lunedì 1 ottobre 2012

Laboratorio Swiss & Global - Lezione N. 3 – Errori ed emozioni

La finanza comportamentale serve a spiegare quelli che sono gli “errori” di scelta, almeno dal punto di vista degli economisti. Qualcosa del genere vale anche per l’ambito della behavioral corporate finance. La finanza aziendale cerca di spiegare i comportamenti che derivano dall’interazione di due tipi di agenti: gli investitori e i manager. Nella tradizione classica di questa disciplina si suppone che gli agenti facciano previsioni non distorte sul futuro e decidano valutando correttamente i loro interessi. Questo significa che i manager danno per scontato che i mercati siano efficienti e che i prezzi riflettano i valori fondamentali.

La behavioral corporate finance ritiene che, rispetto a questi assunti, la realtà evidenzi degli scarti sistematici. I dati empirici mostrano che il comportamento dei manager e/o degli investitori  non è completamente razionale, almeno secondo i canoni degli economisti. L’allontanarsi dalla razionalità è attribuito all’effetto di meccanismi cognitivi degli agenti, per l’appunto i meccanismi cognitivi che esamineremo in queste lezioni. Questo vale sia per gli investitori sia per i manager (per esempio, nel caso di questi ultimi, si tratta dell’ancoraggio nelle offerte pubbliche d’acquisto o l’overconfidence nelle decisioni d’investimento; argomenti che tratteremo più avanti).
L’economia non deve correggere i suoi assunti alla luce del funzionamento effettivo della mente umana. Sarebbe come modificare i dieci comandamenti in seguito alla constatazione che gli uomini li violano sistematicamente. I comandamenti resistono come roccia; nel frattempo gli uomini non hanno mai smesso di peccare e lo fanno deviando sistematicamente dalle regole della buona condotta.

Si tratta insomma di due piani che possono confrontarsi ma che vanno tenuti separati. Al contempo, è riduttivo considerare il comportamento degli agenti come disancorato dai canoni della razionalità . In realtà è l’ambito delle scelte economiche e finanziarie che ci obbliga a prendere decisioni in mondi rispetto ai quali la nostra mente non è attrezzata.

Si sente spesso dire che lo psicologo deve insegnare a “controllare l’emotività dei clienti”.  E’ vero che i clienti sono emotivi, ma le emozioni in sé non  sono sbagliate, anche se, purtroppo, sono innescate da processi di pensiero non adeguati. In questo senso le seguenti lezioni vorrebbero essere la forma di terapia che non si limita alla finanza comportamentale. Questa, infatti, non è altro che “psicologia del pensiero applicata”.

Nel caso del rapporto tra le scelte individuali e le scelte aggregate non ha molto senso dire che l’agire collettivo non è ancorato alla razionalità economica. Per gli economisti, infatti, non vale una distinzione che è cruciale per gli psicologi. Un conto è adottare consapevolmente una regola, per esempio una strategia di investimento, un conto è adeguarsi a essa. Una mela cha cade a terra da una pianta segue la forza di gravità, ma non si rende conto di seguirla.

La letteratura sul pensiero implicito mostra che la nostra mente è bravissima nel riconoscere l’andamento di serie storiche di dati, anche molto complesse, ma non sappiamo descrivere quello che siamo in grado di fare, come quando andiamo in bicicletta. In altre parole, sappiamo usare regole senza essere capaci  di formulare in modo esplicito le regole stesse.
Tornando all’andamento dei dati aggregati, non possiamo disinvoltamente interpretare le serie storiche come se queste fossero in grado di evidenziare un eventuale scarto dalla razionalità economica, che corrisponde a un ipotetico individuo sempre consapevole. Non sappiamo se un andamento del mercato che sembra seguire una regola psicologica (per esempio: avidità mentre sale, paura quando scende) la segua veramente o semplicemente sia interpretato a posteriori come se la seguisse.
La distinzione tra pensiero implicito ed esplicito può sembrare ovvia. E tuttavia essa costituisce un nodo metodologico per la finanza comportamentale.  Quando emergono gli effetti aggregati di scelte compiute da individui singoli (anche scelte di milioni di individui, per esempio quando si tratta di entrare o uscire dai mercati azionari), possiamo leggere l’andamento del timing di entrata-uscita dai mercati come se gli individui, che si sono adeguati a esso, fossero irrazionali.
Le cose sono purtroppo più complesse. Se un individuo decide sulla base della sua esperienza passata – o meglio, del rapporto di frequenze tra successi e insuccessi da lui esperiti – e se quest’individuo prova un’emozione negativa quando le cose vanno male e quindi soffre, allora egli si troverà a fare scelte che, una volta aggregate, possano apparire come irrazionali.
Tali però non appaiono più se si percorre la strada inversa: dai dati aggregati si risale alle radici individuali, al funzionamento della mente degli individui. Questo è uno degli scopi teorici della finanza comportamentale: mostrare come scelte oggi apparentemente inadeguate siano il risultato di strategie individuali che sono state efficaci per decine di migliaia di anni e che, purtroppo, oggi non  funzionano più in questi nuovi scenari decisionali.



Nessun commento:

Posta un commento