L’EFFETTO MACRON SPINGE I MERCATI MA …
L’esito della prima tornata elettorale
francese, con Macron quale più probabile candidato alla poltrona dell’Eliseo,
ha letteralmente infiammato i mercati azionari che chiudono la settimana in
forte aumento con l’unica eccezione
della borsa di Shangai (-0,58%).
Italia e Francia primeggiano con rialzi
superiori al 4%, la Germania a + 3,23% e l’indice Eurostoxx 50 a +3,47%.
Completano la panoramica europea le due borse non comunitarie di Zurigo e
Londra, rispettivamente a +3,02% e +1,26%.
In Usa il Nasdaq e lo S&P 500 crescono del
2,32 e 1,51% e i principali mercati emergenti (Brasile, Russia e India)
confermano la generale euforia chiudendo la settimana con rialzi che vanno
dall’1,88% al 2,58%. Infine Hong Kong,
Tokyo e l’indice Msci World a loro volta crescono rispettivamente del 2,38%,
3,09 e 1,86%.
In settimana ben cinque indici hanno anche
superato i precedenti massimi storici: Germania, India, Nasdaq, S&P
500 e Msci World. Si tratta di risultati brillanti che trovano giustificazione,
oltre che nell’esito della tornata politica francese, nelle dichiarazioni di
Trump sulla riforma fiscale, sulle dichiarazioni di Draghi sulle prospettive di
crescita dell’area comunitaria e le conferme di continuità delle facilitazioni
monetarie della BCE.
Queste le motivazioni ma esaminiamo anche le
note stonate. Prima fra tutte quella della dinamica di questi risultati; l’effetto
boom si è avuto nell’immediata conferma dell’esito elettorale ma il resto della
settimana i mercati hanno tirato il freno a mano fermandosi all’incirca
ai valori di lunedì.
Perché mai all’euforia è subentrata
immediatamente una pausa di riflessione? Innanzitutto la più “controversa”
bella notizia è quella della riforma fiscale americana che, se da un lato
eccita per le ampie disponibilità che il fisco dovrebbe lasciare nelle casse
delle imprese Usa e nelle tasche dei cittadini,
dall’altro lascia intravedere forti dubbi sulla sostenibilità del piano
annunciato (peraltro solo a grandi linee) da Trump in quanto non c’è chiarezza
per la sua copertura. Infine, restando all’interno dell’economia statunitense,
il dato sul Pil (+0,7% in tre mesi) si è rivelato inferiore alle attese degli
analisti.
L’instabilità sul fronte della politica internazionale
resta elevata, soprattutto nell’area asiatica (fronte nord coreano), dato che
le opzioni sul tavolo - non esclusivamente diplomatiche - fanno lievitare i
timori per un contrasto che potrebbe includere anche scontri militari dalle
conseguenze inimmaginabili per i paesi potenzialmente coinvolgibili in un
conflitto ossia Usa, Nord e Sud Corea, Cina, Giappone e Russia, tanto per
citare i principali. Certamente le probabilità di un simile accadimento sono
infime ma abbiamo imparato a nostre spese che tutto è possibile, anche ciò che
sembra assolutamente irragionevole.
Veniamo ora alle elezioni francesi. Giochi fatti?
Sembrerebbe di sì ma illuderci che la vittoria di Macron (che rappresenta di
fatto l’establishment, seppur rinnovato, ma non le classi popolari) sia
scontata potrebbe essere il più grave degli errori, al pari della
sottovalutazione di Brexit di cui solo ora si iniziano a percepire i possibili
danni.
I due pretendenti partono sostanzialmente alla
pari ma, se coloro che avevano votato per i candidati ora esclusi disertassero
in massa il voto del ballottaggio oppure se proprio al ballottaggio frange
importanti dell’elettorato decidessero di dare un senso di protesta al loro voto
appoggiando la Le Pen con nella mente il pensiero “tanto comunque non vince… “
o si manifestasse una combinazione di questi due fattori, allora il risultato
finale sarebbe quello di un rimescolamento pericoloso non solo per la Francia
ma per la stessa sopravvivenza dell’Unità Europea.
Tra gli operatori americani vige il detto “sell
in may and go away” e dunque, tra la soddisfazione dei rialzi da inizio anno
(vedi grafico successivo) e le perplessità suaccennate, non è che lo stop di
fine aprile sia da considerare come una pausa di riflessione nell’attesa di
prese di posizione più definite? E qui intendiamo ovviamente come una scelta
fra il mantenimento di posizioni mediamente aggressive o l’abbandono delle
stesse in attesa di prezzi più interessanti. Staremo a vedere.
LA
SETTIMANA DELL’ OBBLIGAZIONARIO …
Che il clima politico in Francia sia
effettivamente più disteso delle settimane precedenti lo possiamo vedere anche
attraverso i rendimenti dei titoli governativi. Rispetto alla settimana
precedente il rendimento del decennale d’oltralpe flette di 11 centesimi e si
riavvicina ai minimi annuali (0,68%). Questo resta altresì un fatto isolato
all’interno del nostro paniere che registra un aumento generalizzato dei
rendimenti e un accenno di fuga dal bund tedesco con conseguente discesa dello
spread, rientrato in settimana sotto i 200 bp (196,40 in chiusura di
settimana).
… E
QUELLA DEL MERCATO VALUTARIO
L’esito del voto francese e le affermazioni di
Draghi si sono riverberate anche sui rapporti di cambio con l’Euro in
apprezzamento sulle principali valute mondiali, ossia dollaro, sterlina, yen e
yuan.
L’effetto più evidente si è registrato nei
confronti della valuta nipponica che flette di 5 figure riportandosi su valori
più prossimi a quelli di inizio anno. Va sottolineato infine che il rapporto di
cambio fra euro e dollaro Usa da inizio anno vede un apprezzamento della moneta
unica di ben 3,63 punti percentuali a conferma delle perplessità degli
operatori sull’attuale crescita statunitense e sugli effettivi benefici della
manovra fiscale appena annunciata su cui permangono i dubbi che abbiamo
espresso in precedenza.
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