Per capire il futuro della
consulenza bisogna partire dal passato. Non è un passato molto lontano perché i
concetti di incertezza (e quindi di probabilità) e di gestione del portafoglio
sono due nozioni relativamente recenti, essendo entrambe sconosciute
nell’antichità classica e rinascimentale.
L’episodio storico in cui questi due concetti si
incrociarono per la prima volta risale al 1823 ed è stato ben raccontato in
dettaglio da
Carlo Benetti nel suo contributo del 3 agosto su questo sito.
In estrema sintesi: nel 1823, a Boston, un certo John
McLean lasciò alla moglie Ann la casa, un patrimonio di 35mila dollari e un
vitalizio generato dalle rendite di 50mila dollari affidati a un gestore. Alla
morte di Ann i 50mila dollari sarebbero stati divisi in due parti a favore
dell’Università di Harvard e del Massachussets General Hospital. Nel 1828 Ann
morì. I due enti scoprirono che il patrimonio da dividersi si era ridotto da 50
a 29mila dollari. Decisero quindi di rivolgersi al tribunale per ottenere
giustizia nei confronti del gestore a loro avviso negligente. Il giudice Samuel
Putnam respinse tali accuse, dichiarando che la perdita “non era dovuta a
deliberata inadempienza” e che la gestione di un patrimonio è rischiosa. In
caso contrario, “chi mai accetterebbe un incarico di così impegnativa
responsabilità”? La sentenza del 1830 fu una decisione storica perché pose le
basi per quella che è la “regola dell’Uomo Prudente”: “il capitale è sempre a
rischio … ciò che si chiede al gestore è di imitare il modo con il quale
uomini di prudenza, discrezione e sagacia amministrano le loro cose, non per la
speculazione ma per la disposizione del patrimonio nel lungo termine …”.
Questa sentenza costituisce un punto di svolta anche
perché introduce l’idea di rischio, e la affianca a quella di un esperto che
sappia valutare sui tempi lunghi ciò che è rischioso e ciò che non lo è. Il
“buon gestore” sarà capace di individuare le “forme di investimento meno
rischiose” e si ispirerà a quella che, nel nostro codice civile, viene definita
come la “diligenza del buon padre di famiglia”.
Purtroppo questo principio, in linea generale molto
saggio, non è aiutato dal buonsenso e dall’intuito. Infatti “poco rischioso”
viene interpretato dai più come “conosciuto bene” e ciò che è “più conosciuto”
spesso equivale a quel che ci è “familiare”. Così è successo che gli italiani
hanno investito in titoli del loro paese e in immobili, ovviamente per lo più
vicino al posto dove lavoravano o in luoghi di vacanza, quasi sempre comunque
in Italia. Questa sembra una buona diversificazione, per lo meno a buon senso:
si prendono in considerazione le possibilità conosciute dai più e quelle più a
portata di mano. In realtà non lo è affatto, perché tale strategia finisce per
concentrare i risparmi in una parte molto piccola del complesso mondo economico
globale. E, purtroppo, in un luogo del mondo che non è dei più forti sul piano
dello sviluppo futuro.
Passò più di un secolo dalla storica sentenza
bostoniana. Soltanto a metà del Novecento, Markowitz – nella sua tesi di
dottorato - sostituì la nozione di diversificazione ingenua, quella usata dalla
maggioranza degli italiani, con quella basata sulla de/correlazione, una storia
che ho già raccontato più volte. E oggi, infine, stiamo passando a una successiva
fase di questa storia, quando il cosiddetto “Uomo prudente” si domanda quale
deve essere il perimetro della consulenza. Si è accorto infatti che il
perimetro deve venire allargato. Qualcosa non è andato per il verso giusto.
All’inizio di questo secolo, infatti, gli italiani
hanno cominciato a trasformare i loro titoli di stato in risparmio gestito.
Ricordiamo che nel 1999 il risparmio gestito era equivalente al 42% del PIL. Si
poteva pensare che fosse iniziata per gli italiani una nuova tendenza, come del
resto stava avvenendo negli altri paesi europei. Dal 1999 al 2015, nel resto
d’Europa, il valore del risparmio gestito è passato nel suo complesso dal 48%
del PIL al 79% del PIL.
Le cose non sono andate così in Italia: qui c’è stato
un decremento invece di un incremento (per i dettagli, cfr. la consueta
rassegna annuale di Mediobanca, uscita in agosto 2015, e riassunta molto bene
da Maximilian Cellino sul Sole24Ore di sabato 8 agosto, Finanza e Mercati, p.
20). Cercherò di mostrare nelle prossime lezioni come, a determinate
condizioni, la fine di questo decremento rappresenti oggi un favorevole punto
di svolta. Mi sembra che il momento sia favorevole per una ripartenza
dell’industria italiana del risparmio gestito. Industria che, nel frattempo, è
diventata la quattordicesima nel contesto internazionale (era quarta nel 2000).
Come mai sui tempi lunghi il bilancio è stato deludente e in contro-tendenza
rispetto all’Europa? Come fare per non sprecare il momento molto favorevole?
Per rispondere in modo adeguato a queste domande, va
fatta un’analisi di lungo periodo e di vasto respiro che mi riprometto di
svolgere nelle prossime lezioni. Per ora vi lascio con un’immagine e un
interrogativo: per quanto tempo ci inerpicheremo sulle braccia alzate dei governatori
delle banche centrali?
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