domenica 2 aprile 2017

MERCATI FINANZIARI: OSSERVATORIO DEL 31/3/2017



E ORA CON TRUMP SCOPRIAMO IL VAMPIRISMO ANTIAMERICANO

Trump deve aver mal digerito il rifiuto di mettere mano all’Obamacare della scorsa settimana ma in qualche modo deve pur farsi vedere attivo e vitale e, soprattutto, coerente con gli slogan cavalcati in campagna elettorale gettandosi
ora a testa bassa in una campagna impregnata di “America first” che intende colpevolizzare il resto del mondo (Europa in testa) di cospirazione anti-Usa tanto da dissanguarne l’economia.

Sembra incredibile che le aree più votate al liberismo e al libero scambio debbano entrare in conflitto per l’attuale incapacità del presidente americano di saper indirizzare l’economia del proprio paese nella direzione auspicata. E’ stato facile promettere benessere e lavoro a profusione, ma ci vogliono grandi capacità per coalizzare la maggioranza delle forze in campo in un progetto condiviso e realizzabile, soprattutto ci vorrebbe un valido progetto.

Un calcolo l’avrà certamente fatto, l’istrionico Trump: dall’altra parte della sponda atlantica trova – al momento – una comunità europea alle prese con la “rogna” Brexit e una potenziale struttura da “Armata Brancaleone” che potrebbe avvitarsi su sé stessa, rinunciando alla propria coesione, per difendere a spada tratta chi il proprio formaggio, chi il proprio vino o la birra nazionale. Purtroppo, troppe volte l’interesse di parrocchia ha prevalso in Europa sull’interesse comune e magari Trump conta proprio su questo.

Siamo alle prime schermaglie, tocchiamo ferro e auguriamoci che tutto ciò finisca in una bolla di sapone e si possa competere nel rispetto delle regole del gioco, gioco nel quale chi sarà più abile e competitivo trarrà maggiori benefici rispetto ai competitor più sonnecchianti.


Certo che accusare l’economia europea di aver messo in crisi la produzione americana mi fa alquanto sorridere. In questi ultimi vent’anni, frequentando gli Usa, ho imparato - acquistando i prodotti che fanno bella mostra sugli scaffali dei loro negozi - che al 90% le merci portano l’etichetta del “Made da qualche parte ma non in Usa” avendo loro stessi spostato all’estero le loro produzioni, dove ovviamente faceva più comodo alla proprietà per il minor costo del lavoro e provocando una costante emorragia di posti di lavoro, proprio quelli che ora Trump vorrebbe ricreare …

SI E’ CHIUSO IL PRIMO TRIMESTRE, E ORA ?

L’elezione di Trump ha pesato non poco sull’andamento dei listini in questo primo trimestre. Le promesse elettorali hanno elettrizzato gli operatori che hanno fiutato e scommesso su una forte crescita dell’economia americana soprattutto in virtù dei tagli alle imposte, fattore di assoluta rilevanza alla base della promessa rinascita produttiva degli Stati Uniti.

Questo primo trimestre, pur con qualche lieve saliscendi, non è stato altro che la prosecuzione del trend in atto dai primi di novembre: crescita, crescita e ancora crescita. Una crescita talmente fluida che alcuni listini, in primis quelli americani, sono andati a ritoccare i propri massimi assoluti e altri sono ad un passo dal farlo a loro volta.

Il primato della crescita da inizio anno spetta alla borsa di Mumbay, cresciuta dell’11,24%, seguita a breve distanza dal Nasdaq e da Hong Kong (+9,82% e +9,71% rispettivamente). Ben otto indici si trovano in un range compreso tra il 5,34% (la Svizzera) e il 7,90% del Brasile. Sotto il 5% di rialzo l’indice Msci World (che ha ritoccato il suo massimo storico solo due settimane fa), la borsa cinese (+3,83%) e la Gran Bretagna (+2,52% e record delle quotazioni raggiunto all’inizio di marzo).

