In
questa lezione vi racconterò la conferenza che ho tenuto in Gam il 14 marzo,
anzi penso che avrò bisogno di più di una lezione per parlarvi dell'importante
tema del passaggio generazionale, oggetto della conferenza.
Qui
si annidano le origini del grande paradosso del risparmiatore/investitore medio
italiano.
Ricavando la figura del
“risparmiatore medio” dall’esame dei dati "medi" complessivi, si
constata che il "risparmiatore/investitore medio" italiano:
- ha una cospicua parte dei risparmi in immobili perché questi non hanno prezzi chiari, soprattutto nei casi singoli (quelli che interessano il singolo investitore), e quindi non ci si accorge delle perdite a breve e medio termine che fanno soffrire assai una persona prudente; le perdite a lungo termine per solito non le sa calcolare (per sua tranquillità);
- ha una cospicua parte dei risparmi in reddito fisso, per gli stessi motivi di cui sopra;
- ha una cospicua parte dei risparmi tenuti liquidi perché “non si sa mai” (essi sono sostitutivi di una protezione razionale per i motivi noti a chi ha studiato la “assicurazione comportamentale” (cap. 5 del mio ultimo libro).
Queste tre tendenze
complessive delineano un investitore molto prudente e cauto, poco avventuroso.
E' disposto a pagare un prezzo in termini di minori rendimenti dei suoi
risparmi, soprattutto sui tempi lunghi (un lustro, non poi così lunghi), come
mostra la figura seguente:
La figura mostra i rendimenti reali percentuali dal
1900 al 2016 compreso. Più precisamente mostra il rendimento annuale su un arco
quinquennale evidenziando che nei vari percentili mai, mai in ben 21 paesi,
le obbligazioni hanno reso più delle azioni. Le prime sono quindi un
omaggio sacrificale fatto dalla "prudenza" ai rendimenti reali. In
sintesi: la prudenza ha un costo! Fonte: Economist modificata.
Appurata la
"prudenza" media, che implica il sacrificio dei rendimenti dei
risparmi in omaggio alla paura delle perdite percepite, in forza della ben nota
confusione tra oggettivamente pericoloso e soggettivamente pauroso,
domandiamoci:
Che cosa intendiamo per
"importante momento del passaggio generazionale"? O,
meglio, che cosa non intendiamo?
Non intendiamo i casi in cui c'è un'attività imprenditoriale avviata dal padre e/o dalla generazione precedente che può/deve/desidera trasmetterla ai figli, creando un ponte, una continuità transgenerazionale nell’attività di impresa. Questo è un problema delicato, rilevante, e che è stato molto studiato. Molte sono le soluzioni a questo problema e tutte sono centrate su nuovi modelli di gestione rispetto all’impegno lavorativo pregresso (passaggio ai manager: Fiat; fusione con altra azienda: Luxottica; oltre che, ovviamente, varie forme di trasmissione della cultura aziendale all’interno delle famiglie, talvolta attraverso più generazioni). Qui non intendiamo questo anche se, per un’impresa piccola o familiare, il passaggio dei risparmi può essere un'operazione che ri-equilibria l’eventuale passaggio dell’attività imprenditoriale.
Non intendiamo i casi in cui c'è un'attività imprenditoriale avviata dal padre e/o dalla generazione precedente che può/deve/desidera trasmetterla ai figli, creando un ponte, una continuità transgenerazionale nell’attività di impresa. Questo è un problema delicato, rilevante, e che è stato molto studiato. Molte sono le soluzioni a questo problema e tutte sono centrate su nuovi modelli di gestione rispetto all’impegno lavorativo pregresso (passaggio ai manager: Fiat; fusione con altra azienda: Luxottica; oltre che, ovviamente, varie forme di trasmissione della cultura aziendale all’interno delle famiglie, talvolta attraverso più generazioni). Qui non intendiamo questo anche se, per un’impresa piccola o familiare, il passaggio dei risparmi può essere un'operazione che ri-equilibria l’eventuale passaggio dell’attività imprenditoriale.
Sappiamo bene, purtroppo,
che in Italia questo passaggio imprenditoriale riesce, per vari motivi, solo
nel 20% dei casi. Negli altri Paesi il passaggio di padre in figlio non è
automatico. Il governo norvegese ha esaminato oltre 35.000 casi di
trasferimenti di quote d'impresa di padre in figlio, scoprendo che il trend del
successo competitivo sul mercato tende a essere discendente; se subentrano dei
manager si resta grosso modo a galla, con alti e bassi; se si riesce ad
agganciarsi o a fondersi con chi già sta sul mercato allora le probabilità sono
più alte. E comunque in Norvegia le successioni di padre in figlio sono circa il
10%, in Olanda il 30-40%, in Danimarca il 60%, mentre in Italia – data la forte
presenza di piccole imprese e attività artigiane e commerciali - arriviamo
all'80-90%.
Comunque è un passaggio che
avviene tardi, ed è complicato dall’aver rimandato il passaggio degli eventuali
risparmi. Secondo i dati della Camera di Commercio di Monza e Brianza,
attualmente in Italia ci sono 286.000 imprenditori ultrasettantenni. Questa
situazione pone degli evidenti problemi di riequilibrio tra i risparmi cumulati
e gli investimenti nell’impresa, riequilibro che deve contrastare la tendenza a
investire tutto nell’impresa, che spesso è stata la "vita" del
fondatore.
E tuttavia si tratta,
ovviamente, di una scelta molto pericolosa, viste le probabilità di successo
nei passaggi generazionali delle piccole attività artigiane e d’impresa. Scelta
pericolosa, ma fatta anche da persone che si credono molto prudenti!
Ecco che rispunta il
paradosso di cui sopra. Esamineremo le conseguenze di quanto detto nella
prossima lezione.
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