domenica 3 dicembre 2017

Laboratorio GAM - Lezione N. 245 – Strategie e tattiche per comunicare i costi della consulenza


 
Tattiche e strategie di comunicazione
 
E’ difficile pronunciarsi in termini generali sulla strategia specifica di comunicazione dei prezzi per uno specifico cliente in determinate circostanze e
alla luce dei rapporti con quel cliente. Credo però che il consulente debba aver presente alcuni principi generali di cui si avvarrà di volta in volta con il tatto del caso:
 
1. Costi comunicati e attribuiti al cliente in blocco, oppure costi parcellizzati e attribuiti alle diverse funzioni della consulenza.
Se un cliente è oramai consolidato, legato da un lungo rapporto di fiducia, il costo della consulenza può venire presentato in blocco, oppure scadenzato con una logica particolare e personalizzata, in base agli stili e alle frequenze di contatto. Se invece il cliente è nuovo, è bene giustificare il costo riconducendolo a varie voci articolate, dettagliate e ricorrenti nel tempo.
 
2.  Scadenze nel tempo
Il costo della consulenza può essere diluito nel tempo, quasi fosse una cedola bimestrale o trimestrale. In tal caso il costo diventa una consuetudine. Va valutato quanto diluirlo per tempo e quanto e come spalmarlo nelle varie voci. Non sempre è bene legarlo al numero di visite perché i dati mostrano che queste possono diradarsi via via che si consolida un rapporto.
 
3. Costo più ancorato alle attività di gestione del patrimonio o collegato al rapporto più ampio con il cliente.
Il consulente può presentarsi più come un tecnico, un esperto della gestione, oppure come una persona di fiducia che cura tutti gli aspetti della vita familiare. Suppongo che questo dipenda dal perimetro della consulenza: se, per esempio, si affrontano i temi della assicurazione comportamentale o del passaggio generazionale, il consulente è più centrato su un’assistenza globale e fiduciaria, al di là della gestione tecnica del patrimonio.
 
4.  Confronto tra i costi di più consulenti di un singolo cliente
Poniamo che il cliente abbia più di un consulente. In tal caso potrebbe emergere spontaneo il confronto dei costi presso i diversi consulenti. In queste situazioni, forse, è opportuno non innescare un confronto diretto tra i costi dei vari consulenti, bensì una strategia a lungo termine volta a cercare di non cadere in questa trappola del confronto tra i costi dei diversi consulenti. Il tentativo deve essere quello di potersi presentare con il profilo più ampio ed esteso del “consulente di famiglia”, un aiuto “sartoriale” che copre aree di assistenza fiduciaria, non strettamente legate alla gestione tecnica del patrimonio grazie a un rapporto di amicizia/fiducia reciproca. Tale rapporto previlegiato non può essere intrattenuto con più consulenti.
 
5.  C’è un momento in cui la consulenza finisce? In cui il patrimonio è assestato e si potrà procedere senza consulenza? Il cliente avrà sempre bisogno delle conoscenze e della cura del consulente?
Molte volte abbiamo avvicinato la consulenza a una forma di apprendimento o a una sorta di terapia. Se si trattasse di imparare qualcosa, poniamo i rudimenti della finanza classica e comportamentale, potremmo supporre che la consulenza avrà un termine quando il cliente sarà in grado di padroneggiare questi saperi e di applicarli a se stesso e al proprio patrimonio. Se fosse una forma di terapia, potremmo supporre che la consulenza dovrebbe finire quando il cliente sarà “guarito”, si sarà cioè liberato dei bias emotivi e cognitivi che lo portano fuori strada. Ma la consulenza non è né apprendimento né terapia.
 
La consulenza è un continuo affrontare – grazie ad alcune conoscenze teoriche e applicate, cioè alcune pratiche - il cambiamento e le incertezze del mondo. Via via che sappiamo più cose del mondo, che si allarga il cerchio delle conoscenze, si amplia anche la circonferenza del cerchio, e cioè il confine tra quello che sappiamo e quello che non sappiamo, cioè tra sapere e ignoranza. L’ampliarsi del cerchio si accompagna all’ampliarsi della circonferenza. In altre parole, se la consulenza consiste nel rendere il cliente ed il suo patrimonio meno vulnerabili, via via che si amplia l’area della non-vulnerabilità, si amplia anche l’area delle incertezze che provocano la nostra vulnerabilità.
 
