domenica 26 novembre 2017

Laboratorio GAM - Lezione N. 243 - Il costo della consulenza è il costo dell’anti-vulnerabilità

 
 


Il costo della consulenza è un non-problema se presentato bene. Anzi può essere un’opportunità per consolidare il rapporto con il cliente.

La comunicazione dei costi della consulenza è però una questione complessa per vari motivi.

Tradizionalmente spesso è capitato che la consulenza abbia fatto parte di quella classe di servizi in cui il compenso del venditore era incorporato nel costo del prodotto. Nel passato questo poteva far sembrare la consulenza “gratuita” in quanto pagata indirettamente e in modo non palese. Comunque, l’accento non veniva messo sul prezzo, il che rendeva apparentemente facile la vita. E tuttavia tale strategia di comunicazione manteneva un margine di ambiguità rispetto a chi voleva rendere espliciti tutti i costi facendoli emergere separatamente. Tutto ciò è terminato in Gran Bretagna nel 2013 e sta per terminare in Italia.

Va precisato che la tradizione di “non passare” in modo esplicito ai clienti i costi riemerge nel dibattito relativo all’addebito di costi della ricerca. Non tutte le case hanno deciso finora di trasferire questi costi in modo esplicito invece di riassorbirli.

Come ha osservato recentemente l’Economist: “Talvolta questo celarsi del costo della consulenza all’interno dell’oggetto della consulenza stessa è stato interpretato come una sorta di raggiro, quasi fosse un voler tener nascosto al cliente il costo del servizio. Questa interpretazione maliziosa è però talvolta infondata”.

Come mai il cliente, che ha un interesse diretto conoscere il costo totale della consulenza, non lo richiede agli operatori, come fa quando va dagli altri tipi di consulenti, siano essi avvocati, commercialisti, meccanici, idraulici o quant’altro?

Come mai c’è questa resistenza a “spacchettare” i costi e a renderli “espliciti”?

I motivi sono molti, ma non si tratta solo di timidezza e neanche di cieca fiducia da parte dei clienti che acquistano tali servizi. Il fatto è che insistere troppo su questo argomento “commerciale” potrebbe far correre il rischio di corrompere o svilire il senso della relazione stessa. Se noi vediamo nel nostro patrimonio il frutto dell’impegno di una vita e, talvolta di più vite, preferiamo che a questo “valore”, così carico per noi di storia e significati, non venga dato un prezzo troppo esplicito. Né vogliamo che la relazione tra noi e il consulente sia dichiaratamente “monetizzata”, perché per noi tale rapporto è qualcosa di più, qualcosa che esorbita e va oltre una consueta relazione economica di scambio di prestazioni o, più in generale, di “do-ut-des”. Per dirla con il lessico più volte usato e con l’immagine del cerchio degli affetti, può ben darsi che i beni materiali non siano al centro di questo cerchio. Ma l’essere più o meno periferico del patrimonio (e spesso non lo è) non impedisce che il consulente occupi una posizione molto vicina al centro grazie a un rapporto che non coinvolge solo la gestione dei beni. In fin dei conti, è lui che conferisce anti-vulnerabilità alla nostra vita e al nostro futuro.

Ritroviamo lo stesso meccanismo in alcuni tipi di relazioni tra psicoterapeuta e cliente. In questi casi il pagamento dell’onorario avviene in una sola soluzione in modo da diventare scontato e stare sullo sfondo. Anche in questo caso si tratta di non svilire o mercificare la relazione (cfr. Peter Hobson, “Psychoterapy”, Carnac, 2013).

Con questo tipo di clienti, quelli cioè con cui si ha una relazione stretta, consolidata e caratterizzata da una fiducia che si è costruita nel tempo, non c’è alcun problema a presentare in modo esplicito il costo della prestazione. Questo costo non ha a che fare più di tanto con la relazione, nel senso che questa vive di una sua vita indipendentemente dal pagamento della prestazione, dato per scontato. In questi casi si consiglia, in rapporto al pagamento:
  • di farlo in blocco, una sola volta all’anno
  • di non suddividere il costo totale in più voci
  • di non enfatizzare l’operazione, anzi di tenerla sullo sfondo
Al contrario con clienti nuovi, oppure con clienti che considerano il consulente come un fornitore di un servizio “tecnico”, è bene spezzettare la parcella in più voci e in più momenti nel tempo, in modo molto dettagliato ed esplicito.

Quella che in ogni modo è da evitare è la confusione tra il ruolo del consulente e il lavoro di chi costruisce i prodotti, e, di conseguenza, la fallacia della “torta fissa” indotta dal confronto tra il costo dei prodotti in funzione delle gestioni attive o passive. Questo confronto è riduttivo della natura della relazione e fuorviante rispetto al ruolo del consulente.

