La settimana appena conclusasi ha registrato un
ulteriore indebolimento dei mercati azionari; il paniere che teniamo sotto
osservazione, da inizio anno, resta mediamente negativo nella misura
del 5,5% pur in presenza di due borse ampiamente
positive, quella brasiliana e quella russa che stanno al di sopra della
chiusura 2015 di oltre il 16%.
Per quanto riguarda l’Italia, che resta il mercato
meno brillante del paniere con il suo -18,27%, va rammentato che la giornata di
venerdì - con una chiusura giornaliera superiore al 4% - ha consentito di
moderare significativamente il pessimo andamento settimanale.
Riprendiamo allora il discorso lasciato in sospeso
la settimana scorsa. I mercati finanziari sono sempre meno legati all’andamento
dell’economia reale e, proprio per le loro gigantesche dimensioni, ciò non può
che costituire un problema ed ecco perché una riforma globale del sistema si
rende sempre più necessaria. Dopo anni di regolamentazioni e aumenti di
capitale l’anello debole della finanza globale (le banche) è stato decisamente
rafforzato e non rappresenta più il pericolo maggiore.
Oggi i rischi maggiori risiedono proprio nei mercati
finanziari inebriati da anni di manovre ultra-espansive che hanno sortito quale
effetto prevalente una crescita lautamente ripagante dei listini a fronte di
una crescita dell’economia reale modestissima se non addirittura negativa dal
2008 ad oggi.
Oggi i derivati valgono qualcosa come 9 volte il Pil
dell’intero pianeta; si tratta di volumi enormemente più grandi di quei
sottostanti economici reali di cui dovrebbero essere emanazione. Negli ultimi
anni, con questi volumi, i mercati finanziari hanno acquisito un’enorme potenza
e a loro sono riconducibili le più recenti cause di crisi come appunto quella
del 2008/09 e del 2011. Non sono infatti più loro a inseguire l’economia ma la
precedono e la dominano, come sostiene Morya Longo nel suo articolo del 13
marzo apparso su IlSole-24Ore.
Ormai non si sa più quanto sia la Fed a gestire la
politica monetaria USA e quanto siano invece i mercati finanziari a determinare
l’orientamento che essa debba tenere e, al di qua dell’oceano, la BCE non
sarebbe costretta a un interventismo decisamente “creativo” se la politica
facesse la sua parte che per l’Europa dovrebbero essere misure fiscali
maggiormente omogenee, misure a favore dell’occupazione più coordinate e
investimenti produttivi di maggiore portata.
Il pericolo di una recessione globale sembrano essersi
spostati in avanti sotto l’aspetto temporale ma nondimeno la crescita resta
molto debole e l’incognita Cina lascia tutti con il fiato sospeso; se da un
lato il governo cinese sembra reattivo verso le turbolenze degli ultimi mesi
dall’altro il rallentamento del dragone resta evidente.
In una simile situazione la fragilità dei mercati
sembra alquanto evidente e rare sono le possibilità di diversificazione; le
de-correlazioni, così indispensabili per una sana gestione dei rischi
finanziari, si vanno assottigliando sempre più e, proprio per questo, ogni
notizia e dato non positivo scatena prese di beneficio sempre più accentuate e
diffuse anche a causa della predominanza di scambi algoritmici rispetto a quelli
determinati dalla consapevole volontà degli investitori.
In questa già fragile situazione, come sottolinea
Longo nel citato suo articolo, il mercato dei bond si va facendo sempre più
illiquido nonostante le masse create dalle banche centrali. La maggior parte
dei bond, citando una ricerca di RBS, viene portata sul mercato, acquistata,
inserita nei portafogli e non più scambiata. Non oso immaginare, in una
situazione di crisi, quali spread denaro-lettera si possano creare nel mercato
con conseguenze piuttosto gravi per gli investitori privati, avversi per loro
natura a volatilità estreme, e tale scenario, ricordo, è tenuto in forte
considerazione da oltre un anno dal FMI.
Ecco perché alla mia clientela continuo a suggerire
un atteggiamento prudenziale per i loro investimenti, convinto che in questa fase
le possibilità di incorrere in perdite siano maggiori rispetto a quelle di
incrementare il valore dei loro patrimoni. Forse è il momento di dare il giusto
valore a un asset normalmente sottopesato: la liquidità.
Resta il fatto che un sovrappeso della liquidità
comporta, almeno nell’immediato, un calo dei possibili guadagni e non tutti gli
attori sulla scena sono disponibili a dei sacrifici sul piano economico, ma
questo è un altro discorso.
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