In questi
giorni si è acceso un dibattito sulla vicenda delle quattro banche italiane in
odore di fallimento e si ha l’impressione che si sia abbattuto un fulmine a
ciel sereno sui risparmiatori che improvvisamente stanno scoprendo che le
banche, come qualsiasi impresa, possono trovarsi in difficoltà tali da rendere
impraticabile la prosecuzione della loro attività esponendosi a procedure
fallimentari.
Ad essere
molto chiari, i fallimenti bancari a livello internazionale non sono certo una
novità ma nel nostro paese le autorità di governo si sono prodigate a più
riprese affinché ciò non si tramutasse in una realtà e questa protezione, un
poco per volta, ha indotto i risparmiatori a pensare che
le istituzioni bancarie godessero di particolari e indiscutibili protezioni, tanto da assopire nel tempo quel senso di disagio nel separarsi dalla propria cartamoneta per affidarla al banchiere di turno, spesse volte scelto esclusivamente per essere ubicato nelle immediate vicinanze dell’abitazione o del posto di lavoro.
le istituzioni bancarie godessero di particolari e indiscutibili protezioni, tanto da assopire nel tempo quel senso di disagio nel separarsi dalla propria cartamoneta per affidarla al banchiere di turno, spesse volte scelto esclusivamente per essere ubicato nelle immediate vicinanze dell’abitazione o del posto di lavoro.
Non ho mai
visto nella mia lunga esperienza professionale un solo risparmiatore che abbia
mai valutato personalmente la solidità della propria banca o l’abbia fatto fare
ad un esperto, né ho mai conosciuto un solo investitore che abbia mai azzardato,
nemmeno lontanamente, l’ipotesi del mancato rimborso degli interessi e del
capitale investiti nelle obbligazioni “della casa”. Non parliamo poi di quei
risparmiatori addirittura felici di essere riusciti ad acquisire lo status di
socio della banca.
Eppure le
regole piano piano sono cambiate, le banche hanno iniziato ad avventurarsi in
investimenti a dir poco azzardati, a finanziare chicchessia per l’acquisto di
un’abitazione, non solo, ma intervenendo anche per finanziarne le spese
accessorie; sono stati aperti sportelli ovunque a prezzi d’affitto
stratosferici nella beata illusione che la finanza potesse moltiplicare
magicamente pani, pesci e banconote.
Poi,
improvvisamente, il sistema si accartocciò su sé stesso e arrivò il fallimento
di una delle maggiori istituzioni finanziarie mondiali di allora - Lehman
Brothers – e di conseguenza le maggiori banche nordamericane ed europee
traballarono al punto che, per evitare il collasso dell’economia mondiale e aprire
il baratro di una depressione pluridecennale, i governi occidentali si fecero
carico del salvataggio del sistema scaricandone i costi sulla collettività,
dilatando il livello del debito pubblico e imponendo ovunque forti inasprimenti
fiscali.
Mi risulta che
anche le massaie, i nonni e gli studenti liceali in quei primi mesi seguirono
con apprensione queste vicende, lessero con regolarità la stampa quotidiana,
guardarono i telegiornali e seguirono con grande attenzione le rubriche
radiofoniche in tema di economia che, con garbo e magari con troppa delicatezza,
evidenziarono che quegli interventi erano straordinari, che il sistema
finanziario mondiale doveva curare i propri mali e che non era giusto far
pagare ai cittadini le colpe degli amministratori e dei consiglieri delle
banche. Mai più si disse. Correggiamo il sistema e che d’ora in avanti corra
con le proprie gambe.
Dunque tutti
sapevano ma un poco alla volta la memoria si offusca, si ricade nelle
abitudini, si allentano le difese e, con i rendimenti sempre più magri, si
inizia l’affannosa ricerca del tasso migliore. Le banche continuano a non
fidarsi fra loro e non si prestano l’un l’altro il denaro ma i risparmiatori
continuano a fidarsi delle loro banche, tanto non falliscono mai.
L’Europa, infine,
impone regole severe, i giornali ne
parlano, ma la possibilità che le banche possano fallire scivola via, come una
goccia di pioggia sulla superficie dell’ombrello. Il bail-in, ma quando mai, da
noi?
Perché no, caro risparmiatore? Se non lo sai
ancora, dal prossimo anno quello che è appena accaduto potrà accadere di nuovo
ma con l’aggravio che saranno comprese anche le obbligazioni “senior” e i
depositi superiori ai 100.000 euro.
Lo sai, caro risparmiatore che per coprire il
buco di queste banche, peraltro di dimensioni medio-piccole, si è utilizzato
l’intero accantonamento programmato del Fondo di Risoluzione fino al 2018? Lo
sai che il Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi su cui tanto conti per la
salvaguardia delle tue giacenze di conto corrente presentava risorse
disponibili per interventi pari a soli 2 miliardi di euro (a fine 2014) a fonte
di ben 508 miliardi di depositi (a cui vanno sottratti 140 per giacenze
superiori ai 100.000 Euro per depositante), il che significa coprire solamente lo
0,5% della liquidità potenzialmente a rischio default?
