Da un punto di vista astrattamente teorico, sia
risparmiare che assicurarsi sono scelte che vengono fatte avendo una prospettiva
che dal presente si proietta nel futuro. Ci sono ovviamente dei casi in cui
l’analogia non tiene: siamo obbligati ad assicurare la nostra auto, e quindi
non abbiamo altra scelta. Inoltre alle volte risparmiamo con una prospettiva
precisa di un futuro consumo o di acquisizione di servizi: non risparmiamo cioè
per il futuro, ma per un fine, per esempio
comprarci un’auto, appena abbiamo
cumulato una cifra sufficiente all’acquisto. Queste però sono eccezioni in
entrambi i settori.
Abbiamo
appena avuto i dati del 2015 circa l’andamento del mondo assicurativo
(Sole24Ore del 27 ottobre, p. 34). Alla luce di questi dati emerge forte la
preponderanza della scelta per il ramo vita, anche nella prima metà del 2015.
Il rapporto tra i premi vita e danni è, su un totale di 77.713 milioni, il
seguente: 61.623 a 16.090. Questi dati insomma mostrano che la prevalenza delle
scelte assicurative è volta a tutelare il capitale umano delle persone, cioè
una fonte di reddito da proteggere rispetto a rischi possibili, anche se al
momento ignoti. Lo stesso vale per il risparmio: due terzi del risparmio
italiano è detenuto da persone di età superiore ai 60 anni, e quindi già in
possesso dei beni o servizi essenziali. Si può così desumere che il risparmio
ha come scopo l’incertezza futura della propria generazione e di figli/nipoti.
Insomma, in entrambi i casi, la maggior parte delle scelte di risparmio e
assicurative viene fatta in scenari analoghi: renderci meno fragili di fronte a
eventi inaspettati, insomma affrontare l’incertezza futura in modo da poterla
controllare meglio e non subirne le conseguenze negative.
Malgrado
questa analogia, e l’evidente affinità per gli aspetti finanziari (dato che in
entrambi i casi vanno investite delle somme di denaro precedentemente risparmiate),
i consulenti che contattano i clienti in vista di questi due tipi di decisione
(sia decisioni già prese sia da prendere), sono per lo più persone diverse.
Spesso fanno capo a una società che, ai vertici, è la stessa. E tuttavia
l’ultimo anello della catena, prima del cliente finale, viene spesso gestito da
due consulenti diversi. Il motivo di questo dualismo viene spiegato da due
discipline: la finanza comportamentale e l’assicurazione comportamentale.
E’ molto differente, sul piano psicologico, convincere un cliente ad acquistare un servizio, cioè una polizza assicurativa, che lo tuteli da un danno o da un evento negativo molto preciso ma imprevedibile, rispetto a convincerlo di affidarci i risparmi che saranno gestiti al meglio, per lo meno rispetto all’adozione di una strategia “fai da te”. In questo secondo caso, vari aspetti della finanza comportamentale spiegano perché il più delle volte il “fai da te” è molto inefficiente. Tale inefficienza emerge sia studiando come funzionano le menti degli individui alle prese con decisioni di risparmio e investimento, sia accorgendosi degli effetti del “fai da te” sul risparmio aggregato degli italiani.
Le scelte
di risparmio degli italiani sono state guidate da una prudenza psicologica e
dalla paura di perdere: si è così preferito quel che è noto, che non ci fa mai
paura, e che non ci crea dolori. Di qui la prevalenza di immobili, titoli a
reddito fisso e titoli in euro. Queste scelte allontanano la paura e danno un
senso di sicurezza: si teme non ciò che è oggettivamente pericoloso, bensì ciò
che è percepito come rischioso (la mancata diversificazione è oggettivamente
pericolosa, ma non è paurosa perché ci permette di concentrarci su un passato
noto e tranquillizzante, tranquillizzante proprio perché noto).
Insomma i
fattori cognitivi studiati dalla finanza comportamentale e un miscuglio di tre
emozioni (la pigrizia, la paura e la superbia: il “fai da te” è il risultato di
un mix di questi tre stati d’animo) spiegano la prevalenza del “fai da te”. L’effetto
composto di questi fattori cognitivi ed emotivi crea oggi grandi opportunità
per l’assicurazione comportamentale.
In primo luogo perché la chiamiamo “assicurazione comportamentale”? Come nel caso della finanza, è opportuno distinguere tale approccio dall’assicurazione “razionale”, quella cioè che viene utilizzata per creare i prodotti assicurativi. Semplificando molto, possiamo dire che l’assicurazione razionale, o classica, è basata sulle frequenze di un dato evento, sulla facilità di individuarlo, sul calcolo della sua diffusione presso una data popolazione, e quindi sulla misura del premio individuale che corrisponde al prezzo pagato dal cliente per difendersi dagli effetti negativi di quell’eventualità.
