martedì 13 ottobre 2015

Laboratorio Swiss & Global - Lezione N. 143 – Una storia lunga due secoli è a un punto di svolta: la consulenza



Per capire il futuro della consulenza bisogna partire dal passato. Non è un passato molto lontano perché i concetti di incertezza (e quindi di probabilità) e di gestione del portafoglio sono due nozioni relativamente recenti, essendo entrambe sconosciute nell’antichità classica e rinascimentale.
L’episodio storico in cui questi due concetti si incrociarono per la prima volta risale al 1823 ed è stato ben raccontato in dettaglio da
Carlo Benetti nel suo contributo del 3 agosto su questo sito.
In estrema sintesi: nel 1823, a Boston, un certo John McLean lasciò alla moglie Ann la casa, un patrimonio di 35mila dollari e un vitalizio generato dalle rendite di 50mila dollari affidati a un gestore. Alla morte di Ann i 50mila dollari sarebbero stati divisi in due parti a favore dell’Università di Harvard e del Massachussets General Hospital. Nel 1828 Ann morì. I due enti scoprirono che il patrimonio da dividersi si era ridotto da 50 a 29mila dollari. Decisero quindi di rivolgersi al tribunale per ottenere giustizia nei confronti del gestore a loro avviso negligente. Il giudice Samuel Putnam respinse tali accuse, dichiarando che la perdita “non era dovuta a deliberata inadempienza” e che la gestione di un patrimonio è rischiosa. In caso contrario, “chi mai accetterebbe un incarico di così impegnativa responsabilità”? La sentenza del 1830 fu una decisione storica perché pose le basi per quella che è la “regola dell’Uomo Prudente”: “il capitale è sempre a rischio  … ciò che si chiede al gestore è di imitare il modo con il quale uomini di prudenza, discrezione e sagacia amministrano le loro cose, non per la speculazione ma per la disposizione del patrimonio nel lungo termine  …”.
Questa sentenza costituisce un punto di svolta anche perché introduce l’idea di rischio, e la affianca a quella di un esperto che sappia valutare sui tempi lunghi ciò che è rischioso e ciò che non lo è. Il “buon gestore” sarà capace di individuare le “forme di investimento meno rischiose” e si ispirerà a quella che, nel nostro codice civile, viene definita come la “diligenza del buon padre di famiglia”.
Purtroppo questo principio, in linea generale molto saggio, non è aiutato dal buonsenso e dall’intuito. Infatti “poco rischioso” viene interpretato dai più come “conosciuto bene” e ciò che è “più conosciuto” spesso equivale a quel che ci è “familiare”. Così è successo che gli italiani hanno investito in titoli del loro paese e in immobili, ovviamente per lo più vicino al posto dove lavoravano o in luoghi di vacanza, quasi sempre comunque in Italia. Questa sembra una buona diversificazione, per lo meno a buon senso: si prendono in considerazione le possibilità conosciute dai più e quelle più a portata di mano. In realtà non lo è affatto, perché tale strategia finisce per concentrare i risparmi in una parte molto piccola del complesso mondo economico globale. E, purtroppo, in un luogo del mondo che non è dei più forti sul piano dello sviluppo futuro.
Passò più di un secolo dalla storica sentenza bostoniana. Soltanto a metà del Novecento, Markowitz – nella sua tesi di dottorato - sostituì la nozione di diversificazione ingenua, quella usata dalla maggioranza degli italiani, con quella basata sulla de/correlazione, una storia che ho già raccontato più volte. E oggi, infine, stiamo passando a una successiva fase di questa storia, quando il cosiddetto “Uomo prudente” si domanda quale deve essere il perimetro della consulenza. Si è accorto infatti che il perimetro deve venire allargato. Qualcosa non è andato per il verso giusto.
All’inizio di questo secolo, infatti, gli italiani hanno cominciato a trasformare i loro titoli di stato in risparmio gestito. Ricordiamo che nel 1999 il risparmio gestito era equivalente al 42% del PIL. Si poteva pensare che fosse iniziata per gli italiani una nuova tendenza, come del resto stava avvenendo negli altri paesi europei. Dal 1999 al 2015, nel resto d’Europa, il valore del risparmio gestito è passato nel suo complesso dal 48% del PIL al 79% del PIL.

Le cose non sono andate così in Italia: qui c’è stato un decremento invece di un incremento (per i dettagli, cfr. la consueta rassegna annuale di Mediobanca, uscita in agosto 2015, e riassunta molto bene da Maximilian Cellino sul Sole24Ore di sabato 8 agosto, Finanza e Mercati, p. 20). Cercherò di mostrare nelle prossime lezioni come, a determinate condizioni, la fine di questo decremento rappresenti oggi un favorevole punto di svolta. Mi sembra che il momento sia favorevole per una ripartenza dell’industria italiana del risparmio gestito. Industria che, nel frattempo, è diventata la quattordicesima nel contesto internazionale (era quarta nel 2000). Come mai sui tempi lunghi il bilancio è stato deludente e in contro-tendenza rispetto all’Europa? Come fare per non sprecare il momento molto favorevole?



Per rispondere in modo adeguato a queste domande, va fatta un’analisi di lungo periodo e di vasto respiro che mi riprometto di svolgere nelle prossime lezioni. Per ora vi lascio con un’immagine e un interrogativo: per quanto tempo ci inerpicheremo sulle braccia alzate dei governatori delle banche centrali?

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