Ora il problema è sotto gli occhi di tutti, anche
dei più ingenui; occhi finalmente aperti per capire non solo che cos’è accaduto
ma cosa accadrà ancora domani e ancora e ancora, sino a che il sistema non sarà
messo in grado di funzionare a dovere, quando le regole saranno severe e
saranno fatte rispettare, quando saranno chiare le responsabilità di ciascuno,
che sia il direttore della filiale che suggerisce questo o quell’altro titolo
ma anche dell’acquirente che dovrebbe comprendere, prima del numero percentuale
- che altro non è che il valore cedolare di un titolo e non il suo rendimento
effettivo - quale rischio si sta assumendo. A meno che …
A meno che,
consapevole di non essere in grado di comprendere le regole e le trappole della
finanza o di non essere più in grado di farlo data la complessità della
materia, consapevole che la gestione del suo patrimonio resta una necessità per
non incorrere in spiacevoli sorprese, consapevole che l’incuria in questa
materia è un atto di irresponsabilità verso i propri familiari non decida di
rivolgersi ad un esperto per la tutela del proprio patrimonio e il
raggiungimento dei propri obiettivi di investimento.
La stessa
Consob ha invitato a più riprese i risparmiatori indicando loro che la miglior
tutela per un risparmiatore passa attraverso la professionalità di un buon
consulente. Val la pena di rischiare nel voler fare da soli o affidarsi a
qualcuno che, lo stiamo toccando con mano in questi giorni, è manifestamente in
conflitto con i nostri interessi di investitori?
Ah,
dimenticavo, i nostri legislatori ci stanno per confondere le idee ancora una
volta. Lo sapevate cari risparmiatori, che è in corso di approvazione la
revisione dell’albo della consulenza che metterà formalmente sullo stesso piano
venditori e consulenti, addetti agli uffici postali e operatori professionali,
operatori singoli e società ben organizzate?
Forse il
problema non è solo del fallimento (potenziale) delle banche ma è, al momento,
quello di un intero sistema finanziario che non vuole trasformarsi e crescere, concentrato
sulle utilità immediate ed abbondanti e restio a convergere sulla clientela le
migliori attenzioni.
Buon per me
che ne sono fuori, avendo anticipato i tempi e operando in quella che oggi è,
per certi versi, una terra di frontiera, dove la qualità e la professionalità
si uniscono per garantire ai nostri clienti, risparmiatori forse più
consapevoli della media, un’operatività che li tuteli dagli appetiti e
dall’ingordigia altrui, che stabilisca di comune accordo gli obiettivi e le
linee operative, che verifica e controlla sistematicamente la rischiosità di
ogni singola componente del portafoglio ed il portafoglio nel suo insieme e se
ne rende responsabile.
Questo fa
Banca Consulia, tramite i suoi professionisti.
E ora vengo
all’informazione che doverosamente devo alla nostra Clientela e che risponde ad
una precisa domanda: “Ma Banca Consulia, banca di consulenza per vocazione, non
certo banca di imponenti dimensioni operando in termini qualitativi e non
quantitativi, è possibile che fallisca?”
Stabilito che
la possibilità teorica vale per tutti, nessuno escluso, e stabilito che nella
gestione degli asset della clientela sono valutati anche questi aspetti,
qualsiasi sia lo strumento utilizzato e la controparte negoziale, posso
rispondere con serenità evidenziando il fattore che oggettivamente dà una
misura della capacità di far fronte ai rischi insiti nell’attività bancaria.
Questo
indicatore si chiama Core Equity Tier 1 Ratio (CET 1, per
gli addetti ai lavori) ed è un indicatore introdotto dalla normativa di Basilea
3 che misura la possibilità di effettuare investimenti ponderati per il rischio
(per cui calcolati e misurabili) superiori a una certa quantità rispetto al
capitale proprio. La misura minima accettabile di questo indicatore è ora pari al
10%.
Di seguito la
tabella che indica, banca per banca, la misura più aggiornata di questo
indicatore e ognuno potrà verificarne l’affidabilità della propria. Per quanto
riguarda la domanda precedentemente posta, Banca Consulia si trova nella fascia
più alta delle banche analizzate (purtroppo non tutte erano disponibili) a
conferma della lungimiranza del management che in questi mesi non solo l’ha
resa una banca totalmente indipendente ma ha anche responsabilmente provveduto
ad aumentarne i mezzi patrimoniali al fine di offrire le più ampie garanzie
alla propria clientela.
TABELLA AGGIORNATA DEL “CORE EQUITY TIER 1 RATIO”
DELLE PRINCIPALI
BANCHE ITALIANE
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