Inconsapevolmente tendiamo a
sopravvalutare le informazioni che confermano una nostra opinione e a
minimizzare, se non addirittura a scartare, quelle che la contrastano.
Alcuni esperimenti confermano
questa affermazione. Fu chiesto ad un gruppo di studenti di scegliere fra due
ristoranti mediante un confronto fra i loro menu. Quando fu preso in
considerazione
il menu completo il gruppo si divise quasi equamente fra l’una e
l’altra opzione ma la faccenda mutò quando la scelta fu fatta piatto per
piatto. Ben quattro studenti su cinque optavano per il ristorante al quale
andava la propria preferenza dopo il confronto della prima coppia di pietanze.
Quando siamo di fronte ad un
confronto tendiamo a cercare le informazioni che vanno a supportare le nostre
opinioni mentre evitiamo di considerare, o quantomeno a sottovalutare, quelle
che la contrastano. E’ normale, per fare un esempio, che quando abbiamo appena
effettuato l’acquisto di un bene di una certa importanza (un auto, un orologio,
un’abitazione ecc.) non prestiamo
attenzione alla pubblicità dei concorrenti dei beni acquistati e ciò per
evitare che si insinuino in noi indesiderati dubbi sulla nostra scelta.
Alla base di ciò c’è la teoria
della dissonanza cognitiva in base alla quale gli individui agiscono in modo da
evitare incoerenze fra le proprie opinioni e le informazioni che ricevono.
Infatti, le informazioni contrastanti con le proprie convinzioni provocano una
situazione di disagio e gli individui tendono ad evitarla ricercando, nella
maggior parte dei casi, tutte quelle informazioni che confermano l’opinione
iniziale o, in altri casi, ad evitare tali contrasti.
Un interessante esperimento fu
quello di Goetzmann e Peles, del 1997, che chiesero a due gruppi (il primo
costituito da architetti, il secondo da membri di un’associazione di
consumatori) di valutare le performance
del loro portafoglio in termini assoluti e in relazione all’andamento del
mercato . Tra i due gruppi il secondo era ovviamente in possesso di maggiori
informazioni sul mercato e nutriva un maggiore interesse per le questioni
finanziarie.
Il risultato fu che entrambi i
gruppi sopravvalutarono sia le performance dei propri investimenti che il
confronto fra queste ed il mercato. L’ottimismo fu dunque la caratteristica
comune ma la sua gradazione fu percepita in modo diverso. Gli architetti
attribuirono migliori performance sia agli investimenti che al mercato mentre
il secondo gruppo stimò maggiormente positiva la performance dei propri
investimenti ma sottovalutarono quella del mercato, giocando pertanto al
ribasso. Entrambi comunque dimostrarono di avere un’idea distorta del mercato
al fine di rafforzare le proprie decisioni.
Questa distorsione cognitiva ha
parecchie conseguenze.
La prima la ritroviamo nella nostra
stessa vita quotidiana, nelle abituali discussioni fra amici ma anche di
lavoro. Quante volte ci è accaduto di rigettare le contrastanti opinioni altrui
per difendere ad oltranza le nostre? Pensiamo a
quante volte ci è accaduto di non ascoltare i suggerimenti di un amico
come, ad esempio, quello di rivolgersi ad un bravo consulente per un’opinione
alternativa o banalmente a non provare una ben condotta trattoria per non
modificare l’abitudine di cenare al solito ristorante?
In ambito finanziario le
conseguenze possono essere ben più gravi e non toccano solo l’investitore
finale. La tendenza a non mettere in discussione le scelte di investimento
passate ci porta spesso a mantenere in portafoglio asset poco performanti o
troppo rischiosi oppure magari a conservare titoli o fondi che poco hanno a che
vedere con i nostri reali obiettivi. Spesse volte accade, a chi è uso fare da
sé, praticare la mediazione al ribasso, ossia continuare ad acquistare maggiori
quantità di un titolo in caduta al fine di ridurre il prezzo medio di acquisto
nonostante le informazioni negative che dovrebbero indurci ad una più razionale
riflessione sulla sua bontà. Così facendo, come capita spesso di vedere a noi
consulenti, nei portafogli alcuni titoli finiscono per costituire una quota
eccessiva del patrimonio finanziario.
Questo comportamento, così
radicato nella nostra mente, lo ritroviamo altrettanto evidente in quella dei
consulenti e dei promotori; quando si suggeriscono strategie o titoli,
piuttosto che fondi, gli stessi
operatori sono quantomeno convinti della loro bontà ed efficacia ma con il
passare del tempo le cose possono mutare e si dovrebbero rivedere le scelte
passate alla luce di ulteriori informazioni ma scatta spesso il meccanismo appena descritto e si vanno a
cercare invece altre informazioni che corroborano le iniziali convinzioni.
Ecco un’ulteriore osservazione che, a mio giudizio, riveste aspetti di vera e propria
pericolosità per l’investitore.
Supponiamo di essere un
consulente che (in assenza di una valida pianificazione finanziaria) si trova a
proporre a un suo cliente l’investimento in una certa asset class nella
convinzione che ci siano spazi interessanti per l’ottenimento di buone
performance; a questo scopo il consulente va a ricercare una serie di
informazioni che supportano questo suggerimento. A distanza di qualche tempo
altre informazioni porterebbero a dover dubitare di tali convinzioni, che
accade? Se il consulente è ben attrezzato sotto il profilo della psicologia
applicata alla finanza andrà a valutare le nuove informazioni in modo asettico
e razionale, confermando o disconoscendo per il futuro le convinzioni iniziali.
Se il consulente, invece, non è uso
alla valutazione di tali aspetti, quale sarà il suo comportamento? Lo abbiamo
appena visto; eviterà di considerare le nuove informazioni negative a andrà
alla ricerca di altrettante informazioni di segno positivo a supporto delle
convinzioni iniziali. Avete ora una spiegazione razionale, che non ha
niente a che fare con le capacità
tecniche dei vostri consulenti, del perché talvolta si può perdere del denaro
nel campo degli investimenti finanziari.
Un’ultima osservazione
sull’argomento che intende accomunare investitori, consulenti e la comunità stessa degli
operatori del mercato finanziario.
Dopo lo scoppio di ogni bolla
finanziaria si scopre sistematicamente che una serie di informazioni non erano
state prese nella dovuta considerazione dalla maggior parte degli operatori. In
queste occasioni, infatti, il pregiudizio della conferma si unisce all’avidità
(ambedue aspetti molto umani) e passando dallo stadio dell’errore di un singolo
si perviene ad un errore collettivo e condiviso. I danni che ne conseguono li
abbiamo ben visti dall’inizio del secolo ai giorni nostri.
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