domenica 10 aprile 2016

BORSE MONDIALI


La settimana appena conclusasi ha registrato un ulteriore indebolimento dei mercati azionari; il paniere che teniamo sotto osservazione, da inizio anno, resta mediamente negativo nella  misura
del 5,5% pur in presenza di due borse ampiamente positive, quella brasiliana e quella russa che stanno al di sopra della chiusura 2015 di oltre il 16%.

Per quanto riguarda l’Italia, che resta il mercato meno brillante del paniere con il suo -18,27%, va rammentato che la giornata di venerdì - con una chiusura giornaliera superiore al 4% - ha consentito di moderare significativamente il pessimo andamento settimanale.

Riprendiamo allora il discorso lasciato in sospeso la settimana scorsa. I mercati finanziari sono sempre meno legati all’andamento dell’economia reale e, proprio per le loro gigantesche dimensioni, ciò non può che costituire un problema ed ecco perché una riforma globale del sistema si rende sempre più necessaria. Dopo anni di regolamentazioni e aumenti di capitale l’anello debole della finanza globale (le banche) è stato decisamente rafforzato e non rappresenta più il pericolo maggiore.

Oggi i rischi maggiori risiedono proprio nei mercati finanziari inebriati da anni di manovre ultra-espansive che hanno sortito quale effetto prevalente una crescita lautamente ripagante dei listini a fronte di una crescita dell’economia reale modestissima se non addirittura negativa dal 2008 ad oggi.

Oggi i derivati valgono qualcosa come 9 volte il Pil dell’intero pianeta; si tratta di volumi enormemente più grandi di quei sottostanti economici reali di cui dovrebbero essere emanazione. Negli ultimi anni, con questi volumi, i mercati finanziari hanno acquisito un’enorme potenza e a loro sono riconducibili le più recenti cause di crisi come appunto quella del 2008/09 e del 2011. Non sono infatti più loro a inseguire l’economia ma la precedono e la dominano, come sostiene Morya Longo nel suo articolo del 13 marzo apparso su IlSole-24Ore.

Ormai non si sa più quanto sia la Fed a gestire la politica monetaria USA e quanto siano invece i mercati finanziari a determinare l’orientamento che essa debba tenere e, al di qua dell’oceano, la BCE non sarebbe costretta a un interventismo decisamente “creativo” se la politica facesse la sua parte che per l’Europa dovrebbero essere misure fiscali maggiormente omogenee, misure a favore dell’occupazione più coordinate e investimenti produttivi di maggiore portata.

Il pericolo di una recessione globale sembrano essersi spostati in avanti sotto l’aspetto temporale ma nondimeno la crescita resta molto debole e l’incognita Cina lascia tutti con il fiato sospeso; se da un lato il governo cinese sembra reattivo verso le turbolenze degli ultimi mesi dall’altro il rallentamento del dragone resta evidente.

In una simile situazione la fragilità dei mercati sembra alquanto evidente e rare sono le possibilità di diversificazione; le de-correlazioni, così indispensabili per una sana gestione dei rischi finanziari, si vanno assottigliando sempre più e, proprio per questo, ogni notizia e dato non positivo scatena prese di beneficio sempre più accentuate e diffuse anche a causa della predominanza di scambi algoritmici rispetto a quelli determinati dalla consapevole volontà degli investitori.

In questa già fragile situazione, come sottolinea Longo nel citato suo articolo, il mercato dei bond si va facendo sempre più illiquido nonostante le masse create dalle banche centrali. La maggior parte dei bond, citando una ricerca di RBS, viene portata sul mercato, acquistata, inserita nei portafogli e non più scambiata. Non oso immaginare, in una situazione di crisi, quali spread denaro-lettera si possano creare nel mercato con conseguenze piuttosto gravi per gli investitori privati, avversi per loro natura a volatilità estreme, e tale scenario, ricordo, è tenuto in forte considerazione da oltre un anno dal FMI.

Ecco perché alla mia clientela continuo a suggerire un atteggiamento prudenziale per i loro investimenti, convinto che in questa fase le possibilità di incorrere in perdite siano maggiori rispetto a quelle di incrementare il valore dei loro patrimoni. Forse è il momento di dare il giusto valore a un asset normalmente sottopesato: la liquidità.


Resta il fatto che un sovrappeso della liquidità comporta, almeno nell’immediato, un calo dei possibili guadagni e non tutti gli attori sulla scena sono disponibili a dei sacrifici sul piano economico, ma questo è un altro discorso.

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