In negativo troviamo solamente due indici, quello giapponese - a -1,07% - trascinato sotto la parità da inizio anno proprio la settimana scorsa e la borsa moscovita che chiude il trimestre a -3,35%.

Il rally scaturito dalle promesse c’è stato, ma ora sappiamo che le promesse dovranno lasciare il posto ai fatti e gli accadimenti delle ultime due settimane hanno intonazioni un po’ diverse. Trump dovrà convincere gli oppositori, soprattutto quelli del suo partito, ad appoggiare le sue iniziative la cui applicazione si dovrebbe tradurre nell’auspicata crescita dell’economia e, di conseguenza, giustificare gli attuali livelli dei mercati dando ulteriore propulsione alla salita dei listini.

In caso contrario sarà molto difficile trovare le risorse necessarie per lo sviluppo promesso, prime fra tutte quelle destinate alla riduzione dell’attuale imposizione fiscale, pena la chiusura dell’apparato statale, come avvenne nel 2013 e, in questo caso, il mantenimento degli attuali livelli delle quotazioni potrebbe divenire difficile, se non impossibile.

Un piccolo segnale di prudenza viene dal mercato obbligazionario. Andiamolo a scoprire.


LA SETTIMANA DEI MERCATI OBBLIGAZIONARI

Nelle prime due settimane di marzo i bond decennali di Usa, Germania, Francia e Italia hanno toccato i massimi livelli di rendimento da inizio anno. Gli Usa a 10 anni arrivavano a rendere il 2,58%, il bund tedesco remunerava gli investitori con uno 0,48%, quelli di Francia e Italia si attestavano su ritorni dell’1,13% e 2,54% rispettivamente. Nelle ultime due settimane la domanda di carta è cresciuta e i rendimenti si sono nuovamente abbassati.

Nonostante le attese di ritocchi ulteriori da parte della Fed il decennale Usa è ritornato a rendere il 2,40%, addirittura meno di quanto remunerava a inizio anno – prima dell’aumento della banca centrale statunitense, il bund è rientrato su rendimenti più contenuti (0,33%) e qui gioca magari un fattore contingente, quello di costituire un porto sicuro in prossimità delle elezioni francesi, temute per il “fattore Le Pen”. Anche Francia e Italia vedono incrementare i rendimenti anche se – per fattori soprattutto politici – i rendimenti attuali sono più elevati rispetto a inizio anno del 50 e 30% rispettivamente.

Lo spread fra btp e bund sale in chiusura di settimana a 197,39 a conferma di una forza relativa maggiore del decennale tedesco rispetto a quello italiano.

La Gran Bretagna è un caso a sé e con l’ufficializzazione della Brexit presenta dei margini di incertezza piuttosto elevati dato che gli investitori dovranno confrontarsi anche con i rapporti di cambio che nei prossimi mesi vedranno presumibilmente aumentare la già elevata volatilità della valuta britannica.


EURO IN FLESSIONE

In settimana l’Euro ha perso forza su tutte le quattro valute del nostro osservatorio riportandosi a 1,06 sulla moneta Usa, a 7,32 nei confronti dello yuan e a 0,86 sulla sterlina inglese; praticamente siamo agli stessi livelli di inizio mese.

Maggiore forza relativa invece per lo yen che a un mese si rafforza del 2,40% sull’euro e da inizio anno porta al 4,24% l’apprezzamento sulla moneta comunitaria. Se allargassimo la finestra temporale a tre mesi ci accorgeremmo infatti che l’indebolimento sullo yen è l’unico fatto concreto mentre restiamo su una sostanziale parità dell’euro sulle altre valute (dollaro usa, sterlina inglese e yuan).


Tutto tranquillo per ora ma a causa delle prossime tornate elettorali europee, delle decisioni della Fed e della Bce - probabilmente divergenti - e le ripercussioni delle politiche di Trump salgono le probabilità che il mercato valutario si muova rompendo l’attuale staticità ed è pensabile che la diversificazione valutaria possa assumere un ruolo di maggiore importanza nei prossimi mesi.


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