sabato 29 dicembre 2012

Laboratorio Swiss & Global - Lezione N. 15 – Le lunghe serie storiche ci illudono. L’antifragilità di Taleb.


Alla fine della lezione precedente, la n. 14, avevo citato l’ultimo libro di Nassim Taleb, Antifragile, appena pubblicato da Random House. E l’avevo citato parlando delle tecniche volte a prevedere “il peggior scenario possibile”, a partire dalla serie storica delle criticità del passato (è press’a poco quello che fanno le banche quando elaborano i cosiddetti stress test). Se noi esaminiamo lunghe serie storiche, e le rappresentiamo in grafici come quello della Fig. 2 (lezione 14) compiamo un’operazione statisticamente corretta, ma indirettamente possiamo contribuire a ingannare il lettore-risparmiatore, e il consulente che lo assiste. E lo inganniamo perché gli lasciamo credere  che quella regolarità si traduca in una regola, cioè qualcosa su cui può contare invariabilmente (per esempio nello scegliere la strategia di allocazione dei risparmi, cioè nel mix azioni-obbligazioni-immobili). Questi grafici mostrano, al contrario, una regolarità che – se esaminata su tempi consoni alla durata della nostra vita, e persino di quella dei risparmiatori meno impazienti e più saggi – è continuamente violata.
Se così non fosse, i mercati non ci darebbero sorprese, e noi non avremmo mai paura di quel che ci può riservare il futuro. E invece il mondo della finanza è continuamente sorprendente. Succedono cose non previste dagli esperti o, almeno, non prevedibili in quei termini e con le dimensioni in cui poi capitano. La crisi recente ci ha reso familiari con questo stato di cose.
Qual è la ricetta per farvi fronte? Secondo Nassim Taleb, il nostro vocabolario quotidiano ci fornisce due concetti, quello di fragilità e quello di robustezza, che è poi il contrario di fragilità: le cose robuste non si rompono, sono infrangibili. E tuttavia le cose robuste si limitano a resistere, aspettando tempi migliori. Sono simili al corpo dell’antico re Mitridate, che prendeva un po’ di veleno ogni giorno, per diventare invulnerabile agli avvelenamenti. Quando facciamo così, conosciamo all’incirca la natura dell’imprevedibile e ci attrezziamo per farvi fronte prevenendolo, e rendendo corpo e mente più robusti. Purtroppo oggi i sistemi economici e finanziari ci mettono di fronte a incertezze e non a rischi, e all’impossibilità di calcolare l’entità dei possibili guai del futuro a partire da quelli del passato.
I sistemi anti-fragili, invece, si nutrono delle sorprese, le incorporano dopo che sono capitate, imparano da esse, si modificano diventando così sempre più anti-fragili.
Da un punto di vista teorico generale, il concetto di antifragilità non è poi così nuovo. Ci si rifà all’antica massima di Charles Darwin: “Chi sopravvive meglio non è il più intelligente, non è il più robusto, ma chi si adatta meglio ai cambiamenti”. La differenza è che nell’evoluzione darwiniana questo processo è nascosto, perché avviene su tempi plurimillenari. Taleb invece cerca di convincerci a ispirare a questo principio le nostre vite.
Taleb ci invita a stabilire la quota di risparmi che ci possono servire, nello scenario più negativo possibile, e separarla, differenziandola, dalla quota dedicata alle future generazioni. I primi devono essere messi in strumenti super-sicuri, con i secondi, invece, (in genere sono una fetta molto inferiore, se non per i super-ricchi) possiamo prendere rischi fidandoci delle serie storiche come quelle della Fig. 2.
In conclusione, non un singolo portafoglio, in cui è distribuito il “nostro” livello di rischio, ma una torta fatta di due fette molto diverse. Non è un consiglio nuovo. E’ esattamente quello che hanno spiegato con dovizia di dati Bodie e Taqu (Risk less and prosper, Wiley 2012, cap. 5), ricordando che i tempi lunghi della superiorità indubbia delle azioni sono troppo lunghi per la maggioranza degli umani. A parte la Grande Depressione, spesso paragonata alla nostra crisi attuale, “se avessimo comprato l’indice statunitense nel 1965, ci sarebbero voluti 18 anni prima di vedere un rendimento reale positivo, e alla fine del 2010 abbiamo terminato un ventennio in cui il rendimento reale medio è stato del 4%” (e non quello della Fig.2).
