giovedì 3 dicembre 2015

PERCHE' TENDIAMO A SOPRAVVALUTARE LE PERFORMANCE DEI NOSTRI INVESTIMENTI ?



Inconsapevolmente tendiamo a sopravvalutare le informazioni che confermano una nostra opinione e a minimizzare, se non addirittura a scartare, quelle che la contrastano.

Alcuni esperimenti confermano questa affermazione. Fu chiesto ad un gruppo di studenti di scegliere fra due ristoranti mediante un confronto fra i loro menu. Quando fu preso in considerazione
il menu completo il gruppo si divise quasi equamente fra l’una e l’altra opzione ma la faccenda mutò quando la scelta fu fatta piatto per piatto. Ben quattro studenti su cinque optavano per il ristorante al quale andava la propria preferenza dopo il confronto della prima coppia di pietanze.

Quando siamo di fronte ad un confronto tendiamo a cercare le informazioni che vanno a supportare le nostre opinioni mentre evitiamo di considerare, o quantomeno a sottovalutare, quelle che la contrastano. E’ normale, per fare un esempio, che quando abbiamo appena effettuato l’acquisto di un bene di una certa importanza (un auto, un orologio, un’abitazione  ecc.) non prestiamo attenzione alla pubblicità dei concorrenti dei beni acquistati e ciò per evitare che si insinuino in noi indesiderati dubbi sulla nostra  scelta.

Alla base di ciò c’è la teoria della dissonanza cognitiva in base alla quale gli individui agiscono in modo da evitare incoerenze fra le proprie opinioni e le informazioni che ricevono. Infatti, le informazioni contrastanti con le proprie convinzioni provocano una situazione di disagio e gli individui tendono ad evitarla ricercando, nella maggior parte dei casi, tutte quelle informazioni che confermano l’opinione iniziale o, in altri casi, ad evitare tali contrasti.

Un interessante esperimento fu quello di Goetzmann e Peles, del 1997, che chiesero a due gruppi (il primo costituito da architetti, il secondo da membri di un’associazione di consumatori)  di valutare le performance del loro portafoglio in termini assoluti e in relazione all’andamento del mercato . Tra i due gruppi il secondo era ovviamente in possesso di maggiori informazioni sul mercato e nutriva un maggiore interesse per le questioni finanziarie.

Il risultato fu che entrambi i gruppi sopravvalutarono sia le performance dei propri investimenti che il confronto fra queste ed il mercato. L’ottimismo fu dunque la caratteristica comune ma la sua gradazione fu percepita in modo diverso. Gli architetti attribuirono migliori performance sia agli investimenti che al mercato mentre il secondo gruppo stimò maggiormente positiva la performance dei propri investimenti ma sottovalutarono quella del mercato, giocando pertanto al ribasso. Entrambi comunque dimostrarono di avere un’idea distorta del mercato al fine di rafforzare le proprie decisioni.

Questa distorsione cognitiva ha parecchie conseguenze.

La prima la ritroviamo nella nostra stessa vita quotidiana, nelle abituali discussioni fra amici ma anche di lavoro. Quante volte ci è accaduto di rigettare le contrastanti opinioni altrui per difendere ad oltranza le nostre? Pensiamo a  quante volte ci è accaduto di non ascoltare i suggerimenti di un amico come, ad esempio, quello di rivolgersi ad un bravo consulente per un’opinione alternativa o banalmente a non provare una ben condotta trattoria per non modificare l’abitudine di cenare al solito ristorante?

In ambito finanziario le conseguenze possono essere ben più gravi e non toccano solo l’investitore finale. La tendenza a non mettere in discussione le scelte di investimento passate ci porta spesso a mantenere in portafoglio asset poco performanti o troppo rischiosi oppure magari a conservare titoli o fondi che poco hanno a che vedere con i nostri reali obiettivi. Spesse volte accade, a chi è uso fare da sé, praticare la mediazione al ribasso, ossia continuare ad acquistare maggiori quantità di un titolo in caduta al fine di ridurre il prezzo medio di acquisto nonostante le informazioni negative che dovrebbero indurci ad una più razionale riflessione sulla sua bontà. Così facendo, come capita spesso di vedere a noi consulenti, nei portafogli alcuni titoli finiscono per costituire una quota eccessiva del patrimonio finanziario.


Questo comportamento, così radicato nella nostra mente, lo ritroviamo altrettanto evidente in quella dei consulenti e dei promotori; quando si suggeriscono strategie o titoli, piuttosto che  fondi, gli stessi operatori sono quantomeno convinti della loro bontà ed efficacia ma con il passare del tempo le cose possono mutare e si dovrebbero rivedere le scelte passate alla luce di ulteriori informazioni ma scatta spesso  il meccanismo appena descritto e si vanno a cercare invece altre informazioni che corroborano le iniziali convinzioni.



Ecco un’ulteriore osservazione che, a mio giudizio, riveste aspetti di vera e propria pericolosità per l’investitore. 

Supponiamo di essere un consulente che (in assenza di una valida pianificazione finanziaria) si trova a proporre a un suo cliente l’investimento in una certa asset class nella convinzione che ci siano spazi interessanti per l’ottenimento di buone performance; a questo scopo il consulente va a ricercare una serie di informazioni che supportano questo suggerimento. A distanza di qualche tempo altre informazioni porterebbero a dover dubitare di tali convinzioni, che accade? Se il consulente è ben attrezzato sotto il profilo della psicologia applicata alla finanza andrà a valutare le nuove informazioni in modo asettico e razionale, confermando o disconoscendo per il futuro le convinzioni iniziali.

Se il consulente, invece, non è uso alla valutazione di tali aspetti, quale sarà il suo comportamento? Lo abbiamo appena visto; eviterà di considerare le nuove informazioni negative a andrà alla ricerca di altrettante informazioni di segno positivo a supporto delle convinzioni iniziali. Avete ora una spiegazione razionale, che non ha niente  a che fare con le capacità tecniche dei vostri consulenti, del perché talvolta si può perdere del denaro nel campo degli investimenti finanziari.

Un’ultima osservazione sull’argomento che intende accomunare investitori, consulenti e la comunità stessa degli operatori del mercato finanziario.

Dopo lo scoppio di ogni bolla finanziaria si scopre sistematicamente che una serie di informazioni non erano state prese nella dovuta considerazione dalla maggior parte degli operatori. In queste occasioni, infatti, il pregiudizio della conferma si unisce all’avidità (ambedue aspetti molto umani) e passando dallo stadio dell’errore di un singolo si perviene ad un errore collettivo e condiviso. I danni che ne conseguono li abbiamo ben visti dall’inizio del secolo ai giorni nostri.

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