sabato 26 gennaio 2013

Laboratorio Swiss & Global - Lezione N. 19 – I tempi lunghi sono dis-umani: arduo tenerne conto


I dati di questo nuovo secolo sono ben diversi da quelli medi rilevati nel lungo passato descritto dalla Fig. 4 della lezione uscita giovedì scorso. In Fig. 4 si constata direttamente l’entità del premio al rischio associato alle azioni rispetto a obbligazioni e titoli di stato. Ricordo come,  in Fig. 4, l’Italia risalga molte posizioni dall’ultimo posto, in cui era finita in Fig. 2 e 3 (Cfr. precedenti lezioni), perché le obbligazioni hanno avuto nel nostro paese rendimenti negativi. Di questo i risparmiatori non hanno avuto per anni piena consapevolezza, data la difficoltà a ragionare in prezzi reali in luogo di prezzi nominali (torneremo su questo punto). I titoli di stato al 18% piacevano, anche se l’inflazione era al 20%. Erano quindi preferiti alle azioni, sorprendentemente dal punto di vista della razionalità economica. L’Italia in passato è stata caratterizzata da un cospicuo premio al rischio, cioè una forte convenienza delle azioni su obbligazioni e titoli di stato. Questa convenienza è sfuggita ai più: risulta facilmente comprensibile la soddisfazione di un rendimento nominale del 18% dei Bot, trascurando il peso dell’inflazione.

Ricordo che, molti anni fa, cercai di esemplificare questo meccanismo (che gli esperti chiamano illusione monetaria, termine coniato da Keynes, e da lui discusso a lungo) a un importante dirigente. Questi era responsabile di una banca che aveva uffici in più di venti paesi. In uno di questi paesi, l’inflazione è del 15% annuo. In un altro paese del 2%.

“Immagina – gli dissi – due impiegati. Entrambi lavorano come apprendisti in una filiale di due paesi in cui il tasso d’inflazione è diverso. Entrambi hanno uno stipendio iniziale di mille euro. Dopo un anno soddisfacente, sono assunti definitivamente con un aumento, rispettivamente del 2%, dove l’inflazione è del 2%, e del 15% dove l’inflazione è del 15%. Quale dei due sarà più contento? L’impiegato il cui stipendio passa da 1.000 euro a 1.020 euro? O l’impiegato il cui stipendio passa da 1.000 euro a 1.150 euro?”

Intuitivamente il secondo, anche se l’aumento reale, in termini d’incremento percentuale del reale potere d’acquisto, è il medesimo. Lo stesso vale per i titoli di stato: piacevano di più quelli di una volta con un rendimento del 18% che non quelli analoghi di oggi con un rendimento del 4%, anche se nel primo caso non coprivano l’inflazione, mentre oggi quelli al 4% la pareggiano ampiamente.

Ora, anche su tempi meno secolari di quelli della Fig. 4, considerando l’indice Comit di quando io avevo 35 anni (e cominciai sistematicamente a risparmiare, per la prima volta in vita mia, non con uno scopo prossimo e definito, come l’acquisto di un’auto o una vacanza, ma in vista di un futuro indeterminato), troviamo al 22 dicembre del 2012, esattamente 35 anni dopo, un incremento di 47,5 volte, con un rendimento medio annuo dell’11,7% al lordo delle imposte e del costo bancario di mantenimento del portafoglio (entrambi in passato modesti). E’ stata così ampiamente superata l’inflazione media di questi 35 anni, pari al 5,7% annuo.

Come osserva Marco Liera (IlSole24Ore del 23.12.2012), un risultato come questo può essere ottenuto alle seguenti condizioni:
1)      comprare l’indice della borsa e non singoli titoli, diversificando così il portafoglio sulla base della capitalizzazione delle diverse azioni presenti nell’indice Comit;
2)      reinvestire i dividendi;
3)      restare indifferenti a boom e crolli delle quotazioni.

L’ultima è la condizione più difficile da ottemperare. Se le discese non ci facessero molto più male delle salite, come dimostra la funzione di Kahneman, essere indifferenti alle perdite temporanee e puntare sui tempi lunghi non dovrebbe essere così difficile. Purtroppo questa è una caratteristica della mente degli uomini, e persino di quella delle nostre cugine scimmie, come ho dimostrato nel libro I soldi in testa.

“… il mio sogno era lo sviluppo di una macroeconomia comportamentale coerente con lo spirito originario della Teoria Generale di John Maynard Keynes (1936).
La dottrina macroeconomica non avrebbe più sofferto delle conseguenze di soluzioni di breve termine come le sintesi neoclassiche, che avevano ignorato l’enfasi posta nella Teoria Generale sul ruolo di fattori psicologici come i bias cognitivi, la reciprocità la correttezza, l’effetto gregge o sociologici come lo status sociale.
Il mi sogno era rafforzare la teoria macroeconomica incorporando gli assunti finali affinati dall’osservazione di questi comportamenti”
(George Akerlof, 2002)


La Fig. 2 è contenuta nella lezione N. 14 del 29/12/2012
La Fig. 3 è contenuta nella lezione N. 17 del 10/1/2013
La Fig. 4 è contenuta nella lezione N. 18 del 15/1/2013

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