La consulenza è qualcosa di più e, per restare sul concreto, vi presento cinque motivi recenti e fondamentali per cui si giustifica una buona consulenza rispetto a quello che, purtroppo, è ancora il prevalente “fai da te” degli italiani:

 

1.       Fallacia di “casa propria” (home bias):
 

Basti pensare che una buona consulenza avrebbe permesso alle famiglie italiane di riposizionare i loro patrimoni che sono ancora legati per almeno il 90% ai destini di un paese che, solo in Europa, è cresciuto e probabilmente crescerà meno di Germania, Francia e Spagna.




L’Italia resterà ai livelli pre-crisi del 2007 (=100) fino oltre il 2021. Fonte Bloomberg modificata.

Purtroppo oggi la fallacia della torta fissa in rapporto alla consulenza è in agguato perché sempre più sulla stampa specializzata ci si limita a confrontare i costi delle varie gestioni facendo così credere che la consulenza si riduca a questo, e non a tutta una ristrutturazione e cura del patrimonio anche in vista del passaggio generazionale.

 

2.       Riconoscere i punti di svolta:
 

Una buona consulenza ci avrebbe spiegato l’opportunità di avere una maggiore presenza sui mercati azionari da quando le banche centrali hanno cominciato a pompare liquidità per farci uscire dalla crisi.

 
 


Correlazione tra le borse mondiali e l’immissione di liquidità da parte di Fed, BoY e Ecb.Fonte: Bloomberg modificata.

 

3.       Riconoscere i punti di non ritorno:
 

Un buon consulente ci avrebbe spiegato che, circa un decennio fa sono iniziati dei processi che costituiscono un punto di non-ritorno, l’inizio di mega-trend. Il più fondamentale in Italia è stato, dal 2007, il progressiva calo di valore degli immobili e l’opportunità conseguente di utilizzarli come servizio (prima casa) e non come investimento se non all’interno di una diversificazione razionale del portafoglio. Un altro mega-trend è costituito dal fatto che i titoli più trattati non sono più i titoli di singole società, come è stato per più di un secolo.




Un mega-trend che costituisce un punto di non-ritorno è il fatto che nel 2016 tra i dieci titoli più trattati solo tre sono azioni di singole società. Fonte: Bloomberg modificata.

 
 

4.       Quando cambia il vento:

 
Un buon consulente ci avrebbe spiegato che circa quindici anni fa era cambiato un vento che soffiava da più di un quarto di secolo: le azioni stavano diventando più convenienti rispetto alle obbligazioni. Il “fai da te” italiano ha cominciato proprio allora a navigare contro-vento.

Quanto care sono le azioni rispetto al reddito fisso? Dall’inizio del secolo le azioni sono più convenienti. Fonte: Bloomberg modificata.
 
5.       Cambiamenti demografici di lungo periodo e conseguenze:
 
Un buon consulente ci metterebbe in guardia in merito a tutte le conseguenze che deriveranno in futuro dall’innalzamento dell’età della popolazione sopra i 65 anni, tema che noi abbiamo trattato più volte (cautele previdenziali, assicurazione comportamentale, passaggio generazionale, e così via).

Tendenza all’innalzamento della quota di popolazione dei paesi OCSE con età sopra i 65 anni. Fonte: Economist modificata.
A conferma di questi cinque punti, posso riportare una tabella tratta dall’aggiornata ricerca “The value of financial advice” della ILC-UK, elaborata e scritta da Cesira Urzi Brancati, Ben Franklin and Brian Beach. In tale ricca analisi condotta in UK, dove dal 2013 si applicano i nuovi criteri Mifid2, si mostra tra l’altro l’effetto di quello che ho chiamato il “paradosso della consulenza”. Chi decide di rivolgersi a un consulente è in genere molto contento di aver abbandonato il “fai-da-te”.
 

 


La tabella mostra che la maggioranza delle persone è contenta di esseri rivolta a un consulente e di aver abbandonato il “fai-da-te”. Fonte: “The value of financial advice”, ILC-UK.
Purtroppo si tratta spesso proprio delle persone più preparate. Chi ne avrebbe più bisogno si affida al “fai-da-te”. Ho già chiarito la natura di tale paradosso che si presenta anche in UK.
Chi più sa e chi più ha, più probabilmente si affida a un consulente abbandonando il “fai-da-te”. Anche in UK funziona il paradosso della consulenza: per capire che funziona bisogna superare una soglia di educazione finanziaria. Fonte: “The value of financial advice”, ILC-UK.
 
Nella prossima lezione approfondirò il tema delle diverse modalità di comunicazione del costo della consulenza.

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