domenica 12 novembre 2017

Laboratorio GAM - Lezione N. 241 - Ancora sul valore della consulenza: la confusione tra cerchio degli affetti e cerchio del patrimonio



Il “fai da te” ha prodotto patrimoni investiti quasi del tutto in Italia: in immobili per due terzi (98% in Italia), in reddito fisso a breve termine o in liquidi (un terzo), e solo in una percentuale minima di
azioni sui mercati mondiali (3%). Nell’ultimo decennio, dato la perdita di un quarto del valore reale degli immobili e i tassi bassi sul reddito fisso e i depositi monetari, il “fai da te” non ha prodotto pressoché nessun valore.


L’italiano medio confonde il cerchio degli affetti con quello del patrimonio: dato che gli affetti sono spesso vicini a lui, in Italia, anche il patrimonio si colloca vicino a lui o, comunque, all’interno di categorie che lui padroneggia (fallacia di casa nostra o home bias). Fonte:

Esaminiamo tale strategia italiana, adottata dai più e guidata dalla “fallacia di casa nostra”, mescolata da un’ottica a breve termine che funge da “assicurazione comportamentale” (“non si sa mai”), e confrontiamola con il rapporto fatto a luglio 2017 dal fondo sovrano norvegese. Tale fondo ha avuto un rendimento simile a quello medio delle dotazioni delle principali università statunitensi.

Alla fine del 2016, l’esposizione del Fondo sovrano ai titoli azionari si era già portata al 62,5%. Al contrario, la parte di patrimonio destinata al reddito fisso si è abbassata fino al 34,3%. Il 3,2% è la quota destinata agli investimenti nel settore immobiliare. Per aree geografiche, il Fondo norvegese ha rafforzato le sue posizioni sul mercato statunitense. Alla chiusura del 2016, il 42,3% dei suoi investimenti in azioni era destinato agli Stati Uniti (nel 2015 la quota parte si fermava al 40%), il 36% alle Borse del Vecchio Continente (dal 38,1% dell’anno precedente), il 17,9% ai mercati asiatici (dal 18,1%). Il Fondo ha elevato la quota destinata ai mercati emergenti dal 9,8% al 10,5%. Nel complesso, i paesi inclusi nel portafoglio sono 77 (Rapporto del Fondo sovrano a luglio 2107).

Questa politica ha portato a un aumento medio del valore del fondo del 10% nell’ultimo decennio. Il confronto mi porta a dire che - al limite - se anche il costo della gestione fosse stato del 5%, ci sarebbe stato margine per un miglioramento rispetto a quanto ottenuto dal “fai da te” italico. Questa stima è ovviamente paradossale dato che il costo effettivo della gestione del fondo corrisponde a una frazione minimale del fondo stesso.

Va ricordato inoltre che il “fai da te” si è rivelato rovinoso solo nell’ultimo decennio e questo spiega come mai sempre più italiani si affidino a esperti. Resta comunque certo il fatto che il vantaggio medio della consulenza, in Italia, è stato certamente molto superiore al suo costo medio.

 

 
 

La figura simboleggia le università con le migliori gestioni dei fondi di dotazione dal 2007 al 2017. Quello che sembra pauroso, passeggiare sull’ala di un aereo, non è pericoloso: l’aereo è a terra. Fonte: Nacubo, Public NCSE tables (cfr. anche http://investments.yale.edu/)

 
In altre parole, se il patrimonio fosse stato seguito da un consulente, la consulenza sarebbe stata più conveniente del “fai da te”, anche se costosa. Conveniente, al limite, anche se il costo del consulente fosse stato del 5% annuo sul valore del patrimonio. Questo “punto di pareggio”, approssimativamente stimato al 5%, un valore puramente indicativo e relativo solo all’ultimo decennio, potrebbe forse salire se il consulente avesse seguito tutto il valore del cliente, inclusa l’assicurazione comportamentale e il passaggio generazionale. La percentuale qui calcolata apparirà ai più esagerata e poco plausibile, forse paradossale e partigiana a favore del ruolo dei consulenti.

 
Reazione comprensibile, perché la maggioranza degli italiani sottostima l’inefficienza dell’assetto del proprio patrimonio e, quindi, il corrispondente vantaggio della consulenza. Questa sottostima giustifica le resistenze al cambiamento, cioè i vantaggi dell’abbandono del “fai da te”. E tuttavia, agli occhi di chi ha un consulente e confronta il suo patrimonio con quelli che adottano “il fai da te”, la sottostima dei più, per contrasto, esalta l’importanza della figura del consulente.