Per questo motivo la consulenza, a differenza della terapia e della scuola non finisce mai. Svariati sono i modi con cui si può mostrare che la consulenza non può e non deve finire mai. Farò un esempio attuale. Immaginate di avere due clienti: uno è prudente e l’altro lo è meno. Voi costruite un portafoglio “Risk Off” per il prudente. E’ un portafoglio fatto di Yen, oro e titoli del tesoro americano: è sempre salito di valore nei momenti di crisi. Per il risparmiatore meno prudente e più a lungo termine fate un portafoglio “Risk On”, composto di azioni, materie prime, e DXY (US dollar index).
 
Nel settembre del 2017 i rendimento dei due portafogli è equivalente, come si vede in figura. Nella figura si vede anche che quelli che sono storicamente dei “punti di svolta”, cioè i momenti in cui i due portafogli, dopo essersi toccati, divergono essendo stata superata una crisi. Ecco uno dei tanti validi motivi per cui abbiamo bisogno di un consulente: come ho già detto, ci segnala i punti di svolta.
 
 
La figura mostra i rendimenti di due portafogli, uno “Risk On” e uno “Risk off” nei momenti di crisi e dopo le crisi. Quando i rendimenti dei due portafogli si equivalgono, negli ultimi venti anni, siamo di fronte a un punto di svolta. Nell’autunno del 2017 i rendimenti dei due portafogli si equivalgono. Fonte: Bloomberg.
Legenda: Index Portfolio Return = 25% * return of MSCI Index + 25% * return of CRY Index +25% * return of DXY Index +25% * Global Aggregate Bond Index. Risk-off Portfolio = 33% * return of JPY + 33% * return of Gold + 33% * return of Treasury Index. Returns shown are six-month average of annual average.
 
In conclusione, a stretto rigore, il “fai-da-te” dell’italiano medio non è sintomo di ignoranza, ma semplicemente la manifestazione di forme di superbia e di errori conseguenti a ignoranza. Una volta rimediato all’errore, diventiamo finalmente consapevoli di quanto il mondo sia incerto e ci rendiamo conto dell’utilità di un aiuto su molti piani, personali e patrimoniali.
 



Via via che il cerchio delle conoscenze/conseguenze si allarga, si amplia anche la sua circonferenza che separa il cerchio dallo sfondo dell’ignoranza e della vulnerabilità. Più cose sappiamo, più ci rendiamo conto di essere vulnerabili.

Abbiamo appena detto che un consulente “globale” rende il cliente meno vulnerabile ai casi della vita. Non lo può rendere invulnerabile, perché l’invulnerabilità non è di questa terra, dato che non può mai essere raggiunta in modo definitivo e certo. Però il fatto che un consulente non possa rendere invulnerabile un cliente a fronte delle incertezze del mondo, non vuol dire che non lo possa rendere meno vulnerabile.

Credo che, essenzialmente, la consulenza si giustifichi in termini di vulnerabilità e di vulnerabilità percepita (percepita in modo illusorio dal “fai da te”). Purtroppo il termine “vulnerabilità”, e i concetti relativi, non sono familiari e, nelle prossime lezioni, cercherò di presentare una sorta di “alfabeto della vulnerabilità”, o, meglio della “anti-vulnerabilità”.

Se in effetti, sui tempi lunghi (e visti i cambiamenti indotti dalla Mifid2), la consulenza sarà sempre più estesa a tutto il cerchio degli affetti e programmata sui tempi lunghi, allora ritengo che in futuro un buon consulente debba capire a fondo l’ambito delle sue funzioni. E per capire tale ambito, è bene analizzare che cosa significa nel mondo contemporaneo essere vulnerabili, illudersi di essere invulnerabili (la invulnerabilità percepita), e, infine, attrezzarsi per l’anti-vulnerabilità, raggiungendo, grazie a un consulente, gli obiettivi di riduzione della vulnerabilità. Tutti temi che affronteremo nelle prossime lezioni dedicate a un ”alfabeto dell’anti-vulnerabilità”.

 


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