martedì 30 ottobre 2012

ERRORI DA EVITARE - Perché comperiamo azioni quando il mercato sale e obbligazioni quando scende?


Il pregiudizio dei movimenti di mercato (vedi post di luglio), oltre a influire sulle attese degli investitori, provoca anche cambiamenti nelle pratiche di gestione, incoraggiandone una fondata sugli investimenti di breve termine.
Quanto migliore è la performance recente di investimenti considerati rischiosi, come le azioni, tanto più essi attirano gli investitori. Analogamente, quando si tratta di scegliere fra due diverse azioni, quelle che sono salite maggiormente vengono inserite più spesso nei portafogli.
Bange ha confrontato i risultati del sondaggio settimanale dell’ American Association of Individual Investors sulle attese dei piccoli investitori con quelli dell’indagine mensile della stessa associazione sulla distribuzione degli asset (azioni/obbligazioni/attività liquide). Anche questo paragone ha evidenziato  che le previsioni degli investitori derivavano dalle performance passate e che il peso delle azioni nei loro portafogli aumentava di pari passo.
Quindi, tanto più i mercati salgono, tanto più i piccoli investitori sono ottimisti sull’andamento futuro e di conseguenza accrescono la propria esposizione sui mercati azionari; tanto più i mercati vanno giù, tanto più gli investitori sono pessimisti e preferiscono investire in obbligazioni oppure mantenere attività liquide.
In uno studio relativo alle differenze fra investitori basato sulle transazioni di oltre 41.000 clienti di una grande agenzia d’intermediazione americana, Dhar e Kumar cercarono di classificare i piccoli investitori in investitori momentum, cioè coloro che credono conveniente seguire i movimenti del mercato, e contrarian, coloro che fano il contrario degli altri nella convinzione dell’opportunità di correggere i movimenti del mercato.
I due studiosi osservarono il comportamento delle azioni durante i giorni e mesi precedenti le transazioni effettuate dagli investitori (acquisti e vendite) e stabilirono che in media gli investitori comperavano titoli che registravano guadagni significativi per periodi che andavano da una settimana (+0,62%) a tre mesi (+7,26%). Fra tali clienti il 12,6% acquistava sistematicamente titoli che erano saliti nell’ultimo mese (investitori strettamente momentum); la percentuale dei contrarian era invece leggermente più bassa (10,4%).
La tendenza, più o meno ben motivata, ad acquistare titoli che hanno avuto gli incrementi maggiori si rivela abbastanza efficace. I ricercatori identificarono un effetto momentum (cioè legato ai movimenti di mercato) di breve termine in numerosi mercati. Jeegadesh  e Titman descrissero un effetto momentum relativo alle azioni americane per periodi da tre a dodici mesi durante gli anni 1965-89. Ad esempio, i titoli che fecero meglio (i vincenti) nel corso di nove mesi ebbero in media, nei nove mesi successivi, un rendimento superiore di 9,85 punti rispetto a quello dei titoli che avevano fatto registrare le peggiori performance.
L’effetto momentum è più importante per i titoli che hanno performance estreme e per le azioni a bassa capitalizzazione (le cosiddette small caps). Tale effetto si verifica anche sui mercati europei e in qualche mercato emergente.
Cosa possiamo trarre da queste indagini? La prima è che quando l’euforia si abbatte sui mercati diventa contagiosa ed induce gli investitori a privilegiare gli asset più “rischiosi” del portafoglio il che, anche se potrebbe condurre a buoni risultati reddituali, provoca un parziale abbandono dei propri asset di equilibrio che, se ben valutati e misurati, condurrebbero l’investitore a conseguire i propri obiettivi di investimento con un minore grado di rischiosità. In senso opposto, quando i mercati azionari scendono gli investitori si rifugiano nella liquidità o negli asset obbligazionari; l’effetto primario, quello di proteggere le performance correnti, è ovvio.
Quello che è meno ovvio, e anni di pratica sul campo me l’hanno ampiamente confermato, è la conseguente riluttanza degli investitori a rientrare negli asset di base procrastinando tale decisone sino a quando il primo effetto non è stato pressoché annullato dalle nuove opportunità non colte. Dunque, in un gran numero di casi, tanto varrebbe stare fermi …
La seconda osservazione, che condivido, è quella di trarre valore aggiunto dalla selezione dei titoli sull’effetto momentum. Non posso però fare a meno di avere qualche dubbio su almeno due aspetti che non collimano molto con la figura dell’investitore medio italiano.
La prima è che gestire i propri investimenti sull’effetto momentum comporta anche una certa conoscenza e padronanza dell’analisi tecnica la quale peraltro invita a non limitarsi nell’operatività di trading alla sola analisi di momentum ma di affiancare a questi indicatori altri metodi di analisi. Padronanza significa inoltre operare con target di profitti ben chiari in testa e con ancor più chiari limiti di perdita.
Seconda e ultima osservazione sull’ utilizzo del momentum. L’indagine di Jeegadesh e Titman individua anche le caratteristiche delle azioni a cui meglio applicare questi principi. Va usata dunque una certa cautela dato che sono caratterizzati da elevata volatilità (ossia capacità di produrre buoni guadagni ma anche altrettanto indesiderabili perdite), bassa liquidità dato che si tratta soprattutto di small caps e minori informazioni sulla patrimonialità e sull’andamento reddituale di queste aziende messe a disposizione del pubblico indistinto.
Infine, ma è una mia opinione, varrà mai la pena di dedicare decine di ore/settimana per fare un lavoro che si può comodamente delegare dei professionisti? Non abbiamo sufficiente tempo da dedicare alla nostra famiglia, alle nostre amicizie, alle nostre relazioni sociali, perché perderlo studiando analisi patrimoniale e tecnica e restando ore ed ore davanti al computer a “giocare” al perfetto gestore? C’è ovviamente chi lo fa per professione e le ore non impegnate nel lavoro le dedica - lui sì - alla sua famiglia, alle sue amicizie e alle sue relazioni sociali.

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