 

Il calcolo basato sul superamento dei bias

 

L’approccio del metodo win-win può essere integrato, se adottato sui tempi lunghi, dai vantaggi derivanti dal fatto che un consulente può introdurci ai temi dell’assicurazione comportamentale e del passaggio generazionale. E’ difficile stimare in termini di prezzi il vantaggio ulteriore derivante da tale apporto. Esso dipende dalle circostanze, dai casi particolari, anche se mediamente potrebbe far salire la percentuale sopra indicata di un altro 1%, tenendo presente che per lo più gli italiani non si assicurano e non gestiscono il passaggio generazionale.

 
Ancora una volta questa percentuale potrà probabilmente apparire esagerata, poco plausibile, sbilanciata a favore dei consulenti. Reazione comprensibile, perché la maggioranza degli italiani, come si è già detto, sottostima il vantaggio della consulenza proprio in relazione al passaggio generazionale e alle conseguenze dell’assicurazione comportamentale.

 
Se noi allarghiamo il confronto tra il “fai-da-te” e la gestione ottimale a variabili come l’assicurazione comportamentale e il passaggio generazionale, facciamo una mossa che ci avvicina alle procedure con cui gruppi come Vanguard o Heritage Financial Advisory Group prospettano i vantaggi della consulenza e la stimano approssimativamente al 3% annuo.

Si tratta di prendere in considerazione il ruolo delle distorsioni sistematiche studiate dalla finanza comportamentale. La stima del 3% è inferiore a quella avanzata qui, relativa all’Italia, in quanto i portafogli statunitensi e inglesi sono più e meglio diversificati rispetto a quelli italiani. In compenso si tratta di clienti meno inclini al risparmio e quindi il consulente ha un benefico effetto nell’allargare gli orizzonti temporali e nel favorire considerazioni previdenziali. Una dettagliata ricerca sui risparmiatori inglesi seguiti da un consulente o, al contrario, guidati dal personale “fai-da-te”, basata su dati del 2017, stima dell’ordine dell’1% la maggiore consapevolezza della vulnerabilità del futuro da parte del cliente reso più preparato dal suo consulente rispetto a chi non è seguito da un esperto (cfr. The Value of Financial Advice, ILC-UK, 2017).

 
Come sappiamo, negli USA e in UK il portafoglio medio non è sbilanciato come quello italiano (l’immobiliare ha un peso inferiore perché, in presenza di un numero inferiore di “seconde case”, le case hanno inoltre un costo mediamente più ridotto).

 
Pur previlegiando il mercato domestico, il “fai-da-te” statunitense finisce per muoversi su una borsa grande ed efficiente, e comunque molto presente nei portafogli ottimali come quello del fondo sovrano norvegese. Quindi anche gli statunitensi sono vittime della fallacia della “casa nostra” (home bias) ma, nel loro caso, tale fallacia fa meno danni rispetto a quelli fatti mediamente per il risparmio italiano.

 
Le principali case statunitensi sono solite parlare dell’Alpha del consulente. Esso in sostanza corrisponde al superamento dei ben noti bias presenti nel “fai da te”, in particolare modo l’effetto disposizione, cioè restare ancorati a quello che si ha, tenendosi i titoli in perdita per tempi troppo lunghi e uscendo ed entrando nei mercati sulla base della “teoria del prospetto”, che ho più volte ricordato (le perdite fanno più male di equivalenti guadagni). In sintesi che cosa è advisor’s alpha?
 

L’Advisor Alpha è in sostanza il vantaggio rispetto al “fai-da-te” e sottolinea come la consulenza dia più valore al patrimonio grazie alla pianificazione a lungo termine e al superamento dei bias.

 
Essa non si pone come obiettivo battere i mercati, ma costruire patrimoni anti-vulnerabili.

 
In sintesi, non si tratta di battere sistematicamente i mercati ma di ottenere il rendimento che si può estrarre da essi se non si è succubi delle ben note distorsioni sistematiche.
 
 

 
La consulenza non ha come compito il battere sistematicamente i mercati ma proteggere dalla pioggia continua le cui gocce sono le tante distorsioni emotive e comportamentali che rende i patrimoni guidati dal “fai da te” statunitense sub-ottimali. Fonte modificata: http://www.vanguard.com/pdf/ISGAA.pdf

 
La stima che fanno le case di questo vantaggio, ponderando ciascuna distorsione e attribuendole un costo medio rispetto al “fai da te” medio, sfocia in un vantaggio medio annuo del 3%. Tale vantaggio, ancora una volta del tutto approssimativo, è inferiore alla mia stima del 5% per il semplice motivo che i dati mostrano che il “fai da te” statunitense è più efficiente di quello italico perché si appoggia maggiormente sui mercati 

Nessun commento:

Posta un commento