A UN MESE DALLA FINE DELL’ANNO LE BORSE TIRANO
(MA NON TUTTE) IL FRENO A MANO
Nell’ultimo report, a metà del mese di
novembre, ci eravamo posti la questione se i mercati non si stessero
posizionando in direzione di una presa di beneficio, relativamente alla
componente azionaria, sulla scorta dei forti apprezzamenti che hanno
caratterizzato – sino ad ora – questo 2017, inizialmente tanto temuto.
Come si può ben vedere, salvo gelate
dell’ultimo momento, sotto l’albero di Natale ci stanno rendimenti molto
apprezzabili, primo fra tutti quello della borsa di Hong Kong che sta
consolidando un rialzo di oltre il 30%. Effetto bollicine pure per il Nasdaq e
la borsa indiana, ambedue sopra il 20%, ma in forte apprezzamento anche gli
indici del Brasile, del Giappone e lo statunitense S&P 500, caratterizzati
da apprezzamenti superiori al 15%.
Nei prossimi giorni lo sapremo ma una cosa è
certa, ed è che l’euro forte sta penalizzando, in termini comparativi, gli
esportatori europei e pertanto fatturati e utili potrebbero essere meno
brillanti nei prossimi mesi. Dunque che fare? Mantenere le posizioni o
liquidarle, in tutto o in parte, preferendo un tranquillo rifugio, magari
temporaneo, quello della liquidità accontentandosi dei guadagni sino ad ora
maturati, che tanto modesti non sono proprio?
Yen. La borsa
giapponese vola sull’onda delle esportazioni ma a un prezzo piuttosto salato in termini di rapporti valutari. Dopo aver
toccato un minimo a 115 in aprile nei confronti dell’euro, lo yen si è
progressivamente indebolito ed ora siamo a 133,28 yen per un euro, ossia a
-8,5% e a -14,25% dai massimi. E’ quello che si dice definisce “un
significativo deprezzamento” nei confronti della nostra valuta.
Anche la Cina
ha praticato la politica della svalutazione, con piccoli strappi all’ingiù e
parziali correzioni successive ma il bilancio - a un mese dalla chiusura del
2017 - è assolutamente a favore della valuta comunitaria, apprezzatasi del
7,7%.
Andiamo subito a vedere lo scostamento dei
rendimenti dei titoli governativi decennali fra l’inizio del 2017 e la chiusura
di venerdì.
Un po’ stupisce questo atteggiamento,
innanzitutto perché – lo dimostrano i fatti – in questi mesi l’assunzione del
rischio azionario è stata abbondantemente ripagata ma anche che la possibilità
che i tassi invertano la rotta è, seppur non immediata, più ravvicinata
rispetto a un anno fa. L’impressione che se ne può ricavare è che si stia
giocando con la fiammella del cerino nella convinzione che lo si potrà
facilmente passare ad altri con la massima tranquillità. Il gioco dura da tempo
e chi l’ha praticato ha avuto sin qui ragione: il guadagno l’ha indubbiamente
fatto. Ma è proprio in questi frangenti che mi vengono in mente immagini come
quelle dei cigni, neri per giunta. E se ne comparisse uno all’orizzonte? Magari
un piccolo anatroccolo bruno?
Meno sontuosi, ma ancorché assolutamente
apprezzabili i rialzi di Francia, Germania, Italia, Svizzera, Cina, Eurostoxx
50, come pure l’indice globale azionario, il MSCI World; stiamo parlando di
rialzi al di sopra del 5%. Avercene sempre di anni così … Le uniche note stonate sono quelle relative
alla borsa di Londra che, seppur positiva, soffre giocoforza dell’effetto
Brexit e quella moscovita riportatasi sotto la parità proprio nel corso di
questo mese.
E allora, si dirà, da dove vengono le
perplessità? Andiamo pertanto a vedere l’andamento del mese di novembre e
potremo notare come l’andamento rialzista, piuttosto omogeneo dei primi dieci
mesi, abbia subito una (modesta) battuta d’arresto.
E’ immediato notare che solo un terzo degli
indici hanno chiuso il mese in positivo mentre i due terzi del paniere hanno
virato in direzione opposta. Giappone e Hong Kong hanno da qualche mese il
vento in poppa e hanno ulteriormente consolidato questo trend. La Russia sta
beneficiando del rialzo dei prezzi degli idrocarburi proprio in concomitanza di
una ottima domanda stagionale, vuoi per le temperature piuttosto basse che
inducono maggiori consumi per il riscaldamento e con la ripresa in corso che
sostiene i consumi per autotrazione. Restano in positivo gli indici azionari
Usa e qui il motivo è più che ovvio con una riforma fiscale in dirittura
d’arrivo a tutto beneficio delle classi sociali più abbienti e, manco a dirlo,
delle imprese.
Ovvio fino a un certo punto dato che il
proponente della riforma, Mr. President Donald Trump, potrebbe essere inguaiato
(fino addirittura all’impeachment) dalle ultime novità sul Russiagate. Quest’ultimo
mede del 2017 ci potrebbe pertanto riservare delle sorprese. Gli investitori
valuteranno maggiormente pericolosa la china scivolosa di un possibile
impeachment o valuteranno la riforma fiscale una succulenta occasione per fare
ancora utili finanziari?
LA FORZA
DELL’EURO SI MANTIENE ELEVATA
Abbiamo
accennato all’euro e alla sua forza, sostanzialmente un freno per gli
esportatori europei. Il 2017 si sta avviando verso il consolidamento di questo
rafforzamento. Vediamone i numeri.
Dall’inizio
dell’anno la moneta comunitaria si è rafforzata sul dollaro del 13%, passando
da un rapporto di 1,05 a inizio anno al fixing di venerdì scorso pari a 1,19 dopo
aver toccato un massimo a 1,20 nella prima quindicina di settembre. Altrettanto
debole il rapporto della sterlina britannica nei confronti dell’euro, in questo
caso quasi esclusivamente per effetto della Brexit i cui costi effettivi stanno
ora emergendo. Dopo un minimo sull’euro, registrato a metà aprile, la valuta
del Regno Unito si è via via deprezzata sino a un rapporto di cambio a 0,93
toccato a fine agosto da cui si è in parte allontanata fino allo 0,88 attuale, recupero
in parte condizionato dal ritocco dei tassi della BoE. Sino ad ora
l’apprezzamento dell’euro è pari al 3,6%.
CON LE OBBLIGAZIONI USARE CAUTELA
E’ evidente come, fatto salvo il caso della
Germania, i rendimenti dei titoli siano inferiori a quelli iniziali con uno
scarto massimo, quello del decennale francese, pari all’8% ca. Ciò sta a
significare che nel corso di quest’anno la richiesta ha superato l’offerta,
ossia gli investitori hanno continuato a inserire in portafoglio asset
scarsamente remunerativi e potenzialmente molto volatili. Evidentemente si sta
cercando di incamerare ulteriori guadagni prima degli attesi tapering delle
maggiori banche centrali.
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