domenica 11 ottobre 2015

Laboratorio Swiss & Global - Lezione N. 142 – Il futuro della consulenza sicurezza e rassicurazione


Vorrei commentare un dato recente per spiegare come mai i modesti e umili ETF, che si limitano a rispecchiare l’andamento dei mercati, non sono così da disprezzarsi rispetto al loro opposto, e cioè agli hedge funds, che, in teoria, non dovrebbero risentire più che tanto dell’andamento dei mercati.

Questi ultimi sono liberi per qualsiasi tipo di scommessa sul futuro, traendo opportunità anche dal calo dei mercati, mentre gli ETF li devono necessariamente subire.
Nella lezione precedente, la 141, avevo riportato una tabella con il rendimento medio degli hedge (rolling a 5 anni), nel loro complesso, a partire dal 1995. E tuttavia se volessimo, almeno in teoria, fare un confronto che più possa valorizzare la possibilità da parte di una categoria di fondi, come gli hedge, di operare qualsiasi scommessa sul futuro dovremmo prendere come termine di riferimento un sotto-insieme degli hedge, e cioè quelli che trattano le materie prime. Le materie prime, in effetti, hanno molto oscillato di valore fin dal 2000 e, recentemente, hanno subito forti perdite. Di qui la domanda: gli hedge specializzati in materie prime hanno sfruttato tali perdite e le hanno sapute valorizzare? Ora i dati elaborati da Newedge, e pubblicati a fine agosto da Bloomberg, mostrano che i rendimenti degli hedge che investono sulle commodities, nel complesso, non hanno tratto vantaggio dai recenti forti sbalzi di valore.  In effetti la tabella mostra che via via che le materie prime perdevano di valore anche i rendimenti dei “commodities hedge funds” sono scesi (come è avvenuto, ovviamente, con i più economici ETF, cfr. lezione 141).

Così come avviene più in generale nella vita, avere troppi gradi di libertà non è sempre un vantaggio perché, se più sono le occasioni per fare meglio del mercato, più sono anche le occasioni per fare peggio. Inoltre la filosofia degli hedge è in teoria basata sulla capacità di sfruttare nicchie trascurate dai più. Oggi le loro dimensioni sono tali che ci sono poche nicchie inesplorate. Comunque così stanno le cose. E questo stato di cose è propedeutico alle mie riflessioni sul futuro della consulenza, sempre più centrata sul cliente, e non più limitata alle prestazioni del suo portafoglio.
Alla luce di questo progressivo spostamento d’attenzione dalle prestazioni del portafoglio al benessere del proprietario, vorrei partire dalla constatazione che ci sono, semplificando, due tipi possibili di richieste e di attese da parte del cliente nei confronti di chi segue i risparmi.
Ecco l’alternativa: vogliamo un tecnico che sa le risposte giuste per gestire i nostri risparmi? Oppure preferiamo rivolgerci a una persona alla quale affidare il nostro benessere e le nostre esigenze di sicurezza a 360 gradi? 
Ciò che abbiamo visto nelle lezioni precedenti sembra indicare che siamo nel bel mezzo di un cambiamento di paradigma che non finirà presto. Possiamo allora azzardare una domanda: quale sarà il panorama italiano della consulenza verso il 2020?
Probabilmente si accentueranno delle tendenze che già oggi emergono, anche se solo in modi latenti.
Le elenco qui brevemente, per procedere poi ad analisi più esaustive:

