Il costo
della consulenza è un non-problema se presentato bene. Anzi può essere
un’opportunità per consolidare il rapporto con il cliente.
La
comunicazione dei costi della consulenza è però una questione complessa per
vari motivi.
Un buon consulente
ci avrebbe spiegato che circa quindici anni fa era cambiato un vento che
soffiava da più di un quarto di secolo: le azioni stavano diventando più
convenienti rispetto alle obbligazioni. Il “fai da te” italiano ha cominciato
proprio allora a navigare contro-vento.
Tradizionalmente
spesso è capitato che la consulenza abbia fatto parte di quella classe di
servizi in cui il compenso del venditore era incorporato nel costo del
prodotto. Nel passato questo poteva far sembrare la consulenza “gratuita” in
quanto pagata indirettamente e in modo non palese. Comunque, l’accento non
veniva messo sul prezzo, il che rendeva apparentemente facile la vita. E tuttavia
tale strategia di comunicazione manteneva un margine di ambiguità rispetto a
chi voleva rendere espliciti tutti i costi facendoli emergere separatamente.
Tutto ciò è terminato in Gran Bretagna nel 2013 e sta per terminare in Italia.
Va precisato
che la tradizione di “non passare” in modo esplicito ai clienti i costi
riemerge nel dibattito relativo all’addebito di costi della ricerca. Non tutte
le case hanno deciso finora di trasferire questi costi in modo esplicito invece
di riassorbirli.
Come ha osservato
recentemente l’Economist: “Talvolta questo celarsi del costo della consulenza
all’interno dell’oggetto della consulenza stessa è stato interpretato come una
sorta di raggiro, quasi fosse un voler tener nascosto al cliente il costo del
servizio. Questa interpretazione maliziosa è però talvolta infondata”.
Come mai il
cliente, che ha un interesse diretto conoscere il costo totale della
consulenza, non lo richiede agli operatori, come fa quando va dagli altri tipi
di consulenti, siano essi avvocati, commercialisti, meccanici, idraulici o
quant’altro?
Come mai c’è
questa resistenza a “spacchettare” i costi e a renderli “espliciti”?
I motivi sono
molti, ma non si tratta solo di timidezza e neanche di cieca fiducia da parte
dei clienti che acquistano tali servizi. Il fatto è che insistere troppo su
questo argomento “commerciale” potrebbe far correre il rischio di corrompere o
svilire il senso della relazione stessa. Se noi vediamo nel nostro patrimonio
il frutto dell’impegno di una vita e, talvolta di più vite, preferiamo che a
questo “valore”, così carico per noi di storia e significati, non venga dato un
prezzo troppo esplicito. Né vogliamo che la relazione tra noi e il consulente
sia dichiaratamente “monetizzata”, perché per noi tale rapporto è qualcosa di
più, qualcosa che esorbita e va oltre una consueta relazione economica di
scambio di prestazioni o, più in generale, di “do-ut-des”. Per dirla con il
lessico più volte usato e con l’immagine del cerchio degli affetti, può ben
darsi che i beni materiali non siano al centro di questo cerchio. Ma l’essere
più o meno periferico del patrimonio (e spesso non lo è) non impedisce che il
consulente occupi una posizione molto vicina al centro grazie a un rapporto che
non coinvolge solo la gestione dei beni. In fin dei conti, è lui che conferisce
anti-vulnerabilità alla nostra vita e al nostro futuro.
Ritroviamo lo
stesso meccanismo in alcuni tipi di relazioni tra psicoterapeuta e cliente. In
questi casi il pagamento dell’onorario avviene in una sola soluzione in modo da
diventare scontato e stare sullo sfondo. Anche in questo caso si tratta di non
svilire o mercificare la relazione (cfr. Peter Hobson, “Psychoterapy”, Carnac,
2013).
Con questo
tipo di clienti, quelli cioè con cui si ha una relazione stretta, consolidata e
caratterizzata da una fiducia che si è costruita nel tempo, non c’è alcun
problema a presentare in modo esplicito il costo della prestazione. Questo
costo non ha a che fare più di tanto con la relazione, nel senso che questa
vive di una sua vita indipendentemente dal pagamento della prestazione, dato
per scontato. In questi casi si consiglia, in rapporto al pagamento:
- di farlo in blocco, una sola volta all’anno
- di non suddividere il costo totale in più voci
- di non enfatizzare l’operazione, anzi di tenerla sullo sfondo
Quella che in
ogni modo è da evitare è la confusione tra il ruolo del consulente e il lavoro
di chi costruisce i prodotti, e, di conseguenza, la fallacia della “torta
fissa” indotta dal confronto tra il costo dei prodotti in funzione delle
gestioni attive o passive. Questo confronto è riduttivo della natura della
relazione e fuorviante rispetto al ruolo del consulente.