I consigli diventano meno scontati quando Taleb cerca di convincerci a impostare la nostra vita secondo l’antifragilità. Non si tratta solo di fare una vita frugale, imparando ad avere bisogno di poco. Dobbiamo inoltre scegliere i lavori e utilizzare il tempo libero adottando precetti volti a garantire la nostra anti-fragilità. Ad esempio il posto fisso è fragile, perché dipende da un solo datore di lavoro. Lavori come il taxista, l’artigiano, il consulente, la donna di servizio sono anti-fragili, perché non dipendono da un solo datore di lavoro, che può fallire e licenziarci. Insomma dipendono da noi, e non dall’esterno. Il tempo libero dedicato ai libri e alla cultura è anti-fragile, mentre quello dedicato ai consumi o al turismo è vulnerabile, e così via (la ricetta si applica a diete, medicine, salute, sistemi politici, e quant’altro).
Più in generale, le persone che non risparmiano sono fragili, quelle frugali non lo sono, e diventano col tempo abbienti.
Sul Sole24Ore (2 dicembre, p. 12), Fabrizio Gallimberti risponde a una lettera di Luca martello. Il lettore gli scrive:
“Lavorando in banca da decenni, ho potuto farmi un’idea su come si evolvono nel tempo i patrimoni familiari. La mia conclusione è che i poveri rimangono poveri perché non vogliono risparmiare. E’ come se il povero avesse paura di morire, senza aver utilizzato tutto ciò che ha guadagnato, giorno per giorno … per i poveri le ricchezze si disperdono come acqua nel deserto”.
Risponde Galimberti: “Lei dice: i poveri sono tali perché non risparmiano, non perché non hanno voglia di lavorare … ma ci sono abbastanza casi di gente che ha cominciato povera e si è fatta ricca, per concludere che l’importante è la massima eguaglianza dei punti di partenza.”
Una recente e ingegnosa ricerca di Shah, Mullainathan e Shafir (Science, 2 novembre 2012) ha creato condizioni sperimentali di ricchezza e povertà. Gli autori hanno cambiato il budget di “punti” destinato a chi partecipava a un gioco difficile che richiedeva l’uso di questi punti. I risultati interessanti sembrano dare ragione a Luca Martello. Si è scoperto che coloro che decidono in condizioni di “povertà” si concentrano sulle scelte immediate, dato il loro limitato margine di manovra, trascurando una prospettiva a lungo termine: “i poveri risparmiano, ma per uno scopo specifico, non fanno risparmi fini a sé stessi” (p.684). Taleb direbbe che chi si comporta così è fragile. Chi invece costruisce margini di manovra, con anche piccoli risparmi, ma aspecifici, è antifragile.
Non sempre la percezione di ciò che è antifragile è corretta. Gli italiani hanno due terzi dei risparmi investiti in immobili, e questa percentuale supera l’80% per gli ultra sessantenni (Dalla Zuanna e Weber. Cose da non credere, Laterza 2011). Lo hanno fatto per difendersi da eventuali circostanze avverse. Eppure un immobile per definizione, non si può spostare, non è facile da vendere, non se ne conosce il prezzo esatto, è costoso da mantenere. Ciononostante, per l’italiano medio, che si basa sulle sue personali esperienze storiche, era l’emblema dell’antifragilità. Il fondo sovrano norvegese, il più ricco del mondo con un patrimonio di $ 660miliardi, possiede lo 0,3% in immobili, 60,3% in azioni e 39,4% in obbligazioni (1.12.2012, dbanerjee2@bloomberg.net). Ora progetta d’arrivare, col tempo, fino a quasi il 5% in immobili e, di questi, possedere l’1,7% negli Stati Uniti. La Norges Bank, che gestisce il fondo norvegese, deve solo pensare alle future generazioni.

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