Ø  Continuerà il fai-da te: strategia attribuibile, più che a una scelta consapevole,  al fatto che le persone anziane spesso sono caratterizzate da un miscuglio di inerzia e di superbia, come si è detto nelle ultime lezioni. Continuerà anche la peculiarità italiana del risparmio detenuto per lo più da persone anziane (due terzi controllato da persone che hanno più di 66 anni), in forza della particolare struttura sociale e demografica della società italiana.
Ø  Stante il punto di cui in 1, i detentori del risparmio italiano non avranno semplicemente bisogno di una gestione finanziaria ottimale del loro portafoglio. Essi hanno bisogno, anche se spesso non ne sono consapevoli, di essere accuditi nel loro benessere, nelle loro insicurezze, difesi dai loro timori. Dovranno cioè venire consigliati e rassicurati nella gestione complessiva del loro patrimonio, traguardando l’evoluzione futura di tale patrimonio.
Ø  Questa esigenza di assicurazione, rassicurazione e affetto, in una parola questa implicita richiesta di amore, si mescola con le loro preoccupazioni, in primis i passaggi generazionali. Patrimoni, sia modesti sia cospicui, passano a nuove generazioni la cui posizione nel mercato del lavoro spesso non permette di alimentare tali patrimoni nei modi conosciuti in un passato purtroppo irrepetibile.
Ø  Le nuove forme di auto-gestione del risparmio, una sorta di fai-da-te raffinato e condotto con una preparazione articolata e con degli occhi bene aperti, prenderanno meno piede in Italia rispetto ai paesi dove alcuni giovani, non pochissimi, sono in condizioni di cumulare risparmi, talvolta anche ingenti.
Ø  La forma più evoluta del fai-da-te informato e capace di valutare le proprie esigenze di pianificazione del futuro è costituita dall’affermarsi di quelle tecniche di gestione del risparmio che vanno sotto il nome di “robo-advisor”.  Si tratta, in buona sostanza, di sistemi informatici forniti a costi molto bassi da piattaforme presenti in rete. Questi sistemi si basano sulle risposte date a semplici questionari. Le risposte vengono  elaborate e producono dei profili di risparmiatori. I profili, a loro volta, corrispondono a portafogli personalizzati, per lo più composti da EFT (cfr. lezione precedente).  Tali portafogli vengono costruiti automaticamente sulla base delle prospettive temporali e dei profili di rischio dichiarati dall’utente, presupponendo che il cliente sappia auto-analizzarsi e valutare queste variabili (le ricerche in realtà ci rendono scettici circa questa capacità di auto-analisi). Vengono dati dei suggerimenti su come bilanciare il portafoglio con il passare del tempo: per esempio la parte azionaria viene ridotta via via che cresce l’età del risparmiatore. Secondo i sondaggi più recenti, condotti negli Stati Uniti, un 3% della clientela tradizionalmente bancaria ha scelto forme di robot-advisory. La più grande del mondo si avvale dei suoi ETF per costruire il portafoglio profilato dal sistema di consulenza a distanza, offerto quasi gratuitamente. 
Ø  In Italia la gestione automatica dei portafogli tramite il ricorso al proprio profilo costruito con robo-advisor  e all’impiego di ETF resterà uno scenario di nicchia per i motivi sopra addotti. La maggioranza dei detentori di patrimoni, formata da persone anziane,  non ha solo bisogno che siano gestiti i risparmi. Le loro esigenze sono molto più ampie: una sicurezza globale, una protezione della loro storia e la possibilità di tramandarla, insomma un “ambiente in cui ci si sente amati”. Questa richiesta di “consulenza amorosa” sarà accentuata dalla presenza di scenari sociali che verranno rappresentati sempre più come incerti, pericolosi e insidiosi.

Se l’analisi basata su questi sei punti è corretta, allora la finanza classica e quella comportamentale non sono più sufficienti. O meglio, bastano solo per la gestione del portafoglio, ma questa verrà data per scontata e non sarà più il punto centrale della consulenza. Se si vuole erodere il fai-da-te tradizionale, ancora prevalente in Italia sotto varie forme, il cliente potenziale va guidato facendolo emergere dal suo miscuglio di inerzia e di superbia. Non si tratta tanto di mostrargli la superiorità del risparmio gestito, ma di cercare di rispondere a quello di cui il cliente sente confusamente bisogno. Non è un compito facile perché, per rispondere alla richiesta (spesso inconsapevole) di rassicurazione e empatia, bisogna prendere in considerazione proprio quelle tendenze che la finanza comportamentale ha messo in luce. Mi rendo conto che tale affermazione è vaga e sibillina. Cercherò di definirla meglio, anche in termini operativi, nelle prossime lezioni.
Un’ultima osservazione nei riguardi delle esigenze di carisma e rassicurazione. Mai come di questi tempi ne abbiamo bisogno. Si pensi ai toni apocalittici per la correzione sui mercati mondiali di venerdì 21 e di lunedì 24 agosto. Eppure la storia, e la figura qui riportata, ci dicono che dopo una correzione del 5% non sempre avvengono catastrofi, anzi raramente. Soprattutto se la correzione avviene a partire da livelli p/u superiori alla media storica, ma non stratosferici, come è avvenuto nell’agosto 2015. Alimentare l’insicurezza vuol dire spingere ad acquistare Bund che probabilmente renderanno meno dell’inflazione. Il problema è che quattro anni senza perdite settimanali superiori al 5% hanno lasciato il segno, dato che si è persa la memoria di tale possibilità. Ecco, ancora una volta, la necessità della consulenza e di una buona diversificazione, quella fatta da un esperto.



La figura indica che cosa è successo nella settimana successiva, 4 settimane dopo, e 12 settimane dopo, in seguito a una perdita dello S&P 500 superiore al 5%. Nel nostro caso il 5,69%, per l’esattezza. (Fonte: Bloomberg modificata).
Ora che la prima settimana è passata possiamo riempire il primo dei punti interrogativi della figura. Nella settimana che è appena terminata, il 4 settembre, lo S&P 500 è sceso di un altro 3,6% (e lo Stoxx del 2,8%). Ci sono ben sei settimane in cui le cose sono andate meno bene, se guardiamo la tabella che parte dal 1980. Possiamo sperare in una correzione, e non nell’inizio di un mercato orso, come il clamore mediatico potrebbe farci temere. Lo sapremo di sicuro quando saremo in condizione di riempire gli altri punti interrogativi!

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