La consulenza
è qualcosa di più e, per restare sul concreto, vi presento cinque motivi
recenti e fondamentali per cui si giustifica una buona consulenza rispetto a
quello che, purtroppo, è ancora il prevalente “fai da te” degli italiani:
1.
Fallacia di “casa propria” (home bias):
Basti pensare
che una buona consulenza avrebbe permesso alle famiglie italiane di
riposizionare i loro patrimoni che sono ancora legati per almeno il 90% ai
destini di un paese che, solo in Europa, è cresciuto e probabilmente crescerà
meno di Germania, Francia e Spagna.
L’Italia resterà ai livelli pre-crisi del 2007 (=100)
fino oltre il 2021. Fonte Bloomberg modificata.
Purtroppo
oggi la fallacia della torta fissa in rapporto alla consulenza è in agguato
perché sempre più sulla stampa specializzata ci si limita a confrontare i costi
delle varie gestioni facendo così credere che la consulenza si riduca a questo,
e non a tutta una ristrutturazione e cura del patrimonio anche in vista del
passaggio generazionale.
2.
Riconoscere i punti di svolta:
Una buona
consulenza ci avrebbe spiegato l’opportunità di avere una maggiore presenza sui
mercati azionari da quando le banche centrali hanno cominciato a pompare
liquidità per farci uscire dalla crisi.
Correlazione tra le borse mondiali e l’immissione di
liquidità da parte di Fed, BoY e Ecb.Fonte: Bloomberg modificata.
3.
Riconoscere i punti di non ritorno:
Un buon
consulente ci avrebbe spiegato che, circa un decennio fa sono iniziati dei
processi che costituiscono un punto di non-ritorno, l’inizio di mega-trend. Il
più fondamentale in Italia è stato, dal 2007, il progressiva calo di valore
degli immobili e l’opportunità conseguente di utilizzarli come servizio (prima
casa) e non come investimento se non all’interno di una diversificazione
razionale del portafoglio. Un altro mega-trend è costituito dal fatto che i
titoli più trattati non sono più i titoli di singole società, come è stato per
più di un secolo.
Un mega-trend che costituisce un punto di non-ritorno
è il fatto che nel 2016 tra i dieci titoli più trattati solo tre sono azioni di
singole società. Fonte: Bloomberg modificata.
4.
Quando cambia il vento:
Quanto care sono le azioni rispetto al reddito fisso?
Dall’inizio del secolo le azioni sono più convenienti. Fonte: Bloomberg modificata.
5.
Cambiamenti demografici di lungo periodo e conseguenze:
Un buon
consulente ci metterebbe in guardia in merito a tutte le conseguenze che
deriveranno in futuro dall’innalzamento dell’età della popolazione sopra i 65
anni, tema che noi abbiamo trattato più volte (cautele previdenziali,
assicurazione comportamentale, passaggio generazionale, e così via).
Tendenza all’innalzamento della quota di popolazione
dei paesi OCSE con età sopra i 65 anni. Fonte: Economist modificata.
A conferma di
questi cinque punti, posso riportare una tabella tratta dall’aggiornata ricerca
“The
value of financial advice” della ILC-UK, elaborata e scritta da Cesira
Urzi Brancati, Ben Franklin and Brian Beach. In tale ricca analisi condotta in
UK, dove dal 2013 si applicano i nuovi criteri Mifid2, si mostra tra l’altro
l’effetto di quello che ho chiamato il “paradosso della consulenza”. Chi decide
di rivolgersi a un consulente è in genere molto contento di aver abbandonato il
“fai-da-te”.
La tabella mostra che la maggioranza delle persone è
contenta di esseri rivolta a un consulente e di aver abbandonato il
“fai-da-te”. Fonte: “The value of financial advice”, ILC-UK.
Purtroppo si
tratta spesso proprio delle persone più preparate. Chi ne avrebbe più bisogno
si affida al “fai-da-te”. Ho già chiarito la natura di tale paradosso che si
presenta anche in UK.
Chi più sa e chi più ha, più probabilmente si affida
a un consulente abbandonando il “fai-da-te”. Anche in UK funziona il paradosso
della consulenza: per capire che funziona bisogna superare una soglia di
educazione finanziaria. Fonte: “The value of financial advice”, ILC-UK.
Nella
prossima lezione approfondirò il tema delle diverse modalità di comunicazione
del costo della consulenza.
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