Il “fai da te” ha
prodotto patrimoni investiti quasi del tutto in Italia: in immobili per due
terzi (98% in Italia), in reddito fisso a breve termine o in liquidi (un
terzo), e solo in una percentuale minima di
azioni sui mercati mondiali (3%). Nell’ultimo decennio, dato la perdita di un quarto del valore reale degli immobili e i tassi bassi sul reddito fisso e i depositi monetari, il “fai da te” non ha prodotto pressoché nessun valore.
Questa politica ha portato a un aumento medio del valore del fondo del 10% nell’ultimo decennio. Il confronto mi porta a dire che - al limite - se anche il costo della gestione fosse stato del 5%, ci sarebbe stato margine per un miglioramento rispetto a quanto ottenuto dal “fai da te” italico. Questa stima è ovviamente paradossale dato che il costo effettivo della gestione del fondo corrisponde a una frazione minimale del fondo stesso.
azioni sui mercati mondiali (3%). Nell’ultimo decennio, dato la perdita di un quarto del valore reale degli immobili e i tassi bassi sul reddito fisso e i depositi monetari, il “fai da te” non ha prodotto pressoché nessun valore.
L’italiano medio confonde il cerchio degli affetti con quello del
patrimonio: dato che gli affetti sono spesso vicini a lui, in Italia, anche il
patrimonio si colloca vicino a lui o, comunque, all’interno di categorie che
lui padroneggia (fallacia di casa nostra o home bias). Fonte:
Esaminiamo tale strategia
italiana, adottata dai più e guidata dalla “fallacia di casa nostra”, mescolata
da un’ottica a breve termine che funge da “assicurazione comportamentale” (“non
si sa mai”), e confrontiamola con il rapporto fatto a luglio 2017 dal fondo
sovrano norvegese. Tale fondo ha avuto un rendimento simile a quello medio
delle dotazioni delle principali università statunitensi.
Alla fine del 2016,
l’esposizione del Fondo sovrano ai titoli azionari si era già portata al 62,5%.
Al contrario, la parte di patrimonio destinata al reddito fisso si è abbassata
fino al 34,3%. Il 3,2% è la quota destinata agli investimenti nel settore
immobiliare. Per aree geografiche, il Fondo norvegese ha rafforzato le sue
posizioni sul mercato statunitense. Alla chiusura del 2016, il 42,3% dei suoi
investimenti in azioni era destinato agli Stati Uniti (nel 2015 la quota parte
si fermava al 40%), il 36% alle Borse del Vecchio Continente (dal 38,1%
dell’anno precedente), il 17,9% ai mercati asiatici (dal 18,1%). Il Fondo ha
elevato la quota destinata ai mercati emergenti dal 9,8% al 10,5%. Nel
complesso, i paesi inclusi nel portafoglio sono 77 (Rapporto del Fondo sovrano
a luglio 2107).
Questa politica ha portato a un aumento medio del valore del fondo del 10% nell’ultimo decennio. Il confronto mi porta a dire che - al limite - se anche il costo della gestione fosse stato del 5%, ci sarebbe stato margine per un miglioramento rispetto a quanto ottenuto dal “fai da te” italico. Questa stima è ovviamente paradossale dato che il costo effettivo della gestione del fondo corrisponde a una frazione minimale del fondo stesso.
Va ricordato inoltre che
il “fai da te” si è rivelato rovinoso solo nell’ultimo decennio e questo spiega
come mai sempre più italiani si affidino a esperti. Resta comunque certo il
fatto che il vantaggio medio della consulenza, in Italia, è stato certamente
molto superiore al suo costo medio.
La figura simboleggia le università con le migliori gestioni dei
fondi di dotazione dal 2007 al 2017. Quello che sembra pauroso, passeggiare
sull’ala di un aereo, non è pericoloso: l’aereo è a terra. Fonte: Nacubo,
Public NCSE tables (cfr. anche http://investments.yale.edu/)
In altre parole, se il
patrimonio fosse stato seguito da un consulente, la consulenza sarebbe stata
più conveniente del “fai da te”, anche se costosa. Conveniente, al limite,
anche se il costo del consulente fosse stato del 5% annuo sul valore del
patrimonio. Questo “punto di pareggio”, approssimativamente stimato al 5%, un
valore puramente indicativo e relativo solo all’ultimo decennio, potrebbe forse
salire se il consulente avesse seguito tutto il valore del cliente, inclusa
l’assicurazione comportamentale e il passaggio generazionale. La percentuale
qui calcolata apparirà ai più esagerata e poco plausibile, forse paradossale e
partigiana a favore del ruolo dei consulenti.
Reazione comprensibile,
perché la maggioranza degli italiani sottostima l’inefficienza dell’assetto del
proprio patrimonio e, quindi, il corrispondente vantaggio della consulenza.
Questa sottostima giustifica le resistenze al cambiamento, cioè i vantaggi
dell’abbandono del “fai da te”. E tuttavia, agli occhi di chi ha un consulente
e confronta il suo patrimonio con quelli che adottano “il fai da te”, la
sottostima dei più, per contrasto, esalta l’importanza della figura del
consulente.
