Come si è
già visto, nel paradigma classico del comportamento umano, quello
dell’assunzione di razionalità economica che si rifà a Adam Smith, le perdite
compensano i guadagni.
Ne consegue che le persone
dovrebbero esaminare l’andamento complessivo del portafoglio, e non l’andamento
delle singole componenti del portafoglio stesso, ciascuna separata dalle altre.
In questo modo una perdita sarebbe compensata da un guadagno di pari entità,
come vuole la concezione tradizionale del rischio. Questo è dimostrato dal
fatto che le misure tradizionali del rischio tengono presente la volatilità,
cioè l’ampiezza delle oscillazioni, indipendentemente dal loro verso. Se però
una perdita ci fa soffrire e impaurire più di quanto non ci soddisfi un
guadagno di pari entità, allora siamo costituzionalmente inadatti a seguire
l’andamento di un portafoglio gestito alla Markowitz, per lo meno quello di
nostra proprietà.
Possiamo trovare un’analogia con
degli esseri anziani, lenti e prudenti, come le tartarughe, che proprio a causa
della loro esperienza e cautela, riducono involontariamente con il “fai da te”,
applicato ai loro risparmi, la possibilità di trarre guadagno dai loro
investimenti.
Due tartarughe, lente e prudenti, hanno i risparmi
allocati in modi così cauti da poterne ricavare solo profitti risicati, e
stupefacenti nel loro ridimensionamento, in epoche, come la nostra, di tassi al
lumicino. Fonte: Economist modificata.
Questo ridursi dei possibili
profitti è riconducibile al divario tra la concezione del rischio come
volatilità incorporata nel paradigma neoclassico, e il vissuto asimmetrico
delle persone, dove le perdite non sono psicologicamente pareggiate da
equivalenti guadagni. Purtroppo il vissuto di tale asimmetria è accentuato
dalla lunghezza dei tempi delle oscillazioni, cioè dei ritorni verso la media.
Se queste oscillazioni fossero tutte di breve durata, basterebbe aspettare
pochi giorni per veder superate le perdite. Purtroppo la percezione di perdite
o guadagni dipende dall’arco temporale considerato. Per esempio, nella seguente
figura, si vede il valore reale del dollaro negli ultimi quarant’anni. Se il
vostro orizzonte fosse ipoteticamente così lungo, il dollaro sarebbe una valuta
che ha perso valore. E tuttavia, se si considerano periodi più vicini al modo
di funzionare della mente umana, e cioè un quinquennio, allora è facile
mostrare che forti discese si alternano ad altrettanto repentine salite. Se poi
scendiamo dagli anni a periodi di poche settimane, l’andamento è ancora più
erratico.
Questo stato di cose ci nasconde le
tendenze a medio, lungo e lunghissimo termine, quelle più rilevanti per il
nostro portafoglio. Di conseguenza l’entità delle sofferenze per le perdite
dipende da quanto spesso controllate l’andamento delle varie fette di cui si compone
il portafoglio, e il portafoglio nel suo complesso.
Valore reale del dollaro dal 1973. Se continua la
salita del dollaro secondo l’andamento indicato in figura, essa dovrebbe
fermarsi all’altezza del rettangolo blu. Fonte Bloomberg modificata.
Lo stesso meccanismo legato al tempo
si può analizzare in relazione a un indice rilevante come lo S&P500. In
occasione dei rialzi dei tassi abbiamo mediamente avuto una discesa dell’indice
che poi si è ripreso.
Questa figura rappresenta la media dell’andamento
dello S&P 500 in occasione dei sei ultimi rialzi dei tassi (retta blu in
corrispondenza dello 0). La ripresa dell’indice S&P500 dopo un rialzo dei
tassi segue, per solito e in media, a una temporanea discesa dell’indice.
(Fonte Bloomberg modificata).
Abbiamo purtroppo spesso gli effetti
psicologici della congiunzione di due meccanismi: asimmetria tra perdite e
guadagni con avversione alle perdite, e tempi corti di esame dello stato del
nostro portafoglio. Una combinazione micidiale che conduce a quella che Richard
Thaler ha chiamato “myopic loss aversion”. Si tratta di un’avversione alle
perdite accentuata dalla diffusa miopia, cioè dalla tendenza a guardare le cose
troppo da vicino, o, più precisamente, troppo spesso nel tempo. Immaginate di
essere su una torre e di guardare i mercati da diverse altezze: quanto più alto
è il punto di osservazione, tanto più nel panorama le oscillazioni si smussano.
Se, insomma, fossimo presbiti, avremmo un punto di osservazione alto e lontano,
e ci accorgeremmo che quei portafogli che oscillano, con anche perdite
temporanee e parziali, spesso sono quelli che, alla lunga, crescono di più.
Come superare la nostra naturale e spontanea miopia? Ancora una volta il consulente può compensare questa questo limite cognitivo dei clienti lasciati soli con un rapporto di attaccamento al cliente.
Il consulente deve riuscire a far
sentire al cliente che le perdite nei portafogli altrui gli importano, e che,
al limite, fanno altrettanto male a lui che al cliente. Quando abbiamo un legame
con una persona, siamo preoccupati da ciò che le causa dolore più di quanto non
si sia attenti a quel che causa dolore a noi. Questo è esattamente il
meccanismo che ribalta l’avversione alle perdite: avversione alle perdite
altrui, e tolleranza per le nostre. Se il cliente sente questo, allora sarà
incline ad assumere una prospettiva temporale più lunga. Quando c’è un legame
affettivo tra due persone, questo non è regolato soltanto dagli effetti dai
computi, da un bilancio tra profitti e perdite di corto respiro. Solo in questo
modo il cliente potrà superare l’avversione miope alle perdite. Un legame di
attaccamento tra lui e il consulente gli permette di indossare degli occhiali
da presbite, rendendo più facile il lavoro del consulente.
Questo legame di attaccamento impedisce anche una strategia “a gregge”, tale
per cui si compra quando gli altri comprano, e si vende quando gli altri
vendono, creando grande volatilità. Sui tempi lunghi, invece sono i valori
reali, e non le mode temporanee indotte dal “gregge”, a muovere stabilmente i
mercati.
La figura mostra due cose. A sinistra l’accentuarsi
dell’adesione a una data strategia (long vs. short) e, a destra, come, al crescere delle politiche di
QE (quantitative easing) cresca anche la tendenza a muoversi in gregge, secondo
l’indice di “gregarietà” indicato nella figura di destra con la linea blu,
mentre quella rossa mostra l’entità del QE globale. Fonte: Economist modificata.
L’effetto gregge impedisce una buona
diversificazione e induce a comprare caro perché tendiamo a imitare gli altri.
Nel seguente schema sono graficamente chiare le due strategie, quella normale,
in cui i prezzi si auto-correggono, e quella gregaria in cui si prezzi si
auto-alimentano per i comportamenti imitativi.
La figura mostra le due strategie, quella normale a
sinistra, in cui i prezzi si auto-correggono ciclicamente in funzione di flussi
di entrata/uscita e di prezzi su e giù (e di rendimenti su e giù), e quella
gregaria, in cui si prezzi si auto-alimentano a dismisura per i comportamenti
imitativi in assenza di autocorrezioni. Fonte: Economist modificata.
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