domenica 17 aprile 2016

BORSE MONDIALI

Per la prima volta quest’anno chiudono la settimana in positivo tutti i mercati azionari che stiamo tenendo sotto osservazione, con il Nikkei in gran spolvero (+ 6,5%) e con
lo S&P a chiudere la fila in crescita del 1,60%,

Si riducono pertanto le distanze dal punto di pareggio con solo 4 mercati con perdite a due cifre (Italia, Cina, Giappone e Svizzera); all’opposto consolidano il trend positivo le borse del Brasile, Russia e USA.

La settimana scorsa ci eravamo soffermati sulle persistenti fragilità dei mercati ma, a quanto pare, gli investitori non stanno avvertendo quegli scricchiolii che hanno drizzato le nostre orecchie.

Viene da chiedersi il perché di questa incongruenza e, come sempre, i motivi sono molteplici. Mi voglio soffermare solamente su quello che dovrebbe essere tenuto in debita considerazione dagli investitori privati, ossia la percezione del rischio e le attese di rendimento.

Credo sia noto che una massa piuttosto elevata di titoli obbligazionari abbia rendimenti negativi relativamente alle durate comprese fra 0 e 5 anni. Se spingiamo l’orizzonte temporale di investimento al di là di questa durata e ci portiamo sui titoli decennali scopriamo che la situazione è quantomeno poco ripagante:
  • Regno Unito               1,41%
  • Germania                    0,12%
  • Francia                        0,47%
  • Italia                            1,33%
  • Svizzera                      -0,40%
  • Giappone                    -0,13%
  • Usa                              1,75%


Le indagini di mercato ci confermano che l’investitore medio non accetta questa situazione ma, viziato dai rendimenti dei decenni precedenti, tende a ricercare rendimenti di maggiore spessore.

Ricordo, a tal proposito, che l’anno scorso due distinte ricerche attestarono che le attese di rendimento da parte dei risparmiatori italiani per il 2015 erano del 9%, una percentuale che non ha bisogno di alcun commento per comprendere la distanza tra le attese e la realtà dei nostri connazionali.

Nel tentativo di aggrapparsi al desiderio di conseguire rendimenti più ripaganti,  gli investitori - con alle spalle un lungo periodo di trend positivo dei mercati azionari (supportati dai vari QE delle maggiori banche centrali, fatto inusuale ed estemporaneo) – stanno investendo in misura maggiore rispetto al passato nel mercato azionario, direttamente o per vie indirette.

Mentre l’investimento diretto comporta un’assunzione consapevole del rischio incorporato, quello che non è ancora percepito è che i prodotti massicciamente inseriti negli ultimi tre/quattro anni nei portafogli (fondi multi-asset e flessibili) hanno dei contenuti azionari spesse volte ignorati ai quali si associano anche titoli obbligazionari di aziende o stati che la maggioranza degli investitori non si sognerebbe di acquistare consapevolmente.

Tutto ciò si scontra con la convinzione che i rischi di tali prodotti siano pari, se non addirittura inferiori, a quelli dei titoli obbligazionari e che la delega assunta dai gestori dia la garanzia (leggasi certezza) che sapranno affrontare con assoluta abilità le difficoltà dei mercati.

Va chiarito che la ricerca di rendimenti più ripaganti comporta inevitabilmente l’assunzione di rischi ben più elevati e che l’abilità dei gestori, da aprile dell’anno scorso, è stata messa a dura prova e sino ad ora sono più evidenti i malumori che le soddisfazioni tra gli investitori.

Il rischio dunque è che, a fronte di eventi molto negativi, il ritorno alla realtà possa essere piuttosto drammatico e ancor di più lo potrebbero essere i comportamenti emotivi che ne possono derivare. Ciò è insito nella natura umana e ogni esperto di finanza conosce perfettamente quali danni possono scaturire dal panico di investitori delusi.

Ogni grande crisi l’ha ben evidenziato e la prossima potrebbe non solo replicarlo ma addirittura enfatizzarlo.

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