Il
calcolo basato sul superamento dei bias
L’approccio del metodo
win-win può essere integrato, se adottato sui tempi lunghi, dai vantaggi
derivanti dal fatto che un consulente può introdurci ai temi dell’assicurazione
comportamentale e del passaggio generazionale. E’ difficile stimare in termini
di prezzi il vantaggio ulteriore derivante da tale apporto. Esso dipende dalle
circostanze, dai casi particolari, anche se mediamente potrebbe far salire la
percentuale sopra indicata di un altro 1%, tenendo presente che per lo più gli
italiani non si assicurano e non gestiscono il passaggio generazionale.
Ancora una volta questa
percentuale potrà probabilmente apparire esagerata, poco plausibile,
sbilanciata a favore dei consulenti. Reazione comprensibile, perché la
maggioranza degli italiani, come si è già detto, sottostima il vantaggio della
consulenza proprio in relazione al passaggio generazionale e alle conseguenze
dell’assicurazione comportamentale.
Se noi allarghiamo il
confronto tra il “fai-da-te” e la gestione ottimale a variabili come
l’assicurazione comportamentale e il passaggio generazionale, facciamo una
mossa che ci avvicina alle procedure con cui gruppi come Vanguard o Heritage
Financial Advisory Group prospettano i vantaggi della consulenza e la stimano
approssimativamente al 3% annuo.
Si tratta di prendere in
considerazione il ruolo delle distorsioni sistematiche studiate dalla finanza
comportamentale. La stima del 3% è inferiore a quella avanzata qui, relativa
all’Italia, in quanto i portafogli statunitensi e inglesi sono più e meglio
diversificati rispetto a quelli italiani. In compenso si tratta di clienti meno
inclini al risparmio e quindi il consulente ha un benefico effetto
nell’allargare gli orizzonti temporali e nel favorire considerazioni previdenziali.
Una dettagliata ricerca sui risparmiatori inglesi seguiti da un consulente o,
al contrario, guidati dal personale “fai-da-te”, basata su dati del 2017, stima
dell’ordine dell’1% la maggiore consapevolezza della vulnerabilità del futuro
da parte del cliente reso più preparato dal suo consulente rispetto a chi non è
seguito da un esperto (cfr. The Value of Financial Advice,
ILC-UK, 2017).
Come sappiamo, negli USA
e in UK il portafoglio medio non è sbilanciato come quello italiano
(l’immobiliare ha un peso inferiore perché, in presenza di un numero inferiore
di “seconde case”, le case hanno inoltre un costo mediamente più ridotto).
Pur previlegiando il
mercato domestico, il “fai-da-te” statunitense finisce per muoversi su una
borsa grande ed efficiente, e comunque molto presente nei portafogli ottimali
come quello del fondo sovrano norvegese. Quindi anche gli statunitensi sono
vittime della fallacia della “casa nostra” (home bias) ma, nel loro caso, tale
fallacia fa meno danni rispetto a quelli fatti mediamente per il risparmio
italiano.
Le principali case
statunitensi sono solite parlare dell’Alpha del consulente. Esso in sostanza
corrisponde al superamento dei ben noti bias presenti nel “fai da te”, in
particolare modo l’effetto disposizione, cioè restare ancorati a quello che si
ha, tenendosi i titoli in perdita per tempi troppo lunghi e uscendo ed entrando
nei mercati sulla base della “teoria del prospetto”, che ho più volte ricordato
(le perdite fanno più male di equivalenti guadagni). In sintesi che cosa è
advisor’s alpha?
L’Advisor Alpha è in
sostanza il vantaggio rispetto al “fai-da-te” e sottolinea come la consulenza
dia più valore al patrimonio grazie alla pianificazione a lungo termine e al
superamento dei bias.
Essa non si pone come
obiettivo battere i mercati, ma costruire patrimoni anti-vulnerabili.
In sintesi, non si tratta
di battere sistematicamente i mercati ma di ottenere il rendimento che si può
estrarre da essi se non si è succubi delle ben note distorsioni sistematiche.
La consulenza non ha come compito il battere sistematicamente i
mercati ma proteggere dalla pioggia continua le cui gocce sono le tante
distorsioni emotive e comportamentali che rende i patrimoni guidati dal “fai da
te” statunitense sub-ottimali. Fonte modificata: http://www.vanguard.com/pdf/ISGAA.pdf
La
stima che fanno le case di questo vantaggio, ponderando ciascuna distorsione e
attribuendole un costo medio rispetto al “fai da te” medio, sfocia in un
vantaggio medio annuo del 3%. Tale vantaggio, ancora una volta del tutto
approssimativo, è inferiore alla mia stima del 5% per il semplice motivo che i
dati mostrano che il “fai da te” statunitense è più efficiente di quello
italico perché si appoggia maggiormente sui mercati
Nessun commento:
Posta un commento