A fronte
di questa sequenza abbiamo la “assicurazione comportamentale”: la percezione
soggettiva del rischio, il voler evitare mentalmente il rischio, cioè
trascurare la possibilità alla base dell’assicurazione perché paurosa o
comunque negativa, l’over-confidence, cioè un senso di controllo degli eventi
sproporzionato ma soggettivamente fondato, e infine la cosiddetta “illusione
della fine della storia”, cioè ritenere che il futuro ripeta il presente.
Molti dati di realtà mostrano la forza congiunta dei fattori che sono alla base della cosiddetta “assicurazione comportamentale”:
- le Pmi italiane rappresentano il centro nevralgico del sistema-paese ma delle Pmi solo 1 su 7 può contare su una copertura contro gli incendi e 1 su 33 si tutela contro eventuali interruzioni di attività. E tuttavia si stima che circa il 90% delle Pmi che subiscono un fermo più lungo di una settimana rischi di fallire entro un anno.
- Solo l’11 per cento delle persone che lavorano sono coperti con una polizza “Long Term Care” che copre contro i rischi vita, malattia e infortuni.
- Solo il 20% del valore degli immobili detenuti a scopo di risparmio, e quindi assimilabili alle altre forme di risparmio mobiliare (volta cioè a ottenere un rendimento da un capitale investito), è attualmente coperto contro incendio e danni. Questa scelta, probabilmente inconsapevole (e che quindi costituisce un ottimo argomento di vendita), potenzialmente abbassa il valore complessivo di questa rilevante quota del risparmio detenuto dagli italiani.
Di fronte
a questa grande opportunità di mercato, dimostrata anche da un incremento di
più del 10% del settore vita dal 2014 al 2015, si pone impellente una domanda.
Può lo stesso consulente gestire entrambe queste realtà, la finanza
comportamentale e l’assicurazione comportamentale?
Questa è la sfida di oggi. Il mercato retail cresce ed è ovviamente conveniente
coprirne una parte con un unico operatore. E’ conveniente per ovvie ragioni
operative, ma anche perché il rapporto di fiducia che si instaura è unico, e si
può “trasferire” da un settore all’altro. Infine questa strategia si colloca
nella tendenza a una consulenza globale, volta a coprire la sicurezza di tutto
il patrimonio.
C’è poi in Italia uno scenario particolare che rende molto attuale il tema dell’assicurazione comportamentale. Data l’asimmetria negli investimenti del passato, dedicati per due terzi agli immobili, e data la difficoltà nel modificare massicciamente questi investimenti, si pone il problema della conservazione per il passaggio alla nuova generazione: di qui un grande mercato potenziale essendo gli immobili italiani sotto-assicurati per il ramo danni. I cittadini sono anche sotto-assicurati nel ramo vita: questa oggi è una grande opportunità perché va protetto il capitale umano di chi riesce ancora a risparmiare. Sappiamo che le capacità di risparmio sono concentrate in una quota percentuale relativamente ridotta della popolazione italiana, e che quindi tale capitale va protetto.
Vi è infine un terzo aspetto che potrebbe rivelarsi una grande spinta all’assicurazione comportamentale. Si tratta dell’andamento dei mercati finanziari. Sono in corso tre tendenze di fondo: l’aumento della correlazione tra le varie asset class, più volte commentato, e il fatto che su base storica tutte le asset class sono relativamente “care”. E’ dunque diventato più urgente e cruciale assicurare il capitale umano. E’ inoltre divenuta chiara l’incertezza del futuro dei mercati finanziari che attualmente dipendono sempre più dalle decisioni non facilmente prevedibili dei banchieri centrali. Imprevedibili anche per gli economisti, come risulta dalla figura allegata.
La figura mostra che solo 8
delle 28 banche centrali hanno mosso i tassi come previsto all’inizio del 2015
dal panel Bloomberg degli economisti. Fonte: Bloomberg modificata.
Le
decisioni della stessa Fed non sono risultate prevedibili in modo unanime, ma
si sono rivelate molto influenti, come si evince dall’andamento del dollaro in
rapporto alla scelte della Fed.
La figura mostra
l’andamento del dollaro in funzione di quelle che si pensavano fossero le mosse
della Fed.
Fonte: Bloomberg modificata.
Fonte: Bloomberg modificata.
Quando il
dollaro si rinforza troppo, almeno secondo la Fed, basta menzionare questa
possibilità nelle dichiarazioni della Fed per ridurne l’apprezzamento. E questo
non vale solo per la Fed ma anche per la decisione di un nuovo attore presente
sulla scena, la Banca Centrale cinese che, svalutando lo yuan, ha prodotto
effetti a catena.
La figura mostra un altro
esempio del peso delle decisioni delle banche centrali: le decisioni cinesi e
quelle della Fed. Fonte: Bloomberg modificata.
In
conclusione, è tempo di combattere le incertezze, almeno quelle che si possono
controllare assicurandosi. Assicurazione vuol dire sicurezza, anti-fragilità,
prevenzione e controllo dell’incertezza, consulenza globale volta a rendere
anti-fragile non solo il portafoglio, ma i beni del cliente, il patrimonio nel
suo complesso.
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