale della consulenza. Se si vuole erodere
il fai-da-te tradizionale, ancora prevalente in Italia sotto varie forme, il
cliente potenziale va guidato facendolo emergere dal suo miscuglio di inerzia e
di superbia. Non si tratta tanto di mostrargli la superiorità del risparmio
gestito, ma di cercare di rispondere a quello di cui il cliente sente
confusamente bisogno. Non è un compito facile perché, per rispondere alla
richiesta (spesso inconsapevole) di rassicurazione e empatia, bisogna prendere
in considerazione proprio quelle tendenze che la finanza comportamentale ha
messo in luce. Mi rendo conto che tale affermazione è vaga e sibillina.
Cercherò di definirla meglio, anche in termini operativi, nelle prossime
lezioni.
Un’ultima
osservazione nei riguardi delle esigenze di carisma e rassicurazione. Mai come
di questi tempi ne abbiamo bisogno. Si pensi ai toni apocalittici per la
correzione sui mercati mondiali di venerdì 21 e di lunedì 24 agosto. Eppure la
storia, e la figura qui riportata, ci dicono che dopo una correzione del 5% non
sempre avvengono catastrofi, anzi raramente. Soprattutto se la correzione
avviene a partire da livelli p/u superiori alla media storica, ma non
stratosferici, come è avvenuto nell’agosto 2015. Alimentare l’insicurezza vuol
dire spingere ad acquistare Bund che probabilmente renderanno meno
dell’inflazione. Il problema è che quattro anni senza perdite settimanali
superiori al 5% hanno lasciato il segno, dato che si è persa la memoria di tale
possibilità. Ecco, ancora una volta, la necessità della consulenza e di una
buona diversificazione, quella fatta da un esperto.
La figura indica che cosa è successo nella settimana
successiva, 4 settimane dopo, e 12 settimane dopo, in seguito a una perdita
dello S&P 500 superiore al 5%. Nel nostro caso il 5,69%, per l’esattezza.
(Fonte: Bloomberg modificata).
Ora che la prima settimana è passata possiamo riempire
il primo dei punti interrogativi della figura. Nella settimana che è appena
terminata, il 4 settembre, lo S&P 500 è sceso di un altro 3,6% (e lo Stoxx
del 2,8%). Ci sono ben sei settimane in cui le cose sono andate meno bene, se
guardiamo la tabella che parte dal 1980. Possiamo sperare in una correzione, e
non nell’inizio di un mercato orso, come il clamore mediatico potrebbe farci
temere. Lo sapremo di sicuro quando saremo in condizione di riempire gli altri
punti